Antiper | Il cottimo è ottimo (per il capitale)
Il diciannovesimo capitolo del Libro I de Il Capitale è dedicato al cosiddetto lavoro a cottimo
“A prima vista pare nel salario a cottimo che il valore d’uso venduto dall’operaio non sia il funzionamento della sua forza-lavoro, il lavoro vivente, ma lavoro già oggettivato nel prodotto, e che il prezzo di questo lavoro non sia determinato, come nel salario a tempo, dalla frazione
ma dalla capacità di rendimento del produttore”
Nel cottimo, il salario individuale viene fissato in base alla quantità effettiva di prodotto realizzata
“il lavoratore è retribuito a cottimo quando il compenso che percepisce è commisurato alla quantità di lavoro prodotto e non invece – come normalmente avviene – sulla base della durata della prestazione lavorativa” [1]
Il funzionamento del cottimo sembra dunque essere basato su questo principio: maggiore è il rendimento del lavoratore, maggiore è il suo salario.
Oggi il cottimo non è più generalizzato come una volta, ma esistono varie forme di retribuzione basate sulla quantità (e sulla qualità) effettiva della produzione realizzata o delle prestazioni effettuate [2], come per esempio nella contrattazione integrativa – in cui il salario “di secondo livello” viene erogato in base a determinati parametri di rendimento collettivo (quantità, qualità, MOL, assenze) – o nelle attività dei cosiddetti rider (dove si viene pagati consegna per consegna).
In realtà le due forme di misura della retribuzione – salario a tempo e salario a cottimo – coesistono negli stessi tempi e negli stessi luoghi.
Del resto
“è chiaro in sé e per sé che la differenza nella forma del pagamento del salario non muta nulla alla sua natura, benché una forma possa essere più favorevole di un’altra allo sviluppo della produzione capitalistica” [3]
Che si venga pagati ad ore oppure a pezzi la sostanza non cambia e lo si comprende facilmente non appena si tenga presente che, mediamente, a ogni ora di lavoro corrisponde ad un certo numero di pezzi
dove nora è il numero medio di pezzi all’ora, ntot è il numero di pezzi realizzati e t è il numero di ore complessivamente impiegate per realizzarli.
Se, per fare un esempio, si producono 24 pezzi l’ora, il fatto che solo il 50% dei pezzi (12) sia pagato non si distingue sostanzialmente dal fatto che solo il 50% dell’ora (30’) sia pagata; il principio fondamentale dell’accumulazione capitalistica è che una parte del lavoro non viene retribuita, che una parte della giornata lavorativa è devoluta alla creazione di plusvalore.
Abbiamo detto che numero di pezzi realizzati e tempo necessario per realizzarli sono legati mediamente: intendiamo dire che mediamente, in determinate condizioni, in un’ora di lavoro si produce una certa quantità di pezzi.
Ma ovviamente questo non vale per il singolo lavoratore; mentre diciamo che mediamente si producono 24 pezzi l’ora ci sono lavoratori che ne producono 22 e lavoratori che ne producono 26; secondo il capitalista i primi dovrebbero avere una paga decurtata e gli altri una paga maggiorata. È un principio, si dice, meritocratico: perché un lavoratore che produce di più dovrebbe essere pagato come uno che produce di meno? Vedremo perché questo principio “meritocratico” ha il potere di decurtare il salario di tutti i lavoratori.
Se si stabilisce che i 24 pezzi (realizzati in un’ora di lavoro) devono essere pagati 10 € vuol dire che ogni pezzo viene pagato
22 pezzi fanno circa
mentre 26 pezzi fanno circa
Questo è il meccanismo che viene proposto con il cottimo: diversificare la paga oraria sulla base del diverso rendimento dei singoli lavoratori.
D’altra parte
“Come per il salario a tempo è indifferente supporre che l’operaio lavori 6 ore per sé e 6 ore per il capitalista o per ogni ora una metà per sé e l’altra per il capitalista, così anche qui è indifferente dire che ogni singolo pezzo è metà pagato e metà non pagato ossia che il prezzo di 12 pezzi reintegra semplicemente il valore della forza-lavoro, mentre in altri 12 si incarna il plusvalore” [4]
Il ricorso al cottimo dipende da diversi fattori. Nel Capitale Marx mostra che in certe tipografie di Londra vige il salario a tempo, mentre in altre vige il salario a cottimo).
