E’ raro trovare analisi ampiamente condivisibili su temi estremamente controversi. E’ il caso di questo intervento di Michele Nobile (che peraltro appartiene ad un movimento politico di cui convidiamo assai poco sul piano politico) il quale, in modo sintetico ed efficacie, distrugge molte delle sciocchezze scritte in queste ore da esponenti di un’asin/istra “ex ed extra parlamentare” ormai allo sbando e alla disperata ricerca di qualche carro su cui salire. L’intervento coglie alcuni elementi salienti (come, ad esempio, il fatto che l’Europa è diventata il diversivo verso cui indirizzare il malcontento popolare per evitare che esso si rivolga verso i veri nemici mettendo fine alla pace sociale nazionale). Altro esempio: Michele Nobile ricorda una cosa importante che non ha trovato il minimo spazio tra i milioni di post di questi giorni: ben prima che vi fosse l’attuale Europa con l’attuale euro, proprio in GB la Thatcher sferrava il più poderoso attacco anti-operaio della storia del ‘900 a dimostrazione che anche senza Commissione Europea o BCE i padroni sapevano (e sapranno) fare il loro mestiere (tra l’altro, mille volte meglio di certi sindacalisti super-anti-europeisti porta-sfiga sempre alla guida di qualche operazione politica votata al sicuro insuccesso). Tra gli altri, sottolineiamo in particolare questo passaggio:
"Il leave the Eu ha vinto massicciamente nell’Inghilterra propriamente detta (60%) e in Galles (55,5%). Tuttavia ha perso, e non di poco, in tutte le maggiori città inglesi e gallesi: il voto per restare nell’Ue ha raggiunto il 60% nell’area metropolitana di Londra, a Manchester, Cardiff, Bristol; il 58% a Liverpool, Reading, York; ha pareggiato a Leeds e perso a Birmingham, ma col 49,6% dei voti validi. Mi è difficile pensare che l’elettorato politicamente meno cosciente si concentri proprio nella grandi città".
Usando la stessa logica adottata da certi vecchi arnesi asin/istri si dovrebbe concludere che gli operai e le città metropolitane hanno sonoramente battuto il Brexit e che questo ha vinto piuttosto nelle provincie chiuse e impaurite (che ai tempi del buon Marx erano la terra di dominio della grande aristocrazia fondiaria e della gentry).
Ma siccome certe conclusioni tirate a casaccio è bene lasciarle agli esagitati che si spellano le mani per la vittoria della destra britannica (che ha condotto una campagna referendaria in buona parte xenofoba) diciamo solo ciò che ripetiamo da tempo: il problema non è stare dentro o fuori l’Europa o l’Euro; il problema è chi tiene le redini del potere economico, politico e sociale. Parlare a vanvera di “restare” o “andare” senza porsi concretamente il problema degli scenari che emergono è qualcosa che deve essere rigettato completamente.
E tutti questi entusiasmi dell’asin/istra sono il sintomo della suo ormai irreversibile coma politico (Antiper).
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Al primo impatto ho trovato assai divertente l’idea per cui la decisione degli elettori britannici di uscire dall’Unione europea sarebbe un fatto «di sinistra». Pensandoci meglio, è semplicemente «tragica». Brevissime considerazioni.
1) Innanzitutto, è stata la xenofobia a determinare il successo del leave, del voto per lasciare l’Unione europea, per un margine non grande. La linea anti-migrazione, diretta non soltanto contro gli extracomunitari ma anche verso i cittadini europei, è stata condita, è vero, dalla demagogia antiplutocratica di destra e liberista nei confronti dei burocrati di Bruxelles e delle «banche». Non a caso si tratta di un successo elettorale che fa esultare la destra-destra e l’estrema destra europea, dal Front National alla Lega Nord ad Alba Dorata. Insomma, sul piano concreto e dei grandi numeri, la mobilitazione (elettorale) contro l’Ue si esprime con una forte connotazione nazionalista xenofoba, spesso ultraneoliberista.
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