Antiper | Rotture (PeO,2)
Tratto da Antiper, Partito e organizzazione, Contributo per il Forum della Rete dei Comunisti, Roma, 27 febbraio 2010
Nella chiusura di un documento presentato il 31 maggio 2008 (all’indomani della tragedia elettorale della “sinistra arcobaleno”) la RdC scriveva che qualsiasi ipotesi di ricostruzione di una organizzazione comunista avrebbe dovuto rompere con il riformismo in tutte le salse e con l’elettoralismo
“Una doppia rottura culturale – quella con il riformismo in tutte le salse e quella con l’elettoralismo – riteniamo che oggi sia un passaggio ineludibile, la porta stretta da attraversare, per la ricostruzione di una riqualificata soggettività comunista organizzata e per l’esplicitarsi di una politica coerente con tale premessa in Italia e nell’intero spazio europeo ” [1].
In altri tempi, clausole come queste sarebbero state considerate naturali, ma oggi, dopo la devastazione culturale degli ultimi anni, è certo utile ribadirle. Allora, leggemmo quelle parole in questo modo: bisogna rompere, non solo politicamente ed organizzativamente, ma anche culturalmente con il “riformismo in tutte le salse” e l’elettoralismo, per evitare che risorgano dopo aver covato sotto le ceneri.
D’altra parte, affinché Riformismo ed Elettoralismo non restino due concetti metafisici è logico che debbano consunstanziarsi in qualcosa di concreto, come ad esempio, organizzazioni o linee o esponenti politici “riformisti” ed “elettoralisti”. Sarebbe ben strano, infatti, “rompere con il riformismo e l’elettoralismo”, ma non rompere con i partiti politici “riformisti” ed “elettoralisti” (e con i loro dirigenti) pregiandoli anzi dalla propria interlocuzione politico-teorica e della propria disponibilità politico-organizzativa.
E qui sta un nostro elemento di forte perplessità – anzi, diciamo pure di netta critica – nei confronti della linea che la RdC ha adottato proprio a partire dal 31 maggio 2008 decidendo di andare ad un confronto sempre più stretto con partiti ed aree “riformiste” ed “elettoraliste” (a voler esser generosi [2]) ed avviando addirittura una interlocuzione politico-organizzativa con esponenti come Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto, Cesare Salvi e con progetti elettoral-politichesi come la cosiddetta “Federazione della Sinistra” [3]. In questo modo si corre concretamente il rischio di produrre uno scarto tra le affermazioni e la pratica che conduce proprio alla mancata “esplicitazione” di quella “politica coerente” che veniva richiamata nel documento del maggio 2008.
Può essere che l’interlocuzione della RdC con la “Federazione della Sinistra” rappresenti una sorta di “entrismo dall’esterno” per cercare di ingraziarsi le simpatie di alcuni militanti di quei partiti. Ma “l’entrismo è una cosa seria”[4] (si fa per dire) e ci sono aree come il PCL o Sinistra Critica che hanno investito 2, 3, 4 decenni (prima nel PCI, poi in DP e infine nel PRC) per raggranellare una manciata di iscritti e di voti; ci sono “aree interne” che continuano ad inventarsi fantomatiche battaglie da combattere (l’Ernesto); ci sono ancora “entrismi in azione” (Falce e Martello); ci sono “progettualità a cavallo” (Comunisti Uniti 2.0), ci sono nuove sigle esterne (CSP di Rizzo)…: gli unici che sembrano ormai scarseggiare sono i militanti realmente interessanti per un progetto di costruzione di un partito comunista (quanto meno) non riformista e non elettoralista.
Va bene raschiare il barile, ma qui comincia a mancare anche il barile…
Per concludere questa sezione vogliamo soffermarci su due ulteriori elementi.
1) Il primo è un’affermazione del maggio 2008 di un editorialista di Contropiano il quale, richiamandosi ad un noto proverbio cinese, indicava come compito politico attuale dei comunisti quello di “bastonare il cane che affoga”. Chi era il “cane” che stava affogando? Erano i partiti della “sinistra arcobaleno” usciti con le ossa frantumate dall’“abbraccio mortale” con il Governo Prodi e dalle elezioni dell’aprile 2008. Era una linea sostanzialmente corretta, ma a noi non è parso il modo giusto di “bastonare” quello di riconoscere, solo poche settimane dopo, quei partiti (e i rispettivi dirigenti) come interlocutori politico-organizzativi, sebbene essi siano stati in questi anni una delle cause principali dell’ulteriore tracollo comunista nel “senso comune” di larga parte di questo paese già fin troppo anti-comunista. Con questo tipo di linea c’è il serio rischio che, ad affogare, non siano i partiti della “sinistra istituzionale”, ma la credibilità di chi li legittima.
2) Il secondo elemento lo abbiamo parzialmente esposto in una lettera a Contropiano del dicembre 2008 [5]. In quella lettera sviluppavamo alcune osservazioni critiche in merito alla decisione della RdC di confrontarsi con Ferrero e Diliberto ed esprimevamo anche una nostra perplessità a proposito di una “inversione logica” che a noi era parsa incomprensibile.
