Marco Riformetti | Franco Franceschi e Firenze all’epoca del tumulto dei Ciompi
Prime parti del paper di Storia politica e istituzionale del Medioevo dedicato all’analisi del testo di Franco Franceschi Oltre il tumulto. I lavoratori fiorentini dell’Arte della Lana fra Tre e Quattrocento, Leo S. Olschki Editore, Firenze, MCMXCII) | LINK (PDF su Academia)

1.Introduzione
Franco Franceschi apre la sua analisi con una breve riflessione sull’esordio dell’industria laniera nella Firenze del Duecento e sul suo consolidamento fino agli anni ‘30 del Trecento, trattando piuttosto fugacemente della peste di fine anni ‘40 e della fase contraddittoria che ne segue. Ma è soprattutto in relazione al periodo che va dalla seconda metà inoltrata del Trecento alla prima metà del Quattrocento che l’analisi scende in profondità.
Le fonti
Sebbene siano numerosissime le fonti indirette di Franceschi (ricavate attraverso una vasta selezione di opere di bibliografia secondaria) sono piuttosto le fonti dirette – e in particolare le fonti fiscali e le fonti giuridiche – ad essere ampiamente interrogate dall’autore per costruire la fotografia della struttura sociale fiorentina tra fine Trecento e inizio Quattrocento.
Tra le principali fonti fiscali si possono annoverare gli estimi del 1378-79 e la prestanza del 1404 nonché il catasto del 1427. Gli estimi erano censimenti fiscali necessari per stimare (appunto) il reddito dei cittadini e fissare le quote di partecipazione alle cosiddette prestanze [1], una sorta di emissione di titoli del debito pubblico [2] finalizzata a raccogliere le risorse per fronteggiare situazioni di emergenza (come una guerra). Alle prestanze si doveva aderire forzosamente a meno di esserne esentati in quanto miserabili. Chi veniva dichiarato miserabile non veniva ipso facto escluso dai diritti civili (come nel caso delle successive poor laws inglesi) ma subiva comunque un pesante stigma e la sostanziale emarginazione sociale e politica. Anche il catasto era un censimento, ma molto più dettagliato e mirato soprattutto alla struttura patrimoniale e immobiliare [3].
Tra le principali fonti giuridiche possiamo invece annoverare gli statuti dell’Arte della lana, gli atti fidejussori e soprattutto i registri del Tribunale nei quali preziose informazioni scaturiscono dalla trascrizione dei contenziosi.
Problemi metodologici
Il lavoro di Franceschi concentra la propria analisi sui lavoratori della lana benché la storiografia sia sempre stata piuttosto avara di dati sulla condizione delle classi popolari (come l’autore stesso ribadisce più volte). E quando i dati sono scarsi e frammentari diventa necessario saper “leggere tra le righe” e formulare ipotesi che possono talvolta essere questionabili.
Una prima ipotesi riguarda un problema di ordine metodologico ovvero se sia o meno possibile mettere a confronto dati che distano, in taluni casi, fino ad un cinquantennio. È probabile che in generale sia lecito supporre che il mondo tardo medievale evolvesse con una certa lentezza, ma bisogna anche tenere conto che questa è una fase molto particolare: potremmo dire, in un certo senso, la fase in cui nasce quello che nei secoli successivi diventerà il capitalismo industriale. E quindi si potrebbe supporre con altrettanta plausibilità che ci si trovi di fronte ad una fase di “accelerazione storica” piuttosto che di stasi.
Un secondo problema di ordine metodologico riguarda la possibilità di trarre solide conclusioni di ordine generale a partire da dati molto esigui. In diverse occasioni si ha l’impressione che Franceschi sia costretto a generalizzare casi piuttosto isolati il che è certamente molto pericoloso (seppure in certa misura inevitabile non avendo a disposizione una messe di informazioni soddisfacente).
2.Elementi del quadro storico generale
Fino alla seconda metà del Duecento la produzione laniera fiorentina è ancora una produzione essenzialmente domestica e di media qualità (Franceschi, 4); ad un certo punto i lanaioli decidono di aumentare la qualità dei loro tessuti attraverso l’adozione delle lavorazioni fiamminghe [4] e la sostituzione della materia prima belga con quella inglese. Solo da questo momento in poi l’industria laniera fiorentina diventa un’industria di esportazione di prodotti di alta qualità.