“Non si tratta di misurare il valore dell’articolo mediante il tempo di lavoro in esso incarnato, ma, viceversa, di misurare il lavoro speso dall’operaio mediante il numero dei pezzi da lui prodotti [5]. Nel salario a tempo il lavoro è misurato sulla sua immediata durata temporale, nel salario a cottimo sulla quantità di prodotto in cui il lavoro si solidifica durante un determinato tempo. Il prezzo del tempo di lavoro stesso è infine determinato dall’equazione:
valore del lavoro giornaliero = valore giornaliero della forza-lavoro Il salario a cottimo non è quindi che una forma modificata del salario a tempo” [6]
Potremmo anche dire in questo modo. E’ vero, come spiega lo stesso Marx nella prima sezione del Libro I che il lavoro è la sostanza del valore e il tempo di lavoro la sua grandezza, la sua quantificazione. Ma ovviamente si tratta di una quantificazione che si basa sulla media di tutti i tempi di lavoro che, in determinate condizioni, sono necessari per realizzare una certa quantità di lavoro; una media che tiene dentro il lavoratore più “produttivo” e quello meno “produttivo”.
Se un lavoratore produce più pezzi all’ora di un altro è perché spende – diciamo anche, può spendere – più energie dell’altro ma, a parità di energia spesa, i loro salari sono uguali. Con il cottimo i salari individuali sono quantitativamente diversi, ma il salario “per unità di energie spese” è la stesso.
Il lavoro a cottimo è fonte di continue contrattazioni e di scontri tra lavoratori e capitalisti
“Soltanto il tempo di lavoro che si incarna in una quantità di merce determinata in precedenza e stabilita secondo esperienza, è considerato tempo di lavoro socialmente necessario e viene pagato come tale. Nelle grandi sartorie di Londra un certo articolo di lavoro, p. es. un panciotto, è quindi chiamato ora, mezz’ora, ecc., contando l’ora a sei pence. Dalla pratica si sa a quanto ammonti il prodotto medio di un’ora. Nel caso di mode nuove, riparazioni, ecc. sorgono liti fra padrone e operaio per stabilire se un determinato articolo di lavoro è eguale a un ‘ora, ecc., finché anche in questi casi decide l’esperienza” [7]
Ovviamente il capitalista cerca sempre di fissare l’abilità “media” sulla base dell’abilità del lavoratore più zelante [8] in modo tale da abbassare il salario a tutti gli altri lavoratori. Questo conduce a scontri tra la massa dei lavoratori e i lavoratori più produttivi che vengono invitati – con le buone, e talvolta pure con le cattive – a darsi una calmata.
Nel lavoro a cottimo la sorveglianza è meno necessaria ed ecco perché viene usato nel lavoro domestico. Non mi interessa – potrebbe dire il capitalista – quanto ci mette il lavoratore a fare un pezzo: pago il pezzo e non il tempo che l’operaio ci mette a farlo. E comunque è nell’interesse del lavoratore viaggiare al ritmo più alto possibile perché questo gli permette di ottenere una maggiore retribuzione finale. Questo è talmente vero che in periodi in cui non era possibile strappare vere conquiste salariali i sindacati stessi proponevano il cottimo per consentire paghe più alte, conquistate però con un enorme sforzo fisico e mentale [9].
Del resto, si sa, il cottimo spinge “fisiologicamente” il lavoratore ad alzare il livello del proprio auto-sfruttamento
“Dato il salario a cottimo, è naturalmente interesse personale dell’operaio impegnare la propria forza-lavoro con la maggiore intensità possibile, il che facilita al capitalista un aumento del grado normale dell’intensità” [10]
Non c’è bisogno che sia il capitalista a pungolare il lavoratore dal momento che egli, a caccia di un maggiore salario, si pungola da solo.
“Nel salario a tempo si ha, con poche eccezioni, salario eguale per eguali funzioni” [11]
Invece, con il salario a cottimo le cose cambiano
“si verificano dunque grandi differenze nelle entrate reali degli operai a seconda della diversa abilità, forza, energia, perseveranza, ecc. degli operai individuali” [12]
Queste differenze possono essere (e vengono) incentivate anche attraverso premi che conducono ad un incremento della concorrenza tra lavoratori, all’intensificazione dei ritmi di lavoro e, indirettamente, all’abbassamento del livello medio dei salari (e questo spiega perché il movimento dei lavoratori abbia condotto dure lotte sindacali per superare il sistema del cottimo).
