Emmanuel Faye | «Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia». Conclusioni
In un suo intervento del 2008 sulla rivista Dialogue (Résumé de Heidegger, l’introduction du nazisme dans la philosophie) Emmanuel Faye ricorda che il suo testo critico su Heidegger si compone di 9 capitoli analitici a cui si aggiungono delle Conclusioni in cui viene riassunto il giudizio sull’opera dei filosofo tedesco nel suo complesso. Faye sembra desiderare una “liberazione” della filosofia dall’opera di Heidegger, ma forse è ancora più interessante auspicare una rivolta filosofica contro l’opera di Heidegger, una rivolta che riscatti la filosofia contemporanea della larghissima (e quasi sempre acritica) adesione alle sue teorie filosofiche reazionarie (per tacere di quelle politiche) (Antiper).

Non è una cosa facile misurare in profondità la perdizione umana e la distruzione interiore indotte in tante menti dal nazionalsocialismo. Da parte nostra non avremmo mai condotto queste ricerche se non fossimo stati guidati, man mano che prendevamo coscienza della gravità del disastro, dalla crescente convinzione della necessità vitale di veder la filosofia liberarsi dell’opera di Heidegger. I suoi scritti, infatti, continuano a diffondere quelle concezioni radicalmente razziste e distruttrici per l’essere umano che costuiscono i fondamenti dell’hitlerismo e del nazismo.
Nell’opera di Martin Heidegger sono i princìpi stessi della filosofia che risultano aboliti. Non vi è alcuno spazio per la morale, completamente e apertamente annientata. Il rispetto della vita umana individuale, il rifiuto della distruzione, lo scrupolo interiore della coscienza che torna su se stessa e valuta la responsabilità dei propri pensieri, dei propri scritti e dei propri atti, per non parlare della generosità e del dono di sé, tutte queste qualità essenziali all’uomo, e che la filosofia ha la vocazione di coltivare e rafforzare, vengono sradicate per lasciar posto all’esaltazione di una «razza dura».
Inoltre, ciò che ormai sappiamo sul modo di agire di Heidegger – le sue molte lettere di denuncia e i rapporti segreti stilati, il suo ruolo attivo nell’introduzione del Führerprinzip nell’università, gli stretti legami intrecciati con i responsabili degli autodafé contro gli autori ebrei, l’opera di falsificazione dei propri scritti dopo il 1945 e poi, una volta assicuratosi l’audience mondiale, la reintegrazione dei corsi e dei testi più hitleriani e razzisti nelle sue opere complete – ci impedisce di vedere in lui un filosofo.
Bisogna anche ricordare i suoi continui attacchi – spesso violenti quanto quelli di un Baeumler o di un Krieck – contro l’intelletto e la ragione, senza i quali non vi è né equilibrio umano né rettitudine del pensiero. Se, nella sua sacralizzazione delle parole greche, Heidegger mantiene il termine «logica», ne distrugge il significato. Il corso tenuto sotto questo nome nella primavera del 1934, che esalta la voce del sangue e identifica il popolo con la razza, lo mostra a sufficienza, così come la sua insensata affermazione secondo la quale «anche nella logica può essere introdotta la figura del Führer» [1]. Non sorprende quindi che nelle decine di migliaia di pagine che Heidegger ha lasciato non si trovi pressoché alcun riferimento a Socrate. Alla dialettica, che a partire da Platone permette la vitalità del dialogo filosofico e fonda l’esigenza intellettuale dell’interrogazione sui concetti, egli ha sostituito l’uso dittatoriale della parola ed esaltato la lotta, da condurre fino all’annientamento del nemico.
Quanto alla metafisica, chiamata a rischiarare la mente nella ricerca dei princìpi e nell’esame critico delle sue facoltà, alla fine degli anni Venti Heidegger ha mascherato dietro il suo nome un pathos dell’angoscia che non ha niente a che vedere con l’esigenza di verità del pensiero. Nel 1930 si è spinto sino a negare l’universalità del concetto di verità e a distruggerlo, designando con questa parola il radicamento dell’esistenza storica del popolo germanico nel suolo della sua terra natale o Heimat. Inoltre, se nel suo libro su Kant egli ha ripreso la domanda guida «Che cos’è l’uomo?», è stato per dare una risposta razzista e micidiale nei corsi degli anni 1933 e 1934. Lo si è visto infatti fare l’elogio della «trasformazione radicale del mondo tedesco» compiuta secondo lui dalla «visione del mondo» di Hitler. E, durante la Seconda guerra mondiale, la parola «metafisica» è stata definitivamente traviata per magnificare la motorizzazione della Wehrmacht, la selezione razziale e l’invasione della Francia.
