Nanni Balestrini | Invisibili
Brano conclusivo di Nanni Balestrini, Gli invisibili, Bompiani, 1987
c’è un silenzio strano la sera dopo cena adesso non ci si chiama più da una cella all’altra si vedono i rettangoli azzurrini degli spioncini allineati tutti illuminati dal riflesso del televisori si spande un unico impasto di musica e di voci monotono e ondulato il soffitto è spaccato a intervalli dal riflettori gialli che proiettano la grata della finestra enorme che ti schiaccia sul letto sei dentro una gigantesca scatola di sardine schiacciate compresse sei dentro una scatola chiusa ermeticamente saldata cosa c’è fuori da questa scatola chi c’è fuori di qui cosa fanno cosa stanno facendo adesso perché continuano a fare delle cose a fare tutte le cose che fanno senza di me dove sono io quale sono io qual è la mia faccia adesso che mi è rimasta solo la mia faccia qui compressa piatta schiacciata
ho rotto lo specchio con il piede dello sgabello ho buttato tutte le schegge nel cesso ho tirato l’acqua l’ho tirata cinque sei sette volte ho continuato a tirarla fissando il buco nero del cesso quel cerchio nero in cui l’acqua scendeva c’ho infilato la mano dentro poi più in fondo per sentire dov’era il fondo c’ho infilato la testa l’ho schiacciata giù ma la testa non entrava non riusciva a passare da quel buco a uscire fuori da un’altra parte a vedere fuori a vedere dove sono dove siete quando eravamo mille diecimila centomila non è possibile che fuori non c’è più nessuno non è possibile che non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c’è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente i riflettori di colpo spaccano il buio illuminano a giorno la cella
quando la luce opaca del mattino scivolava dentro le sbarre e le grate le cose nella cella tornavano a avere l’aspetto insignificante e banale di sempre e riprendevamo a pensare e a immaginare come potevamo vedere come potevamo farci vedere fuori da quel carcere che stava diventando un cimitero il luogo del massimo silenzio dove non entra e non esce più un messaggio una voce un rumore ci siamo posti il problema di come riconquistarci una comunicazione con l’esterno e abbiamo deciso di cominciare nuove forme di lotta per spezzare quel silenzio di morte abbiamo cominciato con le battiture notturne delle sbarre ci si metteva d’accordo sull’ora durante l’aria non avevamo orologi non avevamo sveglie ma potevamo vedere l’ora sulla televisione accesa tutta la notte
e così nel mezzo della notte tutti insieme alla stessa ora cominciavamo a battere sulle sbarre coi mestoli di legno coi manici di scopa con gli sgabelli soprattutto con le pentole e i pentolini e scoppiava il finimondo perché tutti battevano sempre più forte anche quelli degli altri piani che sentivano battere e si mettevano a battere anche loro con noi e in quel luogo chiuso tutte le celle tutti i corridoi rimbombavano nella notte il carcere sembrava scoppiare sembrava che veniva giù tutto però alla fine quando piano piano i colpi finivano veniva una grande tristezza perché tutti ci rendevamo conto che battevamo soltanto per noi stessi e per le guardie perché il carcere era in mezzo alla campagna isolato sperduto in una grande distesa vuota sconfinata dove intorno non c’era nessuno che ci poteva sentire
allora abbiamo pensato che forse potevamo attirare di più l’attenzione facendo le fiaccolate però per fare le fiaccolate era più complicato c’erano più problemi perché c’erano le grate alle finestre c’erano le grate di ferro che avevano messo oltre le sbarre per impedire di passare qualcosa da un piano all’altro e allora abbiamo dovuto bucare le grate abbiamo spaccato gli sgabelli e abbiamo fatto dei pezzi di legno a punta e con questi pezzi di legno lentamente e faticosamente riuscivamo a allargare le maglie e a bucare la rete e poi a ingrandire il buco finché ci potevamo far passare le fiaccole attraverso il buco
abbiamo fatto i buchi in tutte le reti e poi abbiamo fatto le fiaccole le fiaccole si facevano con pezzi di lenzuoli legati stretti e poi imbevuti d’olio e allora anche lì all’ora stabilita nel mezzo della notte rutti accendevano l’olio delle fiaccole e infilavano questi fuochi nel buchi delle grate ma anche li non c’era nessuno che li vedeva le fiaccole bruciavano a lungo doveva essere un bello spettacolo da fuori tutti quei fuochi tremolanti sul muro nero del carcere in mezzo a quella distesa sconfinata ma gli unici che potevano vedere la fiaccolata erano i pochi automobilisti che sfrecciavano piccoli lontanissimi sul nastro nero dell’autostrada a qualche chilometro dal carcere o forse un aeroplano che passa su in alto ma quelli volano altissimi lassù nel cielo nero silenzioso e non vedono niente
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Il brano del gruppo hip hop AK47, 0516490872 (Silvia Baraldini)