Tutti questi vantaggi per il capitale fanno sì che
“il salario a cottimo [sia] la forma di salario che più corrisponde al modo di produzione capitalistico. Sebbene non sia affatto nuovo – esso figura ufficialmente accanto al salario a tempo negli statuti dei lavoratori francesi e inglesi del secolo XIV – il salario a cottimo acquista tuttavia un campo d’azione maggiore soltanto durante il periodo della manifattura vera e propria” [13]
Marx mostra come il dilagare del lavoro a cottimo e della competizione tra lavoratori non potesse non determinare una riduzione generalizzata dei salari, rilevata anche dai rapporti ufficiali inglesi.
Se prima il cottimo poteva essere un mezzo per far “tirare” ogni lavoratore al massimo delle sue forze, in seguito è lo sviluppo della divisione del lavoro, delle macchine e dell’organizzazione scientifica del lavoro che realizza il medesimo risultato del massimo incremento della produttività. Ma questo incremento determina una riduzione anche del salario a cottimo perché ora un numero maggiore di pezzi viene realizzato nello stesso tempo e quindi un pezzo viene pagato meno di prima.
“Nel nostro esempio di poco fa venivano prodotti in 12 ore 24 articoli, mentre il prodotto di valore delle 12 ore era di 6 scellini, il valore giornaliero della forza-lavoro di 3 scellini, il prezzo dell’ora lavorativa di 3 pence e il salario per un articolo ammontava a 1 penny e mezzo. In un articolo era assorbita mezz’ora lavorativa.
Ora se quella stessa giornata lavorativa fornisce, in seguito a una produttività raddoppiata del lavoro, p. es. 48 articoli invece dei 24 e se tutte le altre circostanze rimangono invariate, il salario a cottimo scenderà da 1 penny e mezzo a 3/4 di penny giacché ogni articolo ora non rappresenta più mezz’ora di lavoro, ma un quarto soltanto. 24 x 1,5 pence = 3 scellini e allo stesso modo 48 x 3/4 pence = 3 scellini. In altre parole: il salario a cottimo viene abbassato nella stessa proporzione in cui cresce il numero degli articoli prodotti durante lo stesso tempo, e quindi diminuisce il tempo di lavoro impiegato per lo stesso articolo” [14]
I lavoratori cercano di contrattare i cosiddetti “guadagni di produttività”; i capitalisti rispondono che “la produttività del lavoro non riguarda affatto l’operaio” [15] e non hanno tutti i torti dal momento che il rapporto di lavoro salariato è basato sul fatto che la forza-lavoro venga comprata per essere utilizzata alle condizioni dettate dall’impresa (fatte salve le leggi dello Stato).
Ciò nonostante per lungo tempo si è affermata la pratica di “monetizzare” i guadagni di produttività: il sindacato lasciava libero il padrone di fare le sue ristrutturazioni purché qualche briciola arrivasse nelle tasche dei lavoratori. In questo modo la disoccupazione è generalmente aumentata (checché ne dicano le statistiche taroccate) e comunque sono esplosi precarietà, lavoro intermittente e sottopagato, impoverimento generalizzato dei lavoratori.
Note
[1] Cottimo, Wikilabour, https://www.wikilabour.it/dizionario/retribuzione/cottimo/
[2] Nel seguito parleremo, semplificando, di “pezzi” realizzati piuttosto che di prestazioni erogate.
[3] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 604.
[4] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 604.
[5] Per cui si potrebbe passare dal dire “oggi ho fatto 12 ore” al dire “oggi ho fatto “300 pezzi”.
[6] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 605.
[7] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 605.
[8] Chi non ricorda il Lulù de La classe operaia va in paradiso di Elio Petri.
[9] Cfr. Stefano Musso, Storia del lavoro in Italia dall’unità ad oggi, Marsilio, 2002.
[10] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 606.
[11] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 607.
[12] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 607.
[13] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 608.
[14] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 610.
[15] Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1980, pag. 611.