Marco Riformetti | Sulla questione della divisione del lavoro
Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017
Marx ed Engels attribuiscono grande rilevanza allo sviluppo della divisione del lavoro nella nascita delle società classiste; di conseguenza, il superamento della divisione del lavoro viene considerato un punto cardine della teoria marxista.
Come è pensato tale superamento in Stato e rivoluzione? Lenin concentra il proprio ragionamento fondamentalmente su una riflessione di Marx contenuta all’interno della cosiddetta Critica del programma di Gotha
“«… In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: ognuno secondole sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!»” [92]
Nel comunismo, secondo Marx, non vi sarà più “subordinazione asservitrice alla divisione del lavoro” e non vi sarà più “contrasto” tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Si tratta di una frase che qualcuno ha interpretato come superamento tout court della divisione del lavoro, ma che dovremmo interpretare in modo più realistico: esisterà ancora divisione del lavoro, ma non nella forma rigida del contrasto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale o dell’obbligo a svolgere solo un tipo di lavoro; al contrario, la divisione del lavoro si ridurrà ad un fatto meramente funzionale e si avrà la possibilità di spaziare su attività diverse, senza essere costretti a subire quel fenomeno di estraneazione di cui Marx aveva parlato sin dagli anni della gioventù [93].
Alla frase di Marx, Lenin aggiunge
“Ma non sappiamo e non possiamo sapere quale sarà la rapidità di questo sviluppo, quando esso giungerà a una rottura con la divisione del lavoro, alla soppressione del contrasto fra il lavoro intellettuale e fisico, alla trasformazione del lavoro nel «primo bisogno della vita»” [94]
Si tratta, come è chiaro, di un approccio molto prudente in cui emerge la consapevolezza delle enormi difficoltà che dovranno essere attraversate durante tutta l’epoca di transizione. Lenin parla di “rottura” con la divisione del lavoro, ma è lecito desumere che egli si riferisca al superamento della divisione gerarchica del lavoro.
A questo proposito è interessante considerare la riflessione avanzata da uno degli allievi di Lukacs, István Mészáros, il quale parla di distinzione tra divisione orizzontale e divisione verticale del lavoro
“Lo sviluppo della divisione funzionale del lavoro – in linea di principio universalmente applicabile – costituisce la dimensione orizzontale potenzialmente liberatrice del processo di lavoro del capitale. Comunque questa dimensione è inseparabile dalla divisione del lavoro verticale o gerarchica nel contesto della struttura di comando del capitale” [95]
Mészáros afferma che, in linea di principio, la divisione orizzontale del lavoro non è in contraddizione con il processo di liberazione del lavoro. Si tratta di un’affermazione importante, apparentemente in contrasto con la diffusa idea che il primo compito del socialismo debba essere quello di puntare a ridurre, e in prospettiva ad eliminare, la divisione del lavoro e innanzitutto la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, ciò che si dovrebbe realizzare grazie allo sviluppo di competenze globali (quindi andando in senso opposto alla specializzazione)
“il socialismo, come processo storico, può svilupparsi solo sulla base di una profonda trasformazione della divisione del lavoro, sulla base di una politica consapevolmente contraria alla divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, contro competenze ‘limitate’, a favore di ciò che Marx chiama ‘competenze a tutto tondo’” [96]
Il punto è: siamo davvero certi che uno scenario di superamento integraledella divisione del lavoro sia effettivamente ipotizzabile? Evidentemente no e non solo nel breve termine. Tra poco vedremo perché, in effetti, tale superamento non sia neppure auspicabile.
Mészáros riconosce correttamente che “nel contesto della struttura di comando del capitale” – nel capitalismo, per semplificare – la divisione orizzontale del lavoro (che è una “semplice” divisione tecnico-funzionale) risulta inseparabile dalla divisione verticale (che è invece una divisione sociale-gerarchica) ed anzi che la divisione tecnica è strettamente controllata da quella gerarchica.
