Marco Riformetti | Di ricette e cuoche
Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017
Come è noto, Marx ebbe a rivendicare [75], contro la critica dei positivisti francesi, la scelta di non prescrivere ricette comtiane per l’osteria dell’avvenire nella sua opera maggiore, Il Capitale. Ma il “fioretto” era arrivato tardi perché Marx si era già occupato da tempo dell’“osteria” (valgano per tutte le splendide pagine dedicate al “feticismo delle merci” [76]); e in ogni caso, del socialismo Marx si era già occupato a lungo in gioventù e se ne sarebbe occupato anche negli anni della maturità (si pensi alle “glosse” al programma di unificazione della socialdemocrazia tedesca che si tenne a Gotha nel 1875).
Lenin scrive il maggior numero di interventi su questo tema nella fase immediatamente precedente all’Ottobre e negli anni seguenti. Stato e rivoluzione è appunto uno dei momenti in cui Lenin immagina alcuni aspetti del socialismo e alcune delle sue caratteristiche sociali ed istituzionali.
La prima cosa che colpisce chi conosce poco Lenin è il fatto che, proprio alla vigilia della presa del potere, egli abbia voluto spingere la propria riflessione ben oltre la “contingenza”, ricollegandosi idealmente ad una fase che è persino ulteriore a quella socialista, ovvero alla fase comunista. Certo, la spinta a scrivere Stato e rivoluzione cresce nel clima rivoluzionario montante nell’estate del 1917, ma Stato e rivoluzione non deve essere pensato neppure un po’ come la voce del manuale del giovane rivoluzionario “come si costruisce lo Stato socialista”. Il tono visionario di Lenin è indubbiamente suscitato dal protagonismo delle masse nell’epopea rivoluzionaria in atto e niente affatto da un qualsivoglia ripensamento della sua tradizionale impostazione del rapporto tra partito e masse (come ben si vedrà in tutti gli scritti successivi all’Ottobre, da La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky a L’estremismo, malattia infantile del comunismo fino a tutte le prese di posizione in merito allo sviluppo del processo rivoluzionario). Per questa ragione, un’ipotesi come la seguente, pur essendo suggestiva, deve essere considerata irricevibile
“Stato e rivoluzione, in superficie, sembra essere completamente antitetico allo spirito e al programma delle principali opere di Lenin […]. Si è subito impressionati, leggendo Stato e rivoluzione, dal ruolo decisivo assegnato alle masse proletarie nella rivoluzione in corso, in contrasto con quello del partito, e con il loro ruolo nel processo di costruzione della nuova società socialista – con la sottolineatura delle capacità spontanee della classe operaia e con l’attenzione minima assegnata all’organizzazione e alla disciplina. L’approccio fortemente elitario che costituisce il tema principale di Che fare? e che è un elemento essenziale del leninismo, lascia il passo a tendenze spontaneistiche e anarchiche in Stato e rivoluzione; l’attenta pianificazione e organizzazione delle avanguardie lascia il passo all’improvvisazione impaziente e idealistica” [77]
Ma le cose stanno davvero in questo modo?
Leggiamo questo passaggio
“Educando il partito operaio, il marxismo educa una avanguardia del proletariato, capace di prendere il potere e di condurre tutto il popolo al socialismo, capace di dirigere e di organizzare il nuovo regime, d’essere il maestro, il dirigente, il capo di tutti i lavoratori, di tutti gli sfruttati, nell’organizzazione della loro vita sociale senza la borghesia e contro la borghesia” [78]
Leggendo letteralmente si potrebbe addirittura desumere che sia il partito operaio, il partito rivoluzionario, a “prendere il potere” e a guidare il resto del popolo verso il socialismo. Il ruolo del partito sarebbe dunque tutt’altro che ridimensionato. Ma anche questa è un’interpretazione discutibile; si deve piuttosto intendere che è il proletariato a conquistare il potere grazie alla capacità politica del proprio partito rivoluzionario.
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A Lenin viene generalmente attribuita l’affermazione secondo cui anche le cuoche dovrebbero (imparare ad) occuparsi delle cose dello Stato. Il senso di questa frase – che si dice sia contenuta in Stato e rivoluzione – sarebbe quello che gli affari dello Stato non dovrebbero restare appannaggio esclusivo di elìte specializzate, ma oggetto di dibattito tra tutti i cittadini. Ora, in Stato e rivoluzione, il senso di questa affermazione effettivamente c’è, ma la frase no [79].