La RdC ritiene [6] che una delle condizioni per la costruzione del partito sia, in sostanza, l’adesione ai sindacati di base. Noi, in diverse occasioni [7], abbiamo espresso la nostra convinzione che non saremo mai in grado di sviluppare una battaglia efficace contro il capitalismo se non saremo capaci di portare avanti un processo basato su 3 “gambe”: partito comunista, sindacato di classe, blocco sociale anti-capitalista [8](ed è una concezione che, a parte alcune differenze, riteniamo la Rete possa considerare non divergente dalla propria). Ne consegue che siamo esplicitamente favorevoli alla costruzione di un sindacato di classe e che sosteniamo l’iniziativa dei sindacati di base (ed anzi, abbiamo praticato e pratichiamo direttamente questo sostegno [9]).
Ma questo non ci porta necessariamente ad escludere da un possibile accordo politico un lavoratore iscritto alla FIOM. E non ci verrebbe mai in mente di dichiarare una sorta di “incompatibilità oggettiva” tra l’essere iscritti alla CGIL e l’appartenere all’organizzazione comunista. In certi casi potremmo essere proprio noi a valutare l’opportunità di iscrivere militanti comunisti alla CGIL. Non c’è bisogno di scomodare l’Estremismo [10] per sapere che dove non ci sono (ancora) le condizioni per avviare un intervento sindacale di classe – e la cosa è tutt’altro che semplice se non ci si limita alla semplice raccolta di tessere -, un certo tipo di intervento sindacale confederale può essere meglio di nessun intervento. Non è una regola, bisogna analizzare la situazione specifica.
Quella invece che secondo noi deve essere una regola è che ad un partito realmente comunista non possano appartenere personaggi che hanno appoggiato governi filo-confindustriali e anti-proletari o che hanno sottoscritto leggi contro il diritto di sciopero o che hanno rifinanziato missioni di guerra o che hanno votato decine di volte la fiducia al Governo Prodi o che hanno applicato “leggi Bossi-Fini” o che hanno approvato “leggi Turco-Napolitano” o che hanno firmato Pacchetti Treu o che hanno realizzato lo scippo del TFR con la truffa del silenzio-assenso, ecc…
Quelli no.
Note
[1] RdC, Per una proposta politica ai comunisti e alla sinistra anticapitalista, maggio 2008.
[2] Perché in realtà, noi non consideriamo i partiti della ex-SA partiti riformisti. Neppure partiti semplicemente – ma autenticamente – riformisti avrebbero potuto mai sottoscrivere quello che questi partiti hanno sottoscritto.
[3] E infatti in un comunicato (“Una verifica dovuta sul progetto della Federazione della Sinistra”) la RdC parla esplicitamente di “punti di divergenza tra la Rete dei Comunisti e le altre forze politiche che animano il progetto della Federazione della Sinistra (PRC, PdCI, Socialismo 2000, Lavoro e Solidarietà)” il che vuol dire, in italiano, che la RdC definisce sé stessa come una delle forze che “animano il progetto della Federazione della Sinistra” (PRC, PdCI… sono le “altre”).
[4] Anche se noi oggi non ne consideriamo utile la pratica: “La prima condizione necessaria è quella della rottura completa con il riformismo e con l’entrismo, il superamento della fase gruppuscolare attraverso processi di aggregazione-fusione sia di carattere politico che organizzativo partendo dalle forze soggettive che concretamente esistono”, Laboratorio Marxista, Seminare per raccogliere. Contributo al dibattito per la ricostruzione del partito comunista, agosto 2000. Da osservare che per noi l’elettoralismo non è che una conseguenza diretta del riformismo perché nessuna organizzazione comunista rivoluzionaria può essere elettoralista.
[5] Antiper, Alcune domande ai compagni di Contropiano in merito all’editoriale dell’ultimo numero, www.antiper.org.
[6] RdC, v. anche doc. del 31 maggio 2008, capitolo Le nostre proposte per un accordo politico.
[7] Vedi, ad esempio, Laboratorio Marxista, Seminare per raccogliere. Contributo al dibattito per la ricostruzione del partito comunista, agosto 2000.
[8] Laboratorio Marxista, Seminare per raccogliere. Contributo al dibattito per la ricostruzione del partito comunista, pag. 59, www.antiper.org.: “Porre la ricostruzione del partito nel più generale quadro dello scontro di classe significa, innanzitutto, individuare il rapporto tra direzione politica e organismi/realtà di massa (sindacato, territorio, movimenti) e, nell’ambito di questo rapporto, affrontare i temi del sindacato di classe e del blocco sociale anti-capitalista. Partito, sindacato di classe e blocco sociale anti-capitalista sono tre gambe di uno stesso processo, tre gambe dialetticamente correlate e necessarie allo sviluppo del processo rivoluzionario”.
[9] Ad esempio appartenendo a diverse organizzazioni del sindacalismo di base, ma soprattutto appoggiando il lavoro svolto da Primomaggio che, pur non essendo una espressione sindacale, sulla questione del ruolo dei sindacati confederali ha sempre assunto posizioni piuttosto precise.
[10] In cui Lenin ricorda che i lavoratori (anche quelli comunisti) dovettero per anni iscriversi persino al sindacato “zubatovista”, promosso dalla polizia zarista per tenere sotto controllo il nascente movimento operaio.