Marco Riformetti | Umberto Massola e gli scioperi del marzo-aprile 1943. Gli anni della preparazione
Tratto da Marco Riformetti, Umberto Massola e gli scioperi del marzo-aprile 1943, Paper per l’esame di Storia dell’Italia Contemporanea, Storia e civiltà, Pisa, giugno 2022
Come vedremo meglio più avanti l’ipotesi centrale di questa ricerca è che nell’ondata di scioperi del marzo-aprile 1943 (e a maggior ragione in quelli successivi) si sia dato un rapporto dialettico tra l’influenza dei fattori economico-sociali oggettivi (la guerra e la paura dei bombardamenti, la povertà crescente…) e l’influenza di fattori soggettivi (l’azione politica e organizzativa degli antifascisti, segnatamente del partito comunista). Ma quale era, dunque, la capacità di azione politica e organizzativa degli antifascisti alla vigilia del marzo 1943?
1.1 Prima del rientro
Il racconto autobiografico che Umberto Massola fa del lungo percorso che lo conduce al rientro in Italia comincia con la retata di Parigi del 1939, proprio nelle settimane in cui la Germania occupa la Polonia
«I giorni successivi all’aggressione tedesca contro la Polonia furono tremendi. I governi di Francia e di Inghilterra avevano dichiarato lo stato di guerra alla Germania e avevano portato al parossismo la loro propaganda contro l’URSS. In Francia una delle più violente repressioni poliziesche si era abbattuta contro i comunisti» [1]
Per i comunisti la situazione è dunque difficilissima non solo in patria, ma anche all’estero. Togliatti trascorre oltre 6 mesi in carcere e dopo il rilascio si trova di fronte ad un dilemma: restare in una condizione di precaria e vigilata legalità oppure entrare in clandestinità e sottrarsi al controllo delle autorità francesi. Massola spinge per la seconda ipotesi e Togliatti lo segue [2]. Si tratta di un aneddoto che mostra due cose: l’ascolto che viene dato ai suggerimenti di Massola e la sua attitudine per il lavoro clandestino, un’attitudine che si rivelerà molto utile nella ricostruzione della rete comunista a Milano e Torino.
Nelle sue memorie del periodo 1939-1941 Massola si sofferma ripetutamente sulla situazione bellica [3], parla di come viene giudicato in Francia il patto di non aggressione russo-tedesco e dei riflessi della resistenza spagnola nella Guerra Civile contro i franchisti; commenta inoltre l’azione militare preventiva che l’URSS ha condotto contro la Finlandia, alleata dei nazisti.
Relazionando sull’attività svolta dal partito durante i 6 mesi di prigionia di Togliatti Massola segnala la permanenza di due grandi problemi: la totale assenza di un organo di stampa e la perdurante difficoltà ad impiantare un centro dirigente in Italia.
Per superare il problema della stampa clandestina viene avviata la realizzazione di un foglio – le Lettere di Spartaco [4] – che verrà pubblicato all’estero dall’ottobre del 1939 fino all’agosto del 1943 [5].
A proposito della ricostruzione del centro interno in Italia Massola ha in mano una proposta a cui ha cominciato a lavorare sin dal precipitoso rientro a Parigi dopo l’infelice tentativo del 1938 [6] allorché, entrato in Liguria attraverso la Francia meridionale e salito a Milano per incontrare il proprio contatto, si accorge che la polizia sorveglia i clandestini e che quindi non c’è spazio di azione. Massola è costretto ad annullare la missione e a ripartire: è rimasto in Italia solo 4 giorni – dal 22 al 26 marzo 1938 –.
