Antiper | Lavoro e ciclo di accumulazione
Il II libro de Il Capitale esordisce con un breve riepilogo sul funzionamento del ciclo di accumulazione nel modo di produzione capitalistico; qui Marx spiega come tale ciclo sia composto essenzialmente da tre fasi:
– in una prima fase il capitalista agisce da compratore
“il capitalista appare sul mercato delle merci e sul mercato del lavoro come compratore; il suo denaro viene convertito in merce, ossia compie l’atto di circolazione D-M.” [1]
Egli sa già quale merce intende produrre e si procura macchine, materie prime e forza lavoro in modo adeguato alla produzione di tale merce.
“Da una parte vi sono mezzi di produzione, dall’altra forza-lavoro, fattori oggettivi e personali della produzione di merci, la cui natura particolare deve naturalmente corrispondere al tipo dell’articolo da produrre” [2]
– in una seconda fase il capitalista agisce da produttore
“consumo produttivo da parte del capitalista delle merci acquistate. Egli opera come produttore capitalistico di merci; il suo capitale compie il processo di produzione.”
“II risultato è: merce di valore maggiore di quello dei suoi elementi di produzione.” [3]
Si parla qui di “consumo produttivo” ovvero di consumo dei fattori produttivi che il capitalista ha acquistato nella prima fase.
Attenzione alla seconda proposizione: il processo produttivo deve sempre creare alla fine un valore superiore a quello che esisteva all’inizio (e come sappiamo dal Libro I Marx chiama questa differenza tra valore iniziale e valore finale plusvalore). Può succedere che il valore finale sia inferiore a quello iniziale? Certo, può succedere, ma non può essere la norma.
– c’è infine una terza e ultima fase in cui il capitalista agisce come venditore
“il capitalista si ripresenta sul mercato come venditore; la sua merce viene convertita in denaro, ossia compie l’atto di circolazione M-D”
Si tratta dello stadio della realizzazione. Il valore della merce prodotta grazie alla trasformazione delle materie prime e dei semilavorati iniziali operata dai lavoratori (con l’uso di strumenti e macchine) viene realizzato, monetizzato, con la sua vendita.
Il ciclo del capitale è dunque D-M-D’.
È importante qui sottolineare che la valorizzazione del capitale si conclude positivamente solo con la vendita delle merci e che dunque rientrano nel ciclo di valorizzazione tutte le attività finalizzate a tale scopo.
Produrre merci che rimangono invendute perché non hanno trovato un compratore non valorizza un bel nulla, se non in modo puramente potenziale (e di certo non sono i valori potenziali quelli che interessano al capitalista che ha invece anticipato valori reali; tanto è vero che in particolari contingenze il capitalista è disposto persino ad abbassare i prezzi di vendita delle merci al di sotto del loro valore pur di rientrare almeno di una parte del capitale).
Nella figura abbiamo evidenziato il “vincolo capitalistico” con la condizione
D’ > D
(non c’è bisogno di dire che il capitalista è tanto più felice quanto maggiore è la differenza tra D e D’, il profitto).
Abbiamo specificato due condizioni:
1) il valore d’uso di M’ deve essere diverso da quello di M
Si tratta di una condizione molto intuitiva. Ciò che è utile al capitalista per produrre il suo prodotto non è ciò che utile a chi deve comprare il prodotto. Al produttore di automobili interessano lamiere, fili elettrici, gomme, batterie, pezzi meccanici, stoffe… Ai compratori di automobili tutto questo non interessa perché vogliono solo guidare l’auto, non assemblarla.
2) il valore di scambio di M’ deve essere maggiore di quello di M
Anche questa condizione è piuttosto intuitiva se ricordiamo che alla fine del ciclo deve essere D’ (prezzo di vendita di M’) maggiore di D (costo di acquisto di M). Come sappiamo dal Libro I de Il Capitale tutto questo è possibile solo perché tra le forze produttive che formano M ce n’è una molto particolare – la forza lavoro, L – che possiede come peculiare valore d’uso quello di creare nuovo valore quando viene consumata. Affinché il ciclo di accumulazione possa realizzarsi [4] è dunque sempre necessario che vi sia il passaggio intermedio della produzione e che in tale passaggio venga consumata una certa quantità di merce forza-lavoro.
Una breve (ma importante) considerazione finale. Anche i mezzi di produzione sono merci che escono da un processo produttivo e incorporano una certa quantità di valore derivante dal lavoro umano speso nelle fasi precedenti: si tratta di quello che Marx chiama lavoro “morto” per indicare che una volta cristallizzatosi nella merce prodotta (in questo caso il mezzo di produzione) questo lavoro non è più in grado, di per sé, di creare ulteriore valore, come invece fa il lavoro “vivo” che usa tale merce nel processo produttivo corrente.
Anche quando la produzione di qualcosa sembra realizzarsi senza intervento umano come farebbe, secondo alcuni, una pura intelligenza artificiale si deve sempre ricordare [5] che questa “intelligenza” gira su hardware e software molto complessi che provengono da filiere produttive molto lunghe, articolate nello spazio e nel tempo, all’interno delle quali hanno operato migliaia di lavoratori (nelle miniere, negli impianti siderurgici, nelle fabbriche di hardware, nelle software factories… per non parlare di tutti i sistemi energetici, di trasporto, di ricerca, di promozione… coinvolti; è ciò che Marx chiama socializzazione del lavoro e il modo di produzione capitalistico offre una spinta potente al suo sviluppo. Se ad uno sguardo superficiale il lavoro vivo sembra poco è solo perché esso è solo la punta di un iceberg che sotto la superficie presenta una gran quantità di lavoro morto cioè di lavoro che era vivo nelle fasi precedenti.
Note
[1] Karl Marx, Il Capitale, Libro II, Capitolo I, Il ciclo del capitale monetario, pag. 29, Editori Riuniti, 1980, Roma.
[2] Karl Marx, Ibidem, pag. 30.
[3] Karl Marx, Ibidem, pag. 29.
[4] E il processo produttivo deve “realizzarsi” anche nel senso che la merce sfornata dalla produzione deve essere realizzata ovvero venduta al suo valore.
[5] E avrebbero fatto bene a ricordarlo soprattutto quei post operaisti che negli anni ‘90 si erano messi a leggere il cosiddetto “frammento sulle macchine” contenuto nei Grundrisse di Marx come fine della teoria del valore-lavoro.