Giulia Iacometti | L’origine marxiana del concetto di frattura metabolica
Tratto da Etica e politica nell’Antropocene (a partire dal contributo di Jason W. Moore), Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2018, PDF, 72 pagine.
John Bellamy Foster fissa il principale riferimento della teoria della “frattura metabolica” in due passi specifici de Il Capitale. Il primo passo è contenuto nel III libro:
“L’uso del concetto di metabolismo nel lavoro di Marx non era semplicemente (e neppure principalmente) il tentativo di risolvere un problema filosofico, ma piuttosto lo sforzo per fondare materialisticamente la propria critica sull’economia politica nel quadro delle relazioni uomo-natura che sorgevano dalla scienza della natura dei suoi tempi. Era fondamentale sia per la sua analisi della produzione di valori d’uso che per la sua analisi del processo lavorativo. Fu in questo quadro che Marx sviluppò la sua principale critica ecologica, quella della frattura metabolica, o, come ebbe a dire, la
“irreparabile frattura nel processo interdipendente del metabolismo sociale, un metabolismo prescritto dalle leggi naturali della vita stessa.” [1] ” [2]
Secondo Marx, mano a mano che va avanti il processo di urbanizzazione (che accelera con lo sviluppo del processo di industrializzazione capitalistica) si genera una frattura nel “metabolismo sociale” che lega uomo e natura
“Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula da un lato la forza motrice storica della società, dall’altro turba il ricambio organico fra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall’uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario, turba dunque l’eterna condizione naturale di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale” [3]
Questo secondo passo di Marx è importante per vari motivi; in primo luogo perché costituisce una fonte della teoria della “frattura metabolica” di John Bellamy Foster, ma anche per un altro motivo. Infatti, se l’industrializzazione capitalistica spezza il ricambio organico naturale tra società e natura è evidente che tale ricambio deve essere prodotto – ove possibile – in modo artificiale, magari attraverso il ricorso a tecnologie capaci di aumentare la produttività di una terra impoverita dal saccheggio capitalistico [4]
“Ma insieme essa costringe mediante la distruzione delle circostanze di quel ricambio organico, sorte per semplice spontaneità naturale, a produrre tale ricambio in via sistematica, come legge regolatrice della produzione sociale, in una forma adeguata al pieno sviluppo dell’uomo” [5]
Il primo esempio di tecnologie artificiali usate per aumentare la produttività della terra che viene alla mente è quello degli OGM. Ma Jason Moore afferma che neppure le sementi OGM sono state in grado di aumentare la produttività della terra perché questa si ribella, a modo suo, attraverso fenomeni come quelli delle “super erbacce” [6] e questo si traduce in un aumento dei costi di ri-produzione ambientali.
Il passo integrale del III libro de Il Capitale Marx citato da Foster è il seguente
“D’altra parte la grande proprietà fondiaria riduce la popolazione agricola ad un minimo continuamente decrescente e le contrappone una popolazione industriale continuamente crescente e concentrata nelle grandi città; essa genera così le condizioni che provocano una incolmabile frattura nel nesso del ricambio organico sociale prescritto dalle leggi naturali della vita, in seguito alla quale la forza della terra viene sperperata e questo sperpero viene esportato mediante il commercio molto al di là dei confini del proprio paese (Liebig)” [7]
Come si vede, questa traduzione riporta la locuzione “ricambio sociale organico” e non quella di “metabolismo sociale”. Non è un caso. Per lungo tempo il termine metabolismo non è stato usato per tradurre il passo di Marx (il che sarebbe dovuto a questioni “tecniche” [8]); la sostanza, tuttavia, non cambia.
Non è poi da sottovalutare il fatto che Marx parli di frattura “irreparabile” (ovviamente, stante il modo di produzione capitalistico). Il che testimonia un elemento politico importante: per Marx il socialismo – e, soprattutto, il comunismo – sono l’unica possibilità del genere umano per ricostruire un rapporto armonico con la natura o, per dirla alla Moore, tra natura umana e natura extra-umana.
Dai due riferimenti di Marx, John Bellamy Foster trae le proprie conclusioni. Innanzitutto sottolinea il concetto di “frattura” (rift)
“il concetto teorico centrale di una “frattura” nella “interazione metabolica tra l’uomo e la terra”, cioè il “metabolismo sociale prescritto dalle leggi naturali della vita”, attraverso la rapina degli elementi costitutivi del suolo, che richiede il suo “sistematico ripristino”.” [9]
La “frattura metabolica” mette fine al ricambio organico tra società e natura e da’ inizio alla semplice rapina (robbery) di natura da parte dell’uomo ovvero ad una condizione in cui ciò che viene prelevato dall’uomo non viene più riportato in natura, ciò che impedisce la riproduzione naturale delle condizioni originarie. Non c’è più relazione biunivoca (almeno nella sostanza), ma unilateralità.
