Karl Marx | Estetica (New American Cyclopaedia)
Dalla rivista « Arte e società», n. 10, ottobre 1973, trad. G. Gavinelli. E’ la stesura della voce ESTETICA scritta da Marx nel 1859 per la New American Cyclopaedia di New York, ma rimasta inedita fino al 1951, quando uscì sulle pagine di Communist Review n. 10 – ora in Marx, Arte e lavoro creativo, a cura di Giuseppe Prestipino, ed. Newton Compton, Roma 1976, pag. 152.
La scienza del bello in natura e in arte. Questo termine è stato introdotto nella nomenclatura della filosofia durante il presente secolo e significa precisamente «ciò che concerne le impressioni sensibili», da aisthitikós, percettibile coi sensi, che viene da aisthánomai, sentire o percepire attraverso i sensi.
Se si assume la triplice distinzione della natura, come è riconosciuto dagli psicologi più seri, nelle capacità di conoscere, agire e sentire (o intellezione, volizione e sensazione, cui corrispondono rispettivamente le idee del vero, del buono, e del bello), la scienza dell’estetica comporta le medesime relazioni nei confronti della sensibilità che la logica deve all’intelletto e l’etica alla volontà.
La logica (nel più generale significato del termine) determina le leggi del pensiero; l’etica le leggi dell’azione; e l’estetica le leggi del sentimento. La verità è l’aspirazione ultima del pensiero; la bontà l’aspirazione ultima dell’azione; e la bellezza l’aspirazione ultima della sensibilità. La scienza dell’estetica è ancora in una condizione precaria, e per molti aspetti soggetta a difficoltà specifiche, a causa delle diversità di gusti nelle nazioni e negli individui, e della libertà relativi all’arte più prossima. Ma per quanto le leggi del gusto possano essere meno definite di quelle della logica e dell’etica, non si può dubitare che siano ugualmente radicate nella natura umana, e che possano allo stesso modo essere condotte ad una sistemazione scientifica.
Finora, tuttavia, i filosofi hanno sostenuto una esigua unità tra i principi del bello e dell’arte. Ci sono soltanto due argomenti sui quali essi sembrano non contraddirsi, e cioè: che non esiste bellezza senza una forma bella, e che questa forma bella, per essere veramente bella o un’opera d’arte, deve far scorgere le idee, avere un substrato ideale, costituire il veicolo dei concetti, soddisfare tutte o quasi le facoltà della mente umana.
Ci sono due modi differenti di trattare e sviluppare l’estetica come scienza: il metodo «a priori», che si sforza di vagliare le nozioni estetiche proprie alla mente, e costruire su di esse un sistema astratto cui gli artisti vengono invitati a conformare le loro creazioni artistiche; ed il metodo «a posteriori», che prende inizio dalle opere d’arte conosciute per ricercare in esse ciò che costituisce il loro piacevole effetto e per stabilirne i risultati con regole pratiche conformi a quelle opere d’arte esistenti.
E’ evidente che nessuno di questi metodi, seguiti unilateralmente, possa giungere a ciò cui aspira, e cioè a stabilire una scienza del bello; non il primo, perché è esposto a smarrirsi nella infinita libertà che regna nei domini dell’arte; né il secondo, perché è soggetto a trascurare gli elementi ideali presenti nell’arte. Nella prima direzione hanno speculato numerosi filosofi di estetica, a cominciare da Pitagora e Platone, per proseguire con Baumgarten, Kant, Schelling, Schiller, Hegel e i suoi seguaci; nella seconda direzione Aristotele è stato il primo, e Heinse, Lessing, Winckelmann, Bayle, Rousseau, e gli scrittori francesi, inglesi e italiani hanno seguito le sue tracce.
Pitagora, da genio matematico qual era, tentò di ritrovare la bellezza e la sua forma nelle proporzioni numeriche, ma sappiamo troppo poco delle sue idee per soffermarci sui loro meriti. Socrate, secondo quanto lo interpretò Platone, identificava la bellezza con la bontà, chiamando le due cose con un nome solo, kalokagathón, il bello-e-buono, che definì misura dell’unità tra le idee eterne e la loro reale forma, esistente; ma secondo il suo pensiero, l’arte non pretende una esistenza autonoma dalla politica e dalla morale, o un trattamento indipendente in qualità di scienza.
Baumgarten, in Germania, fu il primo a rivendicare la dignità autonoma della bellezza, mostrando come ci sia, nella mente umana, una facoltà di percezione e di valutazione fondata sui sensi, consistente in una sorta secondaria di intelletto (cognitio sensitiva), che può essere condotta dalla ragione, ma non vi può essere equiparata.
Kant assunse e corresse questa posizione, assicurando che non è un intelletto inferiore ad essere affetto dalle percezioni del bello, bensì la più alta delle facoltà umane, la capacita di raziocinio e di giudizio. Per lui la bellezza è tutto ciò che possiede armonia ed è scopo a se stesso, e non è degradato a mezzo per esclusivi fini esteriori; sicché essa esiste di per sé, e costituisce l’opposto dell’utile.