Una frase simile si trova in un altro scritto
“«Non siamo degli utopisti. Sappiamo che una cuoca o un manovale qualunque non sono in grado di partecipare subito all’amministrazione dello Stato. In questo siamo d’accordo con i cadetti, con la Bresckovskaia, con Tsereteli. Ma ci differenziamo da questi cittadini in quanto esigiamo la rottura immediata con il pregiudizio che solo dei funzionari ricchi o provenienti da famiglia ricca possano governare lo Stato, adempiere il lavoro corrente, giornaliero di amministrazione. Noi esigiamo che gli operai e i soldati coscienti facciano il tirocinio nell’amministrazione dello Stato e che questo studio sia iniziato subito o, in altre parole, che si cominci subito a far partecipare tutti i lavoratori, tutti i poveri a tale tirocinio»” [80]
Si tratta di una frase molto suggestiva che richiama il problema posto da Platone nel IV libro de La Repubblica [81] dove il filosofo greco tratteggia una struttura sociale su tre livelli (filosofi, guardiani, “terzo stato”) che viene fatta corrispondere alla struttura tripartita dell’anima (logos, thymos, epithymia); una società nella quale la direzione dello Stato viene affidata alla casta dei filosofi che vengono preparati sin dalla nascita, attraverso una formazione specifica, ad occuparsi di tale compito.
Quando Lenin scrive
“Sappiamo che una cuoca o un manovale qualunque non sono in grado di partecipare subito all’amministrazione dello Stato”
sembra concordare con Platone che occuparsi dell’amministrazione dello Stato è qualcosa che non può essere fatto solo sulla base dell’essere cittadini e che serve un apprendistato – una formazione specifica – di cui i cittadini hanno bisogno. Questo fa pensare ad Alain Badiou [82] quando ripropone l’ipotesi platonica dei filosofi alla guida dello Stato, ma in un mondo dove tutti sono ormai divenuti filosofi ovvero in una società comunista. “Democrazia” è invece solo una parola vuota se le persone non hanno conquistato la formazione necessaria ad affrontare i complessi problemi etici e tecnici che presenta – ed ancora più presenterà – la vita sociale.
Il punto è che la formazione del cittadino “qualunque” – della cuoca come del manovale – non può avvenire “in vitro”, ma può darsi solo attraverso un tirocinio; un vero e proprio “training on the job”, come verrebbe chiamato oggi, un imparare sul campo; e imparare sul campo significa, inevitabilmente, compiere molti errori, per una lunga fase. Ma significa anche un’altra cosa, densa di implicazioni: significa che bisogna andare “a lezione dal nemico” per imparare a fare a meno di lui; del resto, con chi si può fare il tirocinio di cui parla Lenin se non con chi ha già assunto responsabilità nell’amministrazione dello Stato? Qui si misura la straordinaria “lungimiranza istintiva” di Lenin che coglie un punto che diventerà decisivo della fase successiva all’Ottobre. Ovvero, come coniugare la necessità di “andare a lezione” dalla borghesia e persino dal vecchio apparato zarista (se pensiamo ad esempio ai funzionari militari) e allo stesso tempo evitare che essi siano in grado di stendere la propria egemonia sul processo rivoluzionario ostacolandone – o addirittura invertendone – la direzione. Si tratta del dibattito sul comunismo di guerra, sulla NEP, sul capitalismo di Stato sotto la dittatura del proletariato (come definì Lenin la fase di transizione post-Ottobre che avrebbe dovuto avviare la costruzione della prima fase socialista) [83].
Note
[75] Marx [1970], Poscritto alla II edizione, pag. 37.
[76] Marx [1970], Libro I, Capitolo I, § 4, Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano, pag. 103. Cfr anche Iacono [2016].
[77] Barfield [1971], pp. 46, Traduzione mia.
[78] Lenin [25], pag. 382.
[79] “Noi, / anche ad ogni cuoca / insegneremo a dirigere lo stato”, Majakovskij [1958], pag. 309.
[80] Lenin [26], pag. 99.
[81] Cfr Platone [2006], IV libro, pag. 537.
[82] Cfr. Badiou [2013].
[83] Su questi temi è molto interessante la riflessione di Charles Battelheim in Bettelheim [1975].