Antiper | Marx, accumulazione originaria e debito pubblico
Il processo dell’accumulazione originaria di capitale è un processo che ha attraversato diversi momenti
«sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni» [1]
Questi momenti, ad un certo punto – Marx dice: nell’Inghilterra del XVII secolo – vengono a combinarsi in modo sistematico grazie all’azione dello Stato che mira a
«fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico» [2]
Qui, in poche righe sono raccolti alcuni concetti importantissimi.
Il primo punto è il seguente: le condizioni storiche, economiche e sociali per la transizione dal modo di produzione feudale a quello capitalistico non si sono determinate spontaneamente, ma sono state favorite (fomentate artificialmente) dall’azione dello Stato.
Secondo. Lo Stato ha sostenuto lo sviluppo del processo di accumulazione originaria anche – e per certi aspetti soprattutto – ricorrendo all’uso della violenza (in questo stesso capitolo Marx ha già illustrato molto efficacemente la violenza sanguinaria con cui lo Stato aveva favorito l’espropriazione dei contadini, la loro riduzione in miseria, la repressione del loro inevitabile vagabondare e la creazione forzata di un esercito proletario eslege da rinchiudere nelle fabbriche cittadine).
Ma su questo punto Marx dice molto di più: dice che lo Stato è
«violenza concentrata e organizzata della società» [3]
e che
«La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica»
Lo avevamo scritto anche in passato: la guerra e la violenza (in questo caso contro i contadini) sono veri e propri interventi dello Stato in economia, vere e proprie potenze economiche [4]. E se si considera corretta la riflessione di Marx ne consegue che la violenza non potrà non essere la levatrice anche del passaggio dal modo di produzione capitalistico al socialismo, checché ne pensino le anime belle.
Naturalmente la storiografia – o, per meglio dire l’agiografia – del capitale ha sempre “dimenticato” di ricordare come si sono poste le condizioni storiche di avvio del processo dell’accumulazione capitalistica. In certi casi, incredibilmente, gli ideologi del capitale sono stati capaci addirittura di attribuire ad una non meglio precisata “etica” calvinista [5] l’origine dello spirito capitalistico (peraltro rovesciando idealisticamente il nesso causale tra base materiale e sovrastruttura ideologico-religiosa).
Terzo, il debito pubblico è uno degli elementi che ha favorito la nascita delle condizioni per l’affermazione del modo di produzione capitalistico.
Ci vogliamo soffermare proprio su questo ultimo punto provando, come esercizio mentale, a mettere a confronto le idee sul debito pubblico di Marx e quelle dell’odierna asin/istra.
Uno degli errori più gravi – in certi casi una delle mistificazioni più gravi – che vengono avanti in questa epoca di pensiero minimo consiste nel tentare di rinchiudere l’orizzonte delle possibilità nella dicotomia “austerità vs debito”. Certi settori del grande capitale promuovono il discorso dell’austerity sulla base del fatto che la crescita del debito pubblico, specialmente in un contesto in cui il debito pubblico è già a livelli stellari, porterebbe al collasso dello Stato. La risposta di alcuni settori della sinistra (ma anche di alcuni settori della destra) è che l’austerity fa male al popolo (e su questo non ci sono dubbi) e alla cosiddetta economia (ma di questo cosa ci importa se l’economia è l’economia dello sfruttamento che polarizza senza posa la società – o per meglio dire le società – in ristrette cerchie di ricchi e in masse crescenti di poveri?); bisogna dunque, dicono questi asin/istri, abbandonare l’austerity e usare la spesa pubblica per finanziare gli investimenti e il sostegno al reddito delle persone. C’è una fabbrica che chiude? Nazionalizziamola! Aumentano i poveri? Diamo loro un reddito equivalente a quello di un bracciante di Rosarno! I salari sono bassi? Mettiamo il salario minimo a 2000 euro al mese! E così via a spendere, quasi sempre in modo immaginario, ogni tanto realmente (come nel caso del super incentivo del 110% con il quale i milionari si sono rifatti la villa di campagna a spese di lavoratori e pensionati).
Volendo, non si tratta che di una versione modificata della classica ricetta keynesiana (lo Stato dia soldi a tutti per aumentare la domanda aggregata) che nella storia del ‘900 è stata applicata con scarsissimi risultati, ma che è rimasta un indomabile cavallo di battaglia di certi “amici del popolo” che vorrebbero fare, con poca fatica e in un sol colpo, il bene della “gente” e persino quello dell'”economia” (cioè a dire, del capitale).
Marx no. Marx aveva capito che la crescita del debito pubblico, di per sé stessa, poteva essere usata – e in effetti era stata usata – per colpire le masse popolari
«Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria» [6]
Noi oggi non sappiamo più quello che Marx sapeva dal momento che i nostri “tui” [7] hanno da molto tempo abbandonato Marx (ovvero l’idea della rivoluzione sociale e politica) per abbracciare tutte le varie forme di pre-post-proto-neo-quasi-keynesismo (ovvero l’idea che in fondo in fondo il mondo non sarebbe poi tanto male se solo il padrone accettasse – anche nel suo interesse, non c’è bisogno di dirlo – di sganciare un po’ di pecunia per i “rozzi proletari”, come li chiamava il Lord inglese). Un sacco di discorsi apparentemente dotti sulle virgole e i punti e virgola della più sperduta lettera scritta da Marx e poi la proposta politica: dare soldi alle imprese e ai poveri, grillinamente.
Ma Marx non sembrava pensare che l’incremento illimitato del debito pubblico fosse poi così tanto utile ai lavoratori
«il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna» [8]
«l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche»
Qualcuno dirà: se non volete il debito volete dunque l’austerità? Certo che no: noi non vogliamo né il debito, né l’austerità. Quello che vogliamo è buttare la dicotomia fuorviante “debito contro austerità” e ripristinare la dicotomia giusta “socialismo contro capitalismo”. Nessuna formula può essere buona sia per i lavoratori, sia per i capitalisti. Chi lo dice, certo, può anche essere solo un tonto; ma ben più spesso è un finto, tonto.
Note
[1] Karl Marx, Il capitale, libro I, Sezione XII, Il processo di accumulazione del capitale, Roma, Editori Riuniti, 1980, pag. 814.
[2] K. Marx, Ibidem, pag. 814.
[3] K. Marx, Ibidem, pag. 814.
[4] Antiper, La guerra come intervento dello Stato in economia. Una nota, in Neo-liberismo e anti-neo-liberismo tra Stato e mercato, Autoproduzioni, 2013.
[5] Cfr. Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, a cura di Giorgio Galli, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1991.
[6] K. Marx, Ibidem, pag. 817.
[7] Cfr. Bertolt Brecht, Il romanzo dei tui, L’Orma, 2016.
[8] K. Marx, Ibidem, pag. 817.