Come si potrebbe considerare filosofo un autore che si serve dei termini filosofici più elevati per esaltare la potenza militare del nazismo e giustificare la discriminazione più omicida? L’esempio di Heidegger ci mostra che non basta utilizzare le parole della filosofia o commentare i filosofi per esserlo. Quando Heidegger impiega il termine «libertà» per significare il possesso dell’essere umano da parte del Führer, o quando definisce la parola «spirito» come «tempesta» (Sturm) per galvanizzare gli studenti della SA (Sturmabteilung) presenti in sala, non è un filosofo che parla, ma un essere che ha accettato di mettere tutte le sue facoltà al servizio della supremazia del nazismo.
Il nazismo di Heidegger era già presente nelle opere anteriori al 1933. Sebbene in Essere e tempo egli si esprima con discrezione perché il suo obiettivo è quello di succedere a Husserl, troviamo già lì l’affermazione per cui l’esserci umano non può compiere il suo «destino» autentico se non nell’«accadere della comunità, del popolo». Nel contesto dell’epoca, questa tesi rinvia chiaramente alle nozioni di «comunità di destino» e di «comunità di popolo» che erano allora i termini distintivi dei nazionalsocialisti.
Particolarmente grave è che testi così profondamente distruttivi per l’essere umano e per la filosofia, come quelli in cui egli esalta la «voce del sangue» e le «forze fatte di terra e di sangue», quelli in cui legittima la «selezione razziale» e il «pensiero della razza», e quelli in cui nega la specificità del genocidio hitleriano e persino l’essenza umana delle sue vittime, siano stati integrati nella Gesamtausgabe senza la minima sconfessione da parte del loro autore né dei curatori. In tal modo è oggi definitivamente appurato che il nazismo di Heidegger non ha affatto costituito un ‘errore’ che poi avrebbe abbandonato: l’autore del discorso di rettorato si è volontariamente identificato con quell’impresa e ha sostenuto fino in fondo l’«intima verità», la «grandezza» e la «direzione», ai suoi occhi «sufficiente», presa dal movimento nazista. Con l’opera di Heidegger, quindi, i princìpi dell’hitlerismo e del nazismo sono stati introdotti nelle biblioteche di filosofia del pianeta.
Sotto questo aspetto è profondamente scandaloso vedere il responsabile di tutta l’impresa e principale erede, Hermann Heidegger, pubblicare nel volume 16 le conferenze e i discorsi più spaventosi – come quello dell’agosto 1933 in cui viene giustificata l’intera eugenetica del nazismo – sotto il titolo di Discorsi e altre testimonianze del cammino di una vita. Com’è infatti possibile portare come esempio ai giovani filosofi, quale «cammino di una vita», testi in cui il rispetto della vita umana è apertamente distrutto? Inoltre è inaccettabile il negazionismo del curatore, il quale, nella Postfazione al volume, osa affermare che Martin Heidegger non aveva «tendenze fasciste». E si è indotti a chiedersi se Hermann Heidegger, che secondo la propria testimonianza fu molto più nazionalsocialista dei genitori durante gli anni Trenta, e che si sa essere vicino allo storico revisionista Ernst Nolte, non condivida le vedute politiche espresse dal padre nel suo discorso di rettorato. Hermann Heidegger infatti non ha esitato, nel 2002, a dilungarsi sull’opera di Martin Heidegger nelle pagine di “Junge Freiheit”, giornale dell’estrema destra tedesca [2]. In questa intervista egli dichiara in particolare che il discorso di rettorato – in cui come abbiamo visto Heidegger elogia il «nuovo diritto degli studenti», le «forze fatte di terra e di sangue» e il Führerprinzip, e che è stato parzialmente ripubblicato in due riprese da Forsthoff (con l’imprimatur ufficiale dell’NSDAP) accanto ai discorsi di Goebbels e di Rosenberg – «non era un discorso nazionalsocialista»! È difficile spingere oltre la negazione della verità storica.
Ecco perché è necessario chiedersi se oggi, a più di sessant’anni dalla Liberazione, sia ammissibile che i manoscritti di autori come Heidegger o Baeumler siano ancora inaccessibili e controllati da parenti le cui intenzioni sono apertamente revisioniste e apologetiche. Questi fondi dovrebbero essere aperti a tutti i ricercatori in nome del diritto alla verità storica.