Schiller fu il primo ad effettuare una rigorosa analisi di ciò che è il bello in sé, indipendentemente dai risultati della nostra percezione e del gusto, e della condizione della sua impressione piacevole nella mente. Distinguendo il bello in due tipi, lo «spontaneo» e il «sentimentale», egli ritrovò l’essenza del primo nella sua naturalezza, libertà dalla predeterminazione, e piacere fine a se stesso; e quella del secondo nel suo ardente desiderio di ritornare alla natura e alla semplicità di essa.
Schelling, e dopo di lui Solger, indica la bellezza come ultimo grado di identificazione tra ideale e reale, nel quale entrambi si trovano in unione così stretta che il primo costituisce lo spirito, il secondo il corpo, e l’infinita apparenza sotto forme finite interamente adeguate ad esprimere le loro perfezioni. Hegel (Estetica, 3 volumi, Berlino, 1842-43), ed i suoi due allievi più importanti che l’hanno seguito, V. Vischer (Estetica, 2 volumi, Reutlingen, 1846-1848), e A. Ruge (Neue Vorschule der Aesthetik, Halle, 1837), hanno sviluppato le idee di Schelling secondo un sistema più completo e geniale, ed hanno contribuito a dare un notevole impulso alla coscienza della natura della bellezza, mostrando che essa è il regno in cui l’idea assoluta e le sue finite manifestazioni ritrovano la loro infinita libertà dalla sostanza. Nel suo grado più basso, la bellezza di natura e storia, l’idea si realizza non coscientemente, e perciò in modo imperfetto. Nella loro sfera è soltanto adombrata e appare intrecciata con l’accidentale e il particolare. Nella mente umana essa esiste come libertà completa che cerca di ridurre e idealizzare la materia conferendole una forma adatta, e facendole esprimere l’infinito. In architettura, in scultura e in pittura, la mente opera ancora sotto i condizionamenti della materia; nella poesia ha il suo completamento, soggiogando la materia, e riducendola alla minimale dignità di mezzo per esprimere l’idea.
Da questo breve esame delle idee speculative sulla bellezza, è abbastanza evidente che possiamo raggiungere certe verità generali e astratte come la natura della bellezza, ma non approdare ad una più chiara comprensione o ad un migliore compiacimento dei capolavori propri alle arti. Aristotele applica le sue «Categorie» alla scienza della bellezza in arte, mostrando come tutte le espressioni d’arte più sincere racchiudano leggi e regole indispensabili da dover apprendere per essere apprezzate in maniera corretta, e per riprodurre opere artistiche in base al loro modello. Egli ne dà una completa spiegazione nella Poetica, nella quale era più naturale e facile dimostrarlo, stabilendo la necessità dell’unità di tempo, di luogo, e di azione, e indicando l’uso corretto delle domande: chi? che cosa? dove? a che proposito? perché? come? quando? Però non fece derivare le sue regole dalla natura e dai bisogni della mente umana; sicché per più di un secolo esse tennero il mondo artistico francese, sotto Luigi XIV e i suoi successori, nella schiavitù di dogmi tirannici.
Winckelmann, nella sua storia dell’arte, fa della scultura, della pittura e dell’architettura, quello che Aristotele aveva fatto della poesia.
W. Heinse, cui va il merito di aver definito i limiti di ogni arte, e di aver mostrato la capacità, gli effetti, e i mezzi specifici di distinzione di ciascuna dalle altre, non è ancora forse sufficientemente apprezzato; egli analizza le singole bellezze di ogni capolavoro di ciascuna arte nei minimi dettagli.
Lessing, in particolare nel suo Laocoonte, fa la stessa cosa seguendo la chiara luce di un insuperato genio artistico, e Goethe e J. P. Fr. Richter danno innumerevoli felici suggerimenti sulla bellezza in ogni suo aspetto.
Rousseau penetra con lo stesso spirito nel regno della musica, e cerca di ricondurre alla sua originale fonte il significato dei suoi mezzi di espressione.
Tra gli scrittori inglesi di estetica, Hutcheson e Burke hanno esaminato le origini delle nostre idee sulla bellezza con qualche ingegnosità, ma con poco approfondimento, mentre Dugat Stewart, Alison, Jeffey e Paine Knight, hanno presentato qualche suggerimento superficiale, ma con nessuna pretesa di accurata analisi filosofica.
C’e ancora un elemento nella scienza dell’estetica che è stato troppo poco riportato, e cioè la teoria delle proporzioni. Pitagora con le sue idee non ha trovato continuatori, poiché mostrava come la bellezza della forma in ultima istanza si basa sulla analisi di tutte le differenti forme di espressione artistica, e sull’espressione della particolare influenza che ciascuna produce sulla mente in accordo con la struttura psicologica di questa.
Ciò che Hauptmann (Harmonik und Metrik, Leipzig, 1850) ha tentato in tale direzione per la musica non è sufficiente e dovrebbe essere applicato ad ogni branca dell’arte. E’ su queste motivazioni che è stato detto come la scienza dell’estetica sia ancora alla propria infanzia. Si stanno ricercando gli elementi necessari per una costruzione speculativa e un ordinamento critico.
Noi ancora non conosciamo che cosa sia la «linea della bellezza» in architettura, in scultura, in pittura, e neppure da quali tratti di similarità essa operi sulle simpatie della mente; ancora non conosciamo da dove provengano le piacevolezze di una data melodia, né come si rivelino tali sentimenti nel nostro spirito; né che cosa sia a conferire ai vari ritmi, figure retoriche, immagini, e suoni del linguaggio la sua forza incantevole. Sotto questo aspetto poesia e musica hanno da tempo conseguito i più alti gradi del successo.
Allo scopo di completare gli elementi trascurati dobbiamo procurarci una migliore psicologia su base matematica, come quella di Herbart, ma al contempo fondata su un ricco patrimonio di osservazioni sperimentali appropriate; dobbiamo condurre una completa analisi delle forme artistiche fino ai più minuti dettagli e per ogni branca dell’arte, e in ultima istanza, ma non definitiva, una storia sistematica dell’arte, dai suoi stadi più primordiali e semplici. La realizzazione di questi compiti richiederà un lungo periodo di preparazione dei materiali per l’edificazione della scienza dell’estetica.
Non esiste ancora una completa e soddisfacente opera sulla estetica; ma tra quelle già pubblicate, lo studioso può consultare le seguenti con maggiore o minore vantaggio:
1) Weisse, System der Aesthetik, due volumi, Leipzig 1830; 2) Jouffroy, Cours d’esthetique, Paris, 1842; Cousin, Le vrai, Ie beau, et le bon; e in genere le opere di Ruskin.
Nella seconda edizione del 1879 di questa Enciclopedia, troviamo aggiunto un paragrafo che ripete un concetto per presentare una lista più ampia di autori.
Due teorie ampiamente diverse sulla realizzazione del bello nell’arte sono state adottate dalle diverse scuole. Uno, il metodo a priori, si sforza con ragionamenti astratti di determinare le leggi del bello, alle quali gli artisti devono conformarsi; l’altro, il metodo a posteriori, cerca il bello nelle opere d’arte esistenti, e dai risultati di tale indagine fa regole pratiche per l’orientamento futuro. Il primo ha tra i suoi aderenti la maggior parte dei tedeschi, e il secondo quasi tutti gli scrittori di estetica inglesi e francesi.
Gli autori tedeschi le cui opere meritano di più di essere studiate sono i seguenti:
A. G. Baumgarten, Æsthetica (Frankfort-on-the-Oder, 1750); Georg Friedrich Meier, Anfangagründe aller schönen Wissenschaften (1748); Hegel, Æsthetik (Berlino, ed. 1842-‘8); Weisse, System der Aesthetik (Lipsia, 1830); Schiller, Aesthetische Briefe, in opere nelle edizioni Cotta; Zimmerman, Geschichte der Aesthetik (Vienna, 1858); Vischer, Aesthetik, oder Wissenschaft des Schönen (Reutlingen, 1846-’57); Zeising, Aesthetische Forschungen (Francoforte, 1855); Köstlin, Aesthetik (Tubinga, 1863); Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, oder praktische Aesthetik (Frankfort, 1860-’63); J. Dippel, Handbuch der Æsthetik, ecc. (Ratisbona, 1871).
Tra gli inglesi, Dugald Stewart, Hutcheson, Alison, Jeffrey e Payne Knight hanno scritto sull’estetica; Burke ha scritto Un’indagine filosofica sull’origine delle nostre idee del sublime e del bello, ma il lavoro ha poca profondità. Le teorie opposte di questi scrittori più anziani hanno cessato da tempo di attirare l’attenzione; e, come in Germania, i lavori successivi sull’argomento hanno seguito il metodo a posteriori. Sir William Hamilton, è vero, nelle sue Lectures on Metafisics considera in astratto la filosofia del bello; ma altri scrittori recenti, come Ruskin, le cui opere estetiche sono le più voluminose, trattano la bellezza nella forma e nel colore. Si possono anche notare due recenti lavori americani: The Science of Esthetics, di Henry N. Day (New Haven, 1872), e Lectures on Esthetics, del professor John Bascom (New York, 1872 ).
Uno dei migliori scrittori moderni di estetica è il critico francese Hippolyte Adolphe Taine, i cui principali lavori sull’arte formano una serie di saggi sulle produzioni di quasi tutte le scuole. Vedere il suo Philosophie de l’art (Parigi, 1865), Philosophie de l’art en Italie (18 (56), Voyage en Italie (1866), L’idéal dans l’art (1867), Philosophie de l’art dans les Pays-Bas (1868), ecc., tradotto in inglese da J. Durand (New York, 1866-’70). Tra gli scrittori francesi più anziani su argomenti estetici ci sono Cousin (Le vrai, le lean et le bon) e Jouffroy (Cours d’esthetique, Parigi, 1842).
Pubblicato in nømade n.20 Giugno 2023, ARTEIDEOLOGIA