Dopo quello di “frattura” John Bellamy Foster sottolinea l’uso marxiano del concetto di metabolismo (corrispondente al termine Stoffwechsel usato da Marx)
“Il lavoro è, prima di tutto, un processo tra uomo e natura, un processo mediante il quale l’uomo, attraverso le proprie azioni, media, regola e controlla il metabolismo tra sé e la natura. Egli affronta i materiali della natura come una forza della natura. Mette in moto le forze naturali che appartengono al suo stesso corpo, alle sue braccia, alle sue gambe, alla sua mente e alle sue mani, al fine di appropriarsi della natura in una forma adatta alle proprie esigenze. Attraverso questo movimento agisce sulla natura esterna e la modifica, e in questo modo cambia simultaneamente la propria natura… [il processo del lavoro] è la condizione universale per l’interazione metabolica [Stoffwechsel] tra uomo e natura, l’eterna condizione imposta dalla natura dell’esistenza umana.” [10]
Il termine Stoffwechsel ha a che fare con un vero e proprio “scambio materiale”. Per avere un’idea del suo significato nel nostro contesto possiamo pensare al “ciclo delle acque”: l’uomo preleva acqua dalla natura (dai fiumi o dalla pioggia), per usarla in agricoltura o per berla o per lavare… Dopo vari passaggi, anche tortuosi, l’acqua “torna in natura” (ed è per questa ragione che è importante accertarsi che essa non sia inquinata e dia origine a fenomeni come quelli delle cosiddette “piogge acide”). Ovviamente un ciclo di questo tipo non può darsi con prodotti naturali come il petrolio che una volta estratto e consumato in nessun modo ritorna in natura, tanto meno sotto forma di petrolio (e per questa ragione tale fonte energetica viene definita “non rinnovabile”).
Per Marx il ricambio organico, materiale, che fonda il metabolismo uomo-natura si interrompe con lo sviluppo dell’industrializzazione capitalistica, quando gli uomini cominciano a consumare natura senza che essa venga ripristinata.
In ogni caso, per Marx il fondamento del ricambio organico con la natura è il lavoro
“[Quella di] “metabolismo” è la metafora centrale per la definizione di lavoro in Marx e per l’analisi del rapporto tra uomo e natura” [11]
Con lo sviluppo del capitalismo il lavoro è sottomesso ad una tensione verso un’accumulazione illimitata da ottenersi attraverso una illimitata produzione di merci che per essere realizzata ha bisogno di un illimitato saccheggio della natura al quale non corrisponde più alcun ricambio reale.
Note
[1] K. Marx, Capital, vol. 3 (London: Penguin, 1981), 949.
[2] J. B. Foster, Marx and the Rift in the Universal Metabolism of Nature, Monthly Review, 1 dicembre 2013 (This article is an expanded and slightly altered version of a keynote address under the same title presented to the Marxism 2013 Conference in Stockholm on October 20, 2013. That address built on ideas introduced in the author’s Rosa Luxemburg Lecture, “The Great Rift,” presented to the Rosa Luxemburg Stiftung in Berlin on May 28, 2013): “Marx’s use of the metabolism concept in his work was not simply (or even mainly) an attempt to solve a philosophical problem but rather an endeavor to ground his critique of political economy materialistically in an understanding of human-nature relations emanating from the natural science of his day. It was central to his analysis of both the production of use-values and the labor process. It was out of this framework that Marx was to develop his major ecological critique, that of metabolic rift, or, as he put it, the
“irreparable rift in the interdependent process of social metabolism, a metabolism prescribed by the natural laws of life itself.””.
[3] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Einaudi, pag. 551.
[4] Ma anche attraverso il riciclo che riporta prodotti finali di un ciclo produttivo allo stadio iniziale di materie prime per nuovi cicli produttivi.
[5] K. Marx, Il Capitale, Einaudi, pag. 551.
[6] Cfr. J. W. Moore, 4. Il cibo a buon mercato e la chiusura della grande frontiera:supererbacce e altre barriere per una nuova rivoluzione in agricoltura; in Cibo a buon mercato e moneta cattiva. Cibo, frontiere e finanziarizzazione nell’ascesa e crollo del neoliberismo, in Ecologia-mondo e crisi del capitalismo.
[7] K. Marx, Il Capitale, Libro III, Cap. 47.
[8] I. Angus, Marx and Metabolism: Lost in translation?, in Climate and capitalism, 1 maggio 2018. http://climateandcapitalism.com/2018/05/01/marx-and-metabolism-lost-in-translation/
[9] J. B. Foster, Marx and ecology, pag. 156: “the central theoretical concept of a ”rift” in the “metabolic interaction between man and the earth,” that is, the “social metabolism prescribed by the natural laws of life,” through the “rubbing” of the soil of its constituent elements, requiring its “systematic restoration.”.
[10] Marx, Capital, vol. I, 283, 290 [(New York:Vintage, 1976)]: “Labour is, first of all, a process between man and nature, a process by which man, through his own actions, mediates, regulates and controls the metabolism between himself and nature. He confronts the materials of nature as a force of nature. He sets in motion the natural forces which belong to his own body, his arms, legs, head and hands, in order to appropriate the materials of nature in a form adapted to his own needs. Through this movement he acts upon external nature and changes it, and in this way he simultaneously changes his own nature…. It [the labor process] is the universal condition for the metabolic interaction [Stoffwechsel] between man and nature, the everlasting nature-imposed condition of human existence.” [trad. mia].
[11] Swyngedouw, Heynen, Kaika, In the Nature of Cities, pag. 24. ““metabolism” is the central metaphor for Marx’s definition of labour and for analyzing the relationship between human and nature”.