Per proteggere il futuro del pensiero filosofico è indispensabile interrogarsi anche sulla vera natura della Gesamtausgabe di Heidegger, con i princìpi razzisti, eugenetici e radicalmente distruttivi per l’esistenza e la ragione umana che questi scritti veicolano. Una tale opera non può continuare a figurare nelle biblioteche di filosofia: la sua collocazione è piuttosto nei fondi di storia del nazismo e dell’hitlerismo. Per cui si deve auspicare che quest’opera tradotta e commentata in tutto il mondo sia oggetto di ricerche molto più approfondite, il che permetterà di vedere più chiaramente ciò che essa significa, di prendere coscienza dei suoi pericoli, di resistere ai princìpi di distruzione che essa veicola e di opporsi alla loro diffusione nella filosofia e nel suo insegnamento.
Tali questioni richiedono un dibattito di fondo. Esigono anche altre ricerche. Esse dovranno in particolare riguardare gli scritti e le attività di Heidegger durante il periodo della guerra (dal 1939 al 1945) e la strategia di legittimazione della sua opera passata, condotta durante i tre decenni del dopoguerra che hanno preceduto la sua scomparsa (dal 1946 al 1976). Bisognerà analizzare in che modo il mito e il culto della persona di Heidegger si sono costituiti dopo il 1945. Si vedrà che il suo potere di fascinazione fu ampiamente tributario del considerevole ascendente che nazismo e hitlerismo hanno esercitato sulle menti, direttamente o in maniera insidiosa. In proposito è profondamente inquietante vedere che due dei principali difensori di Heidegger, Jean Beaufret e François Fédier, i quali hanno svolto un ruolo importante nella diffusione della sua dottrina in Francia, sono arrivati l’uno sino a far proprio il negazionismo di Robert Faurisson e l’altro a scrivere a favore di Ernst Nolte.
Al di fuori della cerchia degli apologeti uniti dalla loro fedeltà incondizionata al «maestro», l’influenza di Heidegger ha conosciuto in Francia tre grandi ondate [vagues]. È necessario ricordarle, per interrogarsi sulla mancanza di ricerche approfondite e l’assenza di vigilanza che hanno potuto condurre i loro rappresentanti a partecipare, in maniera più o meno esplicita e diretta, alla diffusione e alla legittimazione di questa opera.
Legata alla traduzione della conferenza intitolata Che cos’è metafisica? e di brani tratti da Essere e tempo riuniti nel 1938 da Henry Corbin, la prima ondata fu innanzitutto quella dell’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre. L’autore di L’essere e il nulla ha fatto molto per rendere popolare in Francia l’«esser-con» o Mitsein heideggeriano, ma in una versione molto edulcorata. Malgrado l’insistenza di Heidegger sulla necessità della «lotta» per liberare la «potenza» del «destino», Sartre sembra non aver percepito tutta la dimensione politica della «comunità» o Gemeinschaft: per lui, l’«immagine empirica» che meglio si accorderebbe al «noi» heideggeriano non sarebbe la «lotta», ma l’«équipe»… Vero è che Sartre nel 1943 non disponeva dei testi e dei documenti oggi pubblicati.
Molto diversa, e nei suoi presupposti persino opposta alla prima, la seconda ondata fece seguito alla pubblicazione nel 1947 della lettera a Jean Beaufret, detta Lettera sull’«umanismo». Fu l’«antiumanesimo» della generazione di Louis Althusser e Michel Foucault i quali, nei loro ultimi anni, riconobbero l’ascendente esercitato da Heidegger su di essi. Fu un’epoca in cui la sua influenza condusse molte menti a respingere ogni filosofia dell’uomo e della coscienza, ed era allora di moda scartare con disprezzo l’«umanesimo» di Sartre. Generalmente si ignorava che Heidegger aveva iniziato con lo scrivergli e il tessere le sue lodi invitandolo persino a Todtnauberg, e che solo dopo aver capito che Sartre non gli avrebbe fatto da garante egli aveva iniziato ad attaccarlo pubblicamente, secondo un capovolgimento i cui motivi erano strategici e non filosofici.