Sono anni molto importanti per lo sviluppo industriale laniero non solo a Firenze ma anche nel resto d’Europa
«Per comprendere questa evoluzione sono stati opportunamente chiamati in causa alcuni decisivi mutamenti verificatisi durante i primi decenni del XIV secolo nel panorama complessivo dell’attività manifatturiera europea: il primo essor dell’industria tessile inglese» (Franceschi, 4)
Con il termine “primo essor” Franceschi vuole intendere il primo significativo sviluppo dell’industria tessile inglese che spesso viene associato alla cosiddetta rivoluzione industriale del XVIII secolo; in realtà, come spiega molto bene Marx [5], il fenomeno delle recinzioni (enclosures) degli open fields e dell’espropriazione dei contadini per far posto all’allevamento di pecore inizia proprio tra il XIII e il XIV secolo, ciò che favorisce lo sviluppo della produzione laniera (e in parte anche di quella tessile, peraltro ancora non meccanizzata e sicuramente più manifatturiera che industriale). La lana inglese si afferma sul mercato internazionale e anche Firenze la adotta per la sua produzione.
Per provare a dare un ordine di grandezza al sistema tessile fiorentino Franceschi riporta i dati di una fonte coeva, Giovanni Villani, secondo il quale
«nella Firenze del 1338 operavano 200 botteghe con una produzione globale annua di 70.000-80.000 panni»
Franceschi parla di “iscritti” all’arte della lana negli anni ‘30 quantificandoli in 700 a fronte di 200 “botteghe” (Franceschi, 8) ma più avanti specifica opportunamente che tali iscritti non sono generici soggetti operanti nell’industria della lana, bensì lanaioli ovvero imprenditori della lana. E anche per quanto riguarda le botteghe non si deve pensare alle botteghe degli artigiani, ma piuttosto agli opifici [6] dei lanaioli, vere proprie proto-manifatture.
I dati relativi al periodo della peste e a quello successivo sono scarsi, ma si può certamente affermare che la città subisce un crollo demografico e un dimezzamento degli opifici attivi compensato solo parzialmente da un’alta produttività che, dopo la ripartenza post-epidemia, permette anche un significativo incremento della produzione che infatti raggiunge il picco negli anni ‘70.
Abbiamo detto che da un certo momento in poi l’economia fiorentina si orienta fortemente verso l’export
«lana e seta, manifatture ambedue strettamente dipendenti dal mercato esterno per l’approvvigionamento delle materie prime e lo smercio dei prodotti finiti» (Franceschi, 30)
La dipendenza dall’estero riguarda dunque i mercati di sbocco e anche i mercati delle materie prime, al punto tale che quando si manifesteranno difficoltà di reperimento della lana inglese i lanaioli fiorentini saranno costretti a ricorrere a lane di qualità inferiore realizzando un peggioramento della qualità dei prodotti finiti e un aumento della concorrenza da parte di altri produttori di media qualità, ciò che produrrà notevoli ripercussioni.
Ai periodi di crisi nella produzione di lana fa da contrappeso la crescita della produzione di seta, un settore dove insiste un numero molto minore di operatori del settore e dove dunque la concorrenza, per i produttori fiorentini, è inferiore. Già nel primo quarto del Quattrocento la produzione di seta eguaglia, in termini di valore, quella della lana e con il Seicento avverrà il sorpasso anche dal punto di vista della quantità di produzione.
La concorrenza nell’industria tessile cresce mano a mano che nascono nuovi poli produttivi «in Inghilterra, Fiandre, Catalogna e Linguadoca» grazie ai materiali (come il prezioso allume) forniti proprio dai mercanti fiorentini, oltre che da quelli genovesi e veneziani.
Per offrire un ordine di grandezza delle oscillazioni nella produzione tessile Franceschi ricorre al numero di marchi ovvero alle “garanzie di qualità” che i lanaioli comprano per apporle sui loro prodotti. Facendo l’ipotesi che tutti i marchi acquistati venissero effettivamente applicati si osserva un andamento della produzione che raggiunge il suo apice negli anni ‘60 [7] (gli anni ‘70 e ‘80 non sono riportati [8]). Si potrebbe forse dedurre che gli anni che precedono il tumulto del Ciompi del 1378 non siano anni di crisi. Le conclusioni che tira Franceschi sono infatti di questo tipo
«nel periodo approssimativamente compreso tra l’inizio degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta del XIV secolo il trend dell’industria laniera fiorentina fu complessivamente ascendente» (Franceschi, 11)
La capacità produttiva delle botteghe e il PIL, molto alti negli anni ‘60 e ‘70, cadono sensibilmente negli anni ‘80 dopo il tumulto del 1378 e la repressione che ne segue (repressione che provocherà anche una diffusa carenza di forze del lavoro perché molti lavoratori prenderanno la via dell’emigrazione).
«la quantità globale assegnata in produzione ai lanaioli ammontava a 10.000 unità. È questo un valore davvero basso, che testimonierebbe una caduta verticale delle capacità produttive della manifattura fiorentina (quasi il 50% in meno) nell’arco di neppure dieci anni» (Franceschi, 12)
La conseguenza è che dal periodo del tumulto fino alla metà del Quattrocento il numero degli opifici si riduce del 60%.