“Un altro strumento attraverso cui passa la subordinazione del lavoratore al capitale è la divisione tecnica del lavoro. La divisione tecnica del lavoro (organizzazione del lavoro) cambia continuamente con lo svilupparsi del capitalismo. Infatti, essa è la forma di organizzazione sociale della produzione assunta di volta in volta dalla divisione sociale del lavoro tra detentori delle potenze intellettuali, borghesia e i suoi servitori, e lavoratori, produttori di plusvalore, il proletariato.
«Poiché la produzione e la circolazione delle merci sono presupposto generale del modo di produzione capitalistico, la divisione del lavoro di tipo manifatturiero richiede una divisione del lavoro all’interno della società che sia già giunta ad uno stadio di maturazione. Viceversa la divisione del lavoro di tipo manifatturiero sviluppa e moltiplica per reazione, la divisione sociale del lavoro». (Karl Marx, Il Capitale)” [97]
D’altra parte, ciò che è indubbiamente vero nel capitalismo non è detto che debba essere vero anche nel socialismo dove gli elementi che permetto il “riconoscimento sociale” – la “distinzione” [98], diciamo così – sono diventati profondamente diversi e dove è diventata chiara la comprensione della natura sociale di qualunque contributo individuale; dove è diventato chiaro che un chirurgo può operare a cuore aperto solo perché altri lavoratori hanno forgiato gli strumenti delicatissimi con cui egli opera (dai computer alla sala operatoria, dal bisturi ai generatori di corrente, dai suoi occhiali ai disinfettanti necessari per rendere sterile l’ambiente, ecc…) e senza i quali l’arte di salvare vite tornerebbe allo stadio dei salassi e delle purghe quale, in sostanza, era prima dello straordinario impulso offerto dall’evoluzione scientifica e tecnologica della modernità.
Perché è importante la distinzione tra divisione orizzontale e divisione verticale? Perché non è possibile immaginare nessuna grande chirurgia senza specializzazione. Bisogna dunque intendere nel modo giusto anche certe formulazioni di Marx ed Engels. Nell’Ideologia tedesca, ad esempio, c’è un passo tanto bello quanto problematico
“…appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.” [99]
La rappresentazione è certamente suggestiva ed in modo molto semplice dice qualcosa di molto importante: in una società comunista nessuno deve essere condannato a vita a svolgere un certo compito che gli viene imposto e dal quale non può sfuggire; nessuno deve essere condannato alla mutilazione della propria creatività, all’impossibilità di esprimere le proprie potenzialità, alla trasformazione del lavoro come attività creativa al lavoro come attività alienata e alienante [100]. Siamo nel “regno della libertà” dopotutto.
D’altra parte, chi vorrebbe essere operato a cuore aperto da qualcuno che la mattina fa il filosofo, a mezzogiorno il muratore e alle 5 del pomeriggio il cardio-chirurgo? Chi farebbe progettare un ponte ad un ingegnere che progetta ponti a ritaglio di tempo, tra una passeggiata nei boschi e una partita di scacchi? Annullare ogni forma di divisione tecnica del lavoro precipiterebbe l’umanità nel comunismo primitivo, non certo in quello vagheggiato da Marx o Lenin che, non dimentichiamolo, si determina storicamente come esito di un processo rivoluzionario che ha come proprio fondamento il superamento dialettico della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e forma capitalistica dei rapporti sociali di produzione [101].
Note
[92] Marx [1992].
[93] Cfr Marx [2004].
[94] Lenin [25], pag. 440.
[95] Mészáros [2006], pag. 30.
[96] Balibar [1977]. Balibar rincara la dose parlando di una “proletarizzazione generalizzata dell’intera società” che meriterebbe tuttavia di essere spiegata meglio per evitare che possa indurre pericolosi fraintendimenti: “socialism is a process in the course which the condition of the proletariat becomes generalized at the same time as it is transformed and tends to disappear. This is, in both senses of the term, the end point of the formation of the proletariat.”.
[97] Naville [1970], pag. 472.
[98] Cfr. Bourdieu [2001].
[99] Marx-Engels [2000], pag. 24.
[100] Cfr. Marx [2004].
[101] Marx [1974], pag. 5.