La terza ondata, principalmente ispirata dalle conferenze riunite nel 1968 in Questions I [3] e dalla pubblicazione, nel 1971, della traduzione del Nietzsche (la cui lettura segnò anche Foucault), fu il risultato di una lettura di Heidegger più insistente. I suoi rappresentanti hanno imposto il tema heideggeriano della «fine della metafisica» e del suo «superamento», senza interrogarsi fino in fondo sul significato reale della parola «metafisica» nei suoi scritti, e in modo particolare nei corsi degli anni dal 1939 al 1942. Da lì è nata la «decostruzione» che, traducendo l’Abbau e la Destruktion heideggeriane, è partita dalla Francia alla conquista dei «dipartimenti umanistici» delle università americane, all’inizio con l’appoggio decisivo di Paul de Man [4]. L’impresa ha permesso a Heidegger di dilagare negli Stati Uniti e poi nel mondo intero, al punto di farlo apparire come il principale rappresentante di quella che è stata chiamata «filosofia continentale». L’ermeneutica heideggeriana è penetrata anche in larghi ambiti della vita universitaria in Francia fino agli studi cartesiani, diffondendo l’opinione – che si è potuta leggere nel 1981 sui risvolti delle copertine dei volumi della collezione “Épiméthée” [5] – per la quale Heidegger rappresenterebbe la «fine» della metafisica e la «sola via» per il pensiero, quando oggi sappiamo quanto la sua dottrina costituisca un cammino senza ritorno, nel quale ogni apporto filosofico è screditato e distrutto.
Noi, avendo seguito una strada del tutto diversa, abbiamo per molto tempo concentrato le nostre ricerche sul pensiero umanista, al fine dimostrare il grande contributo alla filosofia moderna di pensatori tanto diversi come Charles de Bovelles, Michel de Montaigne e Cartesio, che hanno saputo rischiarare l’evoluzione dell’essere umano e la realizzazione della sua propria «perfezione» senza rinchiuderla in una dottrina definita o in un sistema. In più, siamo stati indotti a interrogarci sulla natura delle premesse da cui procede un’opera come quella di Heidegger, che non s’iscrive in quella tradizione filosofica al servizio dell’evoluzione umana ma che al contrario si è sforzata di distruggerne l’essenziale apporto. Dopo essere intervenuti nel dibattito pubblico sull’opposizione di Heidegger al pensiero umanista del Rinascimento, e aver sviluppato in diversi convegni e seminari una critica complessiva dei testi di Heidegger dedicati a Cartesio, abbiamo voluto comprendere l’origine stessa del problema, indagando i fondamenti sui quali Heidegger si è basato.
Via via che scoprivamo nuovi testi, le nostre ricerche ci hanno fatto prendere coscienza che Heidegger si è intimamente nutrito del nazionalsocialismo e l’ha integralmente servito, al punto di voler introdurre nella filosofia i fondamenti razzisti dell’hitlerismo. Per questo Heidegger ha parlato nei suoi corsi di una «grande trasformazione dell’esserci (Dasein) dell’uomo» a proposito del nazionalsocialismo, e preteso di elevare la selezione razziale alla dignità di un pensiero! Rifiutare di considerare una tale opera come filosofica, resistere alla diffusione nell’insegnamento di scritti che hanno permesso ai princìpi più devastatori di sciamare progressivamente nelle menti, sono esigenze necessarie se non vogliamo veder tornare un giorno, sotto altre forme, un’impresa che ha rischiato di condurre all’annientamento spirituale, morale e fisico dell’umanità.
Bisogna che si riconosca che un autore che ha fatto propri i fondamenti del nazismo non può essere considerato un filosofo. La filosofia ha la vocazione di essere al servizio dell’evoluzione umana. Essa non è affatto compatibile con una dottrina che, poiché pretende di promuovere un popolo, una lingua e una «razza» dominando tutto ciò che si distingue da essi al punto di annientarlo, distrugge l’essere stesso dell’uomo, tanto nella sua esistenza individuale quanto nella sua universalità. Ed è storicamente accertato che il caso di Heidegger non è quello di chi ha ceduto alla tentazione di un compromesso parziale e momentaneo con il regime in atto, ma di chi ha messo tutte le sue forze al servizio del dominio di Hitler, e tratto da questa impresa un gusto per l’autorità dittatoriale che ha fatto scuola.
Come è stato possibile che una tale opera abbia conquistato un pubblico mondiale? L’intero nostro libro ha lo scopo di invocare una presa di coscienza generale. È venuto il momento di resistere all’opinione sconsiderata secondo la quale Martin Heidegger sarebbe stato un «grande filosofo» del secolo passato. Un autore che tanto nei suoi testi quanto attraverso i suoi atti ha distrutto qualsiasi morale, respinto l’intelletto e la ragione, rovinato la metafisica confondendola con il «nichilismo» e rapportato la «verità dell’essere» a un principio razzista, non può corrispondere all’appellativo di «filosofo».
