Norman Finkelstein | Gli ebrei furono le sole vittime dell’Olocausto?
Il brano seguente è tratto da Norman G. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei, Capitolo 2, Truffatori, venditori e storia, Bur Rizzoli, 2000. Si tratta di un passo interessante nel quale viene posto in modo sintetico, ma chiaro il problema del nascondimento delle vittime non ebraiche dell’Olocausto. Un’operazione particolarmente odiosa, orientata alla costruzione dell’Olocausto come esclusivo Olocausto degli ebrei e dunque alla negazione delle altre vittime, prima perseguitate dai nazisti e poi nascoste dalla narrazione occidentale mainstream.
Il punto cruciale della politica del museo dell’Olocausto, comunque, riguarda l’oggetto di quest’opera di memorializzazione. Gli ebrei furono le sole vittime dell’Olocausto oppure contano anche gli altri che perirono a causa delle persecuzioni naziste? [66]
Durante le fasi di progettazione del museo, Elie Wiesel (insieme a Yehuda Bauer dello Yad Vashem) condusse l’offensiva a favore della commemorazione dei soli ebrei. Presentato come l’«esperto incontestabile dell’epoca dell’Olocausto», Wiesel sostenne tenacemente la tesi secondo cui gli ebrei furono le vittime preminenti. «Come sempre, hanno cominciato con gli ebrei» intonò «e come sempre, non si sono fermati agli ebrei.» [67]
Eppure, non gli ebrei ma i comunisti furono le prime vittime politiche e non gli ebrei ma gli handicappati furono oggetto del primo genocidio da parte dei nazisti. [68]
Giustificare la preminenza data al genocidio degli ebrei rispetto a quello degli zingari è stata l’impresa più difficile per l’Holocaust Museum. I nazisti uccisero sistematicamente non meno di mezzo milione di zingari, una cifra, in proporzione, pari a quella del genocidio degli ebrei. [69]
Gli scrittori dell’industria dell’Olocausto come Yehuda Bauer ritengono che gli zingari non furono vittime della stessa violenza genocida, ma rispettati storici della Shoah come Henry Friedlander e Raul Hilberg hanno sostenuto il contrario. [70]
Dietro la scarsa attenzione prestata al genocidio degli zingari da parte del museo si nascondono svariate ragioni.
Innanzitutto, paragonare la perdita della vita di un ebreo e quella di uno zingaro è semplicemente impossibile.
Liquidando come «assurda» la richiesta di una rappresentanza zingara allo US Holocaust Memorial Council, il rabbino Seymour Siegel, direttore generale dell’organizzazione, mise in dubbio persino la stessa «esistenza» degli zingari come gruppo etnico: «Bisognerebbe dare un qualche riconoscimento al popolo zingaro sempre ammesso che esista». Il rabbino ha peraltro ammesso che «sotto il nazismo ebbero a soffrire». Edward Linenthal ricorda il «profondo sospetto» dei rappresentanti zingari nei confronti dell’Holocaust Memorial Council, «rafforzato dalla piena evidenza che alcuni suoi membri vedevano la partecipazione dei Rom al museo nello stesso modo in cui una famiglia si trova tra i piedi dei parenti non invitati e imbarazzanti». [71]
Secondo motivo: riconoscere il genocidio degli zingari avrebbe comportato la perdita dell’esclusiva degli ebrei sull’Olocausto, con una perdita cospicua di «capitale morale».
Terzo motivo: se i nazisti hanno perseguitato zingari ed ebrei allo stesso modo, allora l’assioma che l’Olocausto ha segnato il culmine dell’odio millenario dei gentili nei confronti degli ebrei è evidentemente insostenibile.
Parimenti, se l’invidia dei gentili ha spinto al genocidio, con gli zingari è forse successa la stessa cosa? Nella parte del museo dedicata alla mostra permanente, i non ebrei vittime del nazismo ricevono un riconoscimento solamente simbolico. [72]
Infine, l’agenda politica del museo dell’Olocausto ha subito anche l’influenza del conflitto tra israeliani e palestinesi. Prima di diventare direttore del museo, Walter Reich ha scritto un peana in onore di From Time Immemorial [Da tempo immemorabile], il fraudolento libro dove Joan Peters sostiene che la Palestina, prima della colonizzazione sionista, era completamente vuota. [73]
Sotto pressioni del Dipartimento di Stato, Reich è stato costretto a dare le dimissioni dopo essersi rifiutato di invitare Yasser Arafat, nel frattempo divenuto alleato compiacente degli Stati Uniti, a visitare il museo. In seguito, dopo avere accettato una posizione da vicedirettore, il teologo dell’Olocausto John Roth è stato portato per esasperazione alle dimissioni a causa delle critiche che in passato aveva rivolto a Israele. Nel ripudiare un libro originariamente sostenuto dal museo con la spiegazione che comprendeva un capitolo firmato da Benny Morris, un noto storico israeliano critico nei confronti d’Israele, il presidente del museo, Miles Lerman, ha dichiarato: «Mettere questo museo sul fronte opposto d’Israele è inconcepibile». [74]
Sulla scia dei terribili attacchi israeliani al Libano nel 1996, culminati nel massacro di oltre cento civili a Qana, Ari Shavit, editorialista di «Haaretz», osservò che Israele poteva agire impunemente perché «abbiamo l’Anti-Defamation League e lo Yad Vashem e il museo dell’Olocausto». [75]
Note
66. Per i particolari, si veda Kati Marton, A Death in Jerusalem, New York 1994, capitolo 9. Nelle sue memorie, Wiesel rievoca il «passato leggendario di “terrorista”» dell’uccisore di Bernadotte, Yehoshua Cohen. Si noti la parola terrorista virgolettata (Wiesel, And the Sea, 58). Il New York City Holocaust Museum, per quanto non meno politicizzato (tanto il sindaco Ed Koch quanto il governatore Mario Cuomo corteggiavano il voto e il denaro ebraico), rientrò sin dall’inizio anche nei giochi di investitori e finanzieri ebrei newyorkesi. A un certo punto, gli investitori cercarono di dare il minor risalto possibile al termine «Olocausto» nel nome del museo per paura che potesse far scendere il valore dell’adiacente complesso di appartamenti di lusso. Wags suggerì con sarcasmo che avrebbero dovuto chiamare il complesso «Treblinka Towers» e le strade vicine «Auschwitz Avenue» e «Birkenau Boulevard». Il museo chiese un contributo a J. Peter Grace (nonostante fossero stati rivelati i suoi legami con un criminale di guerra nazista) e organizzò una festa di gala nella discoteca The Hot Rod: «La New York Holocaust Memorial Commission invita la SV a ballare il rock and roll tutta la notte». (Saidel, Never Too Late, 8, 121, 132, 145, 158, 161, 191, 240).