Un altro dato che Franceschi utilizza per analizzare l’andamento della produzione tessile riguarda la produzione annua di panni di lana (tabella 2, Franceschi, 13). Anche da questi dati, afflitti peraltro da alcuni problemi di raccolta e di valutazione, si può comunque dedurre un andamento molto positivo negli anni ‘70 e una caduta significativa dopo il tumulto (soprattutto negli anni ‘90).
Se si confrontano i dati demografici ricavati dagli estimi del 1378-79 e 1380 con quelli del catasto del 1427 si evidenzia un calo molto significativo (scompare circa un terzo della popolazione); questo calo è dovuto a diversi fattori e certamente anche al ritorno sporadico della peste, come nel 1400 quando miete 12.000 vittime (Franceschi, 14).
«nell’arco del cinquantennio il regresso della popolazione risulta di poco superiore al 30% e dunque percentualmente assai più contenuto del calo della produzione laniera [9]» (Franceschi, 15)
Si può quindi dedurre che la riduzione della produzione tessile sia dovuta anche ad altri fattori di crisi oltre a quello demografico.
Tra questi fattori possiamo annoverare un aumento della concorrenza esercitata da centri di produzione circostanti che «assorbono uomini, capitali, materiali e tecniche» (Franceschi, 18) e dalla penetrazione di tessuti stranieri sul mercato interno. Per contrastare questa concorrenza viene proibita l’esportazione di strumenti di lavoro prodotti a Firenze [10] e si cerca di sottomettere i produttori tessili pratesi all’autorità dell’Arte della lana fiorentina.
Non mancano neppure le misure protezionistiche [11]
«un’elevatissima gabella sull’introduzione nel territorio fiorentino di panni italiani, linguadocensi, catalani e soprattutto inglesi non destinati al commercio di transito»
Si puniscono tutte le importazioni eccetto quelle dei semilavorati destinati ad essere perfezionati a Firenze per poi diventare tessuti di pregio fiorentini.
Nella seconda metà del Trecento e fino ai primi due decenni del Quattrocento Firenze è costretta a fronteggiare molti scontri anche di carattere militare – come contro Milano o Napoli – che arrecano grossi problemi al commercio. Ad esempio
«le galere napoletane, con l’appoggio della potente flotta genovese, stringono in un blocco navale Porto Pisano […] le imbarcazioni che tentano di forzare il blocco sono spesso catturate e le merci sequestrate» (Franceschi, 22)
Dopo il 1414 le cose cambiano e la lana d’Inghilterra torna a sbarcare a Pisa. Ma non c’è un vero recupero rispetto alla situazione di crisi iniziata a fine Trecento; addirittura, il quinquennio 1425-1430 è segnato da un ulteriore consistente declino della produzione. Molte botteghe restano chiuse e cresce il fenomeno dell’emigrazione. Ma la situazione peggiora ulteriormente negli anni ‘30 del Quattrocento a causa della ripresa delle attività belliche che si protraggono fino alla metà del secolo. Scarseggia non solo la lana inglese, ma anche quella di altra provenienza. Firenze è costretta ad importare materia prima di bassa qualità e dunque a ridurre la qualità dei propri prodotti (e con essa il prezzo di vendita e il guadagno dei lanaioli).
Come detto, curiosamente sono proprio alcuni potenti mercanti fiorentini a favorire la crescita della concorrenza straniera nei confronti della produzione cittadina
«sono proprio molti dei mercanti fiorentini, insieme ai genovesi e ai veneziani, a favorire lo sviluppo delle manifatture estere, in particolare di quelle dell’Europa settentrionale, fornendo a queste allume e guado e commercializzandone i prodotti» (Franceschi, 31).
Note
[1] «prestiti forzosi che il Comune distribuiva su di una fascia variabilmente ampia della popolazione urbana» (Franceschi, 97).
[2] Cfr. Screpanti [2021].
[3] Ancora oggi quando si parla di catasto si intende una mappa dei valori delle proprietà immobiliari.
[4] Molti lavoratori fiamminghi verranno anche a lavorare a Firenze.
[5] Cfr. Marx [1980], Libro primo, Sezione VII, capitolo XXIV, La cosiddetta accumulazione originaria.
[6] E infatti a pag. 9 Franceschi usa proprio il termine opifici, sicuramente più preciso.
[7] In particolare dal 1365.
[8] I dati riportati da Franceschi nella Tab.1 di pagina 9 si riferiscono agli anni che vanno dal 1358 al 1395 con un “buco” che va dal 1370 al 1389.
[9] Che, come abbiamo visto, Franceschi fissa in un -50%.
[10] Un po’ come accade anche oggi con gli USA vietano la vendita di chip alle aziende cinesi (link).