Tuttavia, nelle nostre società si riconosce l’abiezione dei comportamenti e la mostruosità delle relative responsabilità politiche, ma non si vede abbastanza la pericolosità degli scritti. Se l’atrocità del genocidio ordinato da Hitler è generalmente denunciata, non siamo pronti a misurare i pericoli dell’introduzione dell’hitlerismo e del nazismo nel pensiero. Eppure è attraverso gli scritti che i movimenti omicidi continuano ad agire nelle menti, distruggendo ogni senso critico e riabilitando insidiosamente le visioni del mondo più devastanti. E la filosofia ha il ruolo di prevenire questi pericoli e preservare interamente l’uomo. Essa possiede infatti la capacità di sondare i fondamenti delle opere e di valutare il loro apporto all’evoluzione umana, opponendosi a tutto ciò che mirerebbe a distruggere l’essere stesso dell’uomo.
Le crisi che attraversiamo dovrebbero indurci alla massima vigilanza. Ricordiamoci della maniera premonitrice con cui nel 1914 Henri Bergson aveva preconizzato le derive di una ‘cultura’ che aveva accettato l’idea di un «popolo eletto, razza di padroni, accanto ad altre che sono razze di schiavi». Si deve dunque studiare con maggiore lucidità critica il contenuto reale e il significato di alcune opere destinate a catturare le menti. Si tratta di prendere coscienza che l’opera di Carl Schmitt significa, dietro le maschere dell’«erudizione» giuridica e della «visione» geopolitica, la morte del diritto e la perversione radicale dell’idea di uno spazio europeo, che quella di Ernst Nolte, dietro le illusioni di una falsa «imparzialità» storica, costituisce la negazione della verità storica, e che quella di Martin Heidegger, sotto l’apparenza di «grandezza» filosofica, mira alla distruzione della filosofia e all’estirpazione del senso umano. Prenderne coscienza per porre fine alla riabilitazione e alla diffusione progressiva dei fondamenti del nazismo che questi testi perseguono.
I princìpi völkisch e fondamentalmente razzisti che la Gesamtausgabe di Heidegger trasmette tendono allo sradicamento di tutto il progresso intellettuale e umano al quale la filosofia ha contribuito. Sono dunque tanto distruttivi e pericolosi per il pensiero attuale quanto lo fu il movimento nazista per l’esistenza fisica dei popoli sterminati. Quali possono essere infatti gli sviluppi futuri di una dottrina il cui autore si voleva «Führer spirituale» del nazismo, se non quelli di preparare il ritorno della medesima rovina? Riguardo a ciò, ora sappiamo che nel suo seminario Hegel, sullo Stato Martin Heidegger intendeva far durare il dominio nazista al di là dei cento anni a venire. Se i suoi scritti continuano a essere diffusi su scala planetaria senza che sia possibile fermare questa intrusione del nazismo nell’educazione umana, come non aspettarsi che ciò conduca a una sua nuova traduzione nei fatti, dalla quale, questa volta, l’umanità potrebbe non rialzarsi? Oggi più che mai è compito della filosofia lavorare per proteggere l’umanità e allertare le menti, per evitare che l’hitlerismo e il nazismo continuino a diffondersi attraverso gli scritti di Heidegger, con il rischio di generare nuove imprese di distruzione totale del pensiero e di sterminio dell’uomo.
Note
[1] «Auch in die Logik kann man die Gestalt des Führers hineinbringen»; commento di M. Heidegger riportato da M. Müller (Ein Gespräch mit Max Müller), in B. Martin, G. Schramm, Martin Heidegger. Ein Philosoph und die Politik cit., p. 106.
[2] Cfr. “Junge Freiheit”, 1° novembre 2002, p. 10; nell’intervista Hermann Heidegger afferma di essere entrato nella Hitlerjugend nel 1933 e di essere ben presto diventato un entusiasta Jungvolkführer.
[3] [M. Heidegger, Question I cit., comprende i testi Qu’est-ce que la métaphysique? , Ce qui fait l’être-essentiel d’un fondement ou «raison», De l’essence de la vérité, Contribution a la question de l’être e Identité et différence, trad. di H. Corbin, R. Munier, A. de Waelhens, W. Biemel, G. Granel, A. Préau].
[4] Il passato di collaboratore antisemita in Belgio è stato scoperto solo dopo la sua morte. [Critico letterario nato in Belgio nel 1919 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1948, Paul de Man, considerato il padre del decostruzionismo americano ispirato a J. Derrida, diede vita negli anni Settanta alla Scuola di Yale (Yale Critics) insieme a H. Bloom, G. Hartman e J.H. Miller. Scomparso nel 1983, alcuni anni dopo è stato scoperto che aveva collaborato con i nazisti durante l’occupazione del Belgio, scrivendo su quotidiani e riviste a questi strettamente legate].
[5] [La più prestigiosa collana francese di filosofia, edita da Presses Universitaires de France (PUF), fondata nel 1953 da Jean Hyppolite e diretta fino al 1981 da Jean-Luc Marion].