67. Novick la chiama la controversia dei «sei milioni» contro gli «undici milioni». A cinque milioni assommano le morti di civili non ebrei, cifra dovuta al famoso «cacciatore di nazisti» Simon Wiesenthal. Osservando che «non ha senso dal punto di vista storico», Novick scrive: «Cinque milioni è un numero sia troppo basso (per tutti i civili non ebrei uccisi dal Terzo Reich) sia troppo alto (per i gruppi non ebraici che furono, come gli ebrei, un bersaglio designato)». Si premura tuttavia di aggiungere che il punto ovviamente non sono i numeri di per sé, ma ciò che noi intendiamo, ciò a cui facciamo riferimento quando parliamo dell’Olocausto”». Stranamente, dopo questo ammonimento, Novick si schiera a favore della commemorazione esclusivamente degli ebrei in quanto i sei milioni «rappresentano qualcosa di specifico e determinato», mentre gli undici milioni «sono un miscuglio inaccettabile». (Novick, The Holocaust, 214-26.)
68. Wiesel, Against Silence, III volume, 166.
69. Per gli handicappati in quanto oggetto del primo genocidio nazista, si veda soprattutto Henry Friedlander, The Origins of Nazi Genocide, Chapel Hill, 1995. Secondo Leon Wieseltier, i non ebrei morti ad Auschwitz «ebbero una morte pensata per gli ebrei […], vittime di una “soluzione” progettata per altri» (Leon Wieseltier, At Auschwitz Decency Dies Again, in «New York Times», 3 settembre 1989). Eppure, come mostra un numero cospicuo di studi, fu la morte inventata per gli handicappati tedeschi a essere inflitta agli ebrei; oltre al saggio di Friedlander, si veda, per esempio, Michael Burleigh, Death andDeliverance, Cambridge 1994.
70. Sybil Milton, autrice di numerose pubblicazioni sulla storia degli zingari ed ex direttrice della sezione storia dello United States Holocaust Museum, afferma che «durante l’Olocausto furono uccisi almeno duecentoventimila Rom e zingari di origine tedesca» e che «tale cifra» va «incrementata, probabilmente a cinquecentomila» (Statistical Considerations, Sinti Mortality during the Holocaust, Roma, 24 dicembre 1999).
71. Friedlander, Origins: «Insieme agli ebrei, i nazisti uccisero gli zingari d’Europa. Definiti come una razza «dalla pelle scura, uomini, donne e bambini zingari non poterono sfuggire al loro destino di vittime del genocidio nazista [… ] Il regime nazista uccise con sistematicità solamente tre gruppi umani: gli handicappati, gli ebrei e gli zingari» (XII-XIII). Oltre che essere uno storico di prima grandezza, Friedlander è anche un ex internato ad Auschwitz. Raul Hilberg, The Destruction of European Jews, New York 1985 (in tre volumi), III volume, 999-1000. Con la sincerità che lo contraddistingue, Wiesel nella sua autobiografia proclama il suo disappunto per la mancata inclusione nell’Holocaust Memorial Council, da lui presieduto, di un rappresentante degli zingari. Come se lui non avesse avuto il potere di nominarne uno. (Wiesel, And the Sea, 211).
72. Linenthal, Preserving Memory, 241 -46, 315.
73. Benché l’«inclinazione a favore degli ebrei» (Saidel) dell’Holocaust Museum di New York fosse ancor più pronunciata (ai non ebrei vittime del nazismo fu annunciato sin dall’inizio che era «solo per gli ebrei»), Yehuda Bauer andò su tutte le furie quando la commissione accennò timidamende al fatto che l’Olocausto potesse abbracciare altre vittime oltre agli ebrei. «A meno che questa posizione non cambi immediatamente e radicalmente» minacciò in una lettera ai membri della commissione «non perderò occasione di […] attaccare questo vergognoso progetto da qualunque palco mi venga offerto.» (Saidel, Never Too Late, 125-26, 129, 212, 221, 224-25.)
74. ZOA Criticizes Holocaust Museum Hiring of Professor Who Compared Israel to Nazis, in «Israel Wire», 5 giugno 1998. Neal M. Sher, Sweep the