Il 1940 è un anno cruciale perché il Governo fascista sta preparando l’ingresso in guerra dell’Italia (anche se inizialmente Mussolini dichiara la “non belligeranza”)
«la borghesia italiana e il governo fascista avevano aggravato lo sfruttamento e la oppressione dei lavoratori: il limite della settimana lavorativa precedentemente fissato in quarantotto ore era stato soppresso e, quindi, era stata eliminata nello stesso tempo la percentuale di maggiorazione per le ore straordinarie eccedenti a tale durata; i prezzi dei generi di prima necessità e quelli in gran parte dei consumi popolari quali il gas, l’elettricità, il carbone, gli affitti, ecc. erano stati rialzati; i fiduciari elettivi nei sindacati fascisti erano sostituiti con dei fiduciari nominati dal partito fascista» [7]
Il regime comincia ad imporre la precettazione dei lavoratori per ridurre ogni loro residua autonomia; i comunisti rispondono con la politica del «fronte unico dal basso» nel quale intendono coinvolgere tutti i lavoratori dal momento tutti sono colpiti dal diffuso e drammatico peggioramento delle condizioni di vita [8]. La linea è quella di
«…unire tutti gli operai cattolici, fascisti e, attorno alla classe operaia, [unire] tutto il popolo «in una lotta incessante per la difesa dei salari e degli stipendi, per ottenere la libertà di discussione, di riunione, di stampa e la liberazione di tutti i condannati e confinati politici, […] per ottenere una politica di pace» [9]
Insomma: pane, pace, libertà.
L’ingresso in guerra dell’Italia è imminente; quando questo avverrà attraversare il confine con la Francia diventerà estremamente difficile. Si deve dunque pensare subito ad una base operativa in un altro paese: inizialmente viene indicata la Svizzera, che è paese neutrale, ma poi si opterà per la Jugoslavia che è anch’esso neutrale, sia pure ancora per poco. Togliatti va a Mosca.
Massola racconta le vicissitudini attraversate durante il periodo jugoslavo che inizia nell’aprile del 1940, poco prima della dichiarazione di guerra di Mussolini; parla dell’arresto di Rigoletto Martini («Tuti») – che era stato inviato in Jugoslavia proprio per coadiuvare Massola [10] – e dell’attacco congiunto di Germania e Italia contro la Jugoslavia con i bombardamenti sulle grandi città, la smobilitazione dell’esercito sloveno e la nascita della resistenza jugoslava organizzata.
Dopo 14 mesi di permanenza, il 31 luglio 1941 Umberto Massola riparte da Lubiana: direzione Milano.
1.2 Dal rientro al 1943
Il rientro in Italia è difficilissimo; anche solo trovare una sistemazione sembra essere un problema enorme. La moglie e la figlia di Massola devono peregrinare per trovare un alloggio e sono rifiutate persino dalle famiglie che hanno paura della repressione fascista. Ma anche molti antifascisti sono titubanti: temono che l’arrivo di un membro della Direzione del partito possa scatenare la repressione fascista e qualcuno si oppone persino alla distribuzione di volantini tra i membri dell’organizzazione. Il fatto è che, dopo le difficoltà degli ultimi anni, incombe intorno al fascismo ancora un’aurea di invincibilità
«occorreva dimostrare non solo che i nazifascisti non erano invincibili, che la polizia fascista non era onnipotente, ma anche combattere le posizioni sbagliate che si manifestavano tra i compagni» [11]
«bisognava fare sapere che non era sufficiente dirsi comunisti per considerarsi iscritto al partito; non era un titolo sufficiente quello di essere stato arrestato e condannato dal tribunale fascista sotto la imputazione di comunista per considerarsi automaticamente iscritto al partito comunista» [12]
Sono due punti importanti. La disgregazione delle organizzazioni antifasciste durante il “ventennio” ha provocato un sentimento di isolamento e di impotenza anche tra i lavoratori che vorrebbero opporsi al regime e questo ne frena l’iniziativa. Ma questa difficoltà non deve tradursi nella disponibilità del partito ad allargare le proprie maglie; non si fa parte del partito perché ci si sente comunisti o perché si è subita una qualche forma di repressione, ma perché se ne riconosce la linea politica e si è disposti a realizzarla, osservando scrupolosamente le regole della cospirazione per non mettere inutilmente in pericolo sé stessi o altre persone.
L’avvio di una produzione “di massa” della stampa clandestina è, assieme alla ricostituzione del centro interno, uno degli obbiettivi fondamentali di cui Massola è incaricato. Ma la cosa non è facile. Non solo per via dei tanti problemi tecnici, ma anche per via dei problemi di sicurezza. Un giornale interregionale segnala la riattivazione dell’organizzazione comunista e attira la repressione del regime.
Per ovviare alla mancanza di mezzi per la stampa tipografica (e anche di semplici macchine da scrivere) la prima fase della produzione e distribuzione della stampa clandestina viene realizzata attraverso quaderni redatti a mano; il «Quaderno del lavoratore» è un
«periodico manoscritto, nato per pubblicare documenti e appelli del Partito, nonché le notizie diffuse da Radio Mosca e Radio Londra» [13]
Il fatto di ricopiare a mano i contenuti svolge anche una funzione pedagogica in quanto la trascrizione è anche un momento di apprendimento più approfondito della semplice e fugace [14] lettura.
Ma ad un certo punto la rete diventa troppo grande per essere gestita solo attraverso i quaderni; bisogna passare ad una vera e propria pubblicazione che però nell’immediato non può ancora essere «l’Unità»: nasce «Il grido di Spartaco» [15], di cui usciranno cinque numeri, l’ultimo dei quali nel giugno del 1942 [16].
È interessante osservare come per il primo numero Massola scriva un articolo [17] in cui cita l’esempio di una lotta operaia vincente
«mi limitavo a riportare l’esempio di due scioperi provocati dal tentativo dei padroni di diminuire le paghe alle mondine e agli operai di una officina meccanica. Scioperi che si erano conclusi con pieno successo» [18]
Massola scrive anche un promemoria per i compagni che svolgono il ruolo di dirigente nei gruppi in cui è compartimentato il partito; questo promemoria è diviso in due parti: nella prima parte Massola riepiloga la situazione politica (e geopolitica) [19]; nella seconda parte presenta «gli obiettivi della politica del partito e l’azione che bisognava svolgere»; in questa seconda parte vengono riassunte le indicazioni operative per il lavoro clandestino: rigida compartimentazione, piccoli gruppi, preservazione della stampa clandestina, esclusivo reclutamento di persone affidabili e dal comportamento serio, stretta relazione con i lavoratori e con le masse… [20]
Queste direttive sono importanti perché la ricostruzione del partito comunista è in sé stessa un progetto illegale che deve essere portato avanti attraverso un’attività lenta e meticolosa [21] di tipo clandestino
«Prima di abbordare un nuovo adepto, ci preoccupavamo di studiarlo bene in ogni risvolto, in modo da essere il più possibile sicuri della serietà della persona e ci desse tutte quelle garanzie che il lavoro clandestino richiedeva» [22]
L’organizzazione è fortemente compartimentata, i nuclei comunisti sono molto piccoli con pochi contatti “orizzontali” e un unico contatto “verticale” per evitare arresti a catena.
Verso la fine del 1941 la comunicazione tra Massola e il Centro Estero è ancora molto difficile al punto tale che Massola confessa di aver avuto segnali di vita dal Centro Estero solo dopo 16 mesi dal suo rientro e oltretutto solo in modo indiretto, grazie ai contatti con la Francia della compagna «Sciarpa» di Torino [23].
Se il 1941 era cominciato all’insegna dell’euforia nazifascista per l’occupazione della Slovenia e per l’attacco contro l’URSS alla fine dell’anno le cose sono ben diverse
«l’esercito rosso, dalla tenace resistenza era passato con successo al contrattacco, ed in Jugoslavia […] era in pieno svolgimento la guerra partigiana» [24]
Nello stesso tempo la ricostruzione del Centro Interno procede, soprattutto a Milano e Torino. Anche il rapporto con la classe operaia è in sviluppo
«Il bilancio di cinque mesi di un lavoro di direzione annoverava tra l’altro lo sviluppo, il consolidamento e l’attivizzazione di gruppi di compagni in molte fabbriche di Milano, di Torino e di altre località» [25]
1.3 Lo sviluppo della rete e della stampa clandestine
La ristrutturazione della rete antifascista incontra molte difficoltà, come quella che i vecchi attivisti sono ormai noti alla polizia e dunque sono tenuti sotto controllo.
Diventa quindi particolarmente importante il reclutamento dei giovani che sono sconosciuti alle autorità.
«…operai che, per le esperienze di vita o per il temperamento, hanno autonomamente maturato sentimenti antifascisti. Francini [26] ritiene che si debbano valorizzare soprattutto questi ultimi: i vecchi militanti sono spesso conosciuti e sorvegliati dalla polizia fascista. In questo senso, le sue idee convergono con quelle di Massola» [27]
Peraltro i giovani operai non conoscono lo sciopero come forma di lotta perché è dagli anni ‘20 [28] che è proibito
«Era la prima volta che sentivo parlare di sciopero, non sapevo che cosa volesse dire» [29]
È l’organizzazione clandestina che sceglie le forme di lotta, le parole d’ordine, le tempistiche…
Pur in mezzo a mille difficoltà la stampa clandestina comincia a circolare in modo relativamente diffuso, costituendosi come strumento di indirizzo politico e di controinformazione, con una diffusione che in talune circostanze arriva a parecchie centinaia di copie che vengono passate di mano in mano (purché siano mani sicure). Ovviamente, le difficoltà nella produzione della stampa comunista sono sempre numerose: dopo una prima fase di produzione tipografica «Il Grido di Spartaco» torna ad essere realizzato in forma dattiloscritta con una compagna – Nella Marcellino – che lo batte in ufficio quando il capo si assenta o durante le pause. Grazie ad un certo sforzo finanziario viene comprata una macchina da scrivere usata e da allora Nella può battere il «Grido» a casa la sera e nei fine settimana [30]. Addirittura, nel bombardamento di Milano del 24 ottobre 1942 la tipografia della “casa degli sposini” [31] in cui si stampa «l’Unità» viene bombardata e la strumentazione sopravvissuta deve essere trasferita d’urgenza [32].
Note
[1] MASSOLA [1972], pag. 10.
[2] Anche nel senso che andrà ad abitare con la famiglia di Massola (MASSOLA [1972], pag. 29).
[3] E anche di quella pre-bellica, per quanto riguarda l’Italia.
[4] MASSOLA [1972], pag. 45.
[5] Fondazione Gramsci, Archivi della Resistenza, «Lettere di Spartaco» e numeri spuri de «Il grido di Spartaco» (link).
[6] MASSOLA [1972], pag. 15.
[7] MASSOLA [1972], pag. 67.
[8] L’atteggiamento di dialogo nei confronti dei lavoratori (e più in generale delle masse) ancora influenzate dalla propaganda fascista è ricorrente nella linea dei comunisti; si pensi ad esempio al discusso Appello ai fascisti pubblicato in Francia su Stato operaio nell’agosto del 1936 in cui si riconosceva persino il programma fascista del 1919 («I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di libertà»).
[9] MASSOLA [1972], pag. 68.
[10] Cfr. MASSOLA [1972], V. Primi collegamenti con i compagni di Milano per preparare il rientro in Italia, Luciano Giuricin, La missione jugoslava di Rigoletto Martini, Centro di ricerche storiche di Rovigno.
[11] MASSOLA [1972], pag. 123.
[12] Ibidem, pag. 123.
[13] Fondazione Gramsci, Profilo di Umberto Massola.
[14] Fugace in quanto gli scarsi mezzi impongono di non conservare la stampa clandestina ma di farla girare continuamente, passandola di mano in mano.
[15] MASSOLA [1972], pag. 127.
[16] Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Stampa clandestina. Il Grido di Spartaco (link). Su questo portale sono presenti alcuni numeri del «Grido di Spartaco», ma si tratta di numeri successivi (dal luglio 1943 in poi) quando la pubblicazione è diventata organo dei comunisti piemontesi.
[17] Dal titolo «I lavoratori italiani rialzano la testa».
[18] MASSOLA [1972], pag. 129.
[19] Significativamente tra i vari punti ritorna la questione del patto di non aggressione dell’agosto 1939 tra URSS e Germania. Evidentemente si tratta di un punto spinoso che non viene facilmente digerito dai lavoratori.
[20] MASSOLA [1972], pag. 132.
[21] Gianni Beltrami in MAGNANI [2010], pag. 103.
[22] Ibidem.
[23] MASSOLA [1972], pag. 141.
[24] MASSOLA [1972], pag. 149.
[25] MASSOLA [1972], pag. 150.
[26] Francini è uno dei più importanti organizzatori comunisti a Milano; Magnani ha attinto dal suo archivio per ricostruire la fase 1941-43 (cfr. MAGNANI [2010]).
[27] MAGNANI [2010], pag. 100.
[28] Legge n. 563, 3 aprile 1926.
[29] Chi parla è un giovanissimo operaio in MASSOLA [1973], pag. 85.
[30] MASSOLA [1972], pag. 148.
[31] «l’Unità», 28 aprile 1964, Umberto Massola, L’«Unità» clandestina a Milano nel 1942. Da una bottega artigiana alla «casa degli sposini». La tipografia clandestina in un edificio di Vaprio d’Adda […]. La nuova tipografia clandestina in Emilia.
[32] MAGNANI [2010], pag. 109.