Hannah Arendt, nel suo libro La banalità del male, cronaca del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, mostra una cosa molto interessante: all’inizio del nazismo i consensi del movimento sionista in Germania erano molto bassi. Gli ebrei tedeschi non volevano tornare in Palestina, come è normale per famiglie che da secoli vivevano in quel paese. Mano a mano che le persecuzioni naziste sono aumentate il movimento sionista si è progressivamente rafforzato e l’Agenzia per la Palestina ha cominciato a rimpatriare persone a pieno regime, grazie anche all’aiuto dei nazisti stessi (che in questo modo si levavano dai piedi molti ebrei) non prima di averle derubate di tutto ciò che possedevano in Germania. Non è esagerato dire che, senza il nazismo, il sionismo non avrebbe mai attecchito nelle comunità ebraiche.
Che lo Stato di Israele, impiantato con la forza in Palestina e in Medio Oriente, sarebbe degenerato in una nuova Sparta, costantemente in guerra, costantemente in preda al panico, costantemente protesa allo sterminio del proprio avversario… è una intuizione – come quella della Nabka che sarebbe venuta e della lobby ebraica USA (e degli USA più in generale) come supporto indispensabile per la sopravvivenza – che testimonia della lucidità di Hannah Arendt sul destino di Israele il quale, per quanti massacri possa compiere, alla fine non riuscirà a vincere. Anche Sparta è caduta, dopotutto, ed oggi non esiste nessuna città greca che ne abbia raccolto l’eredità (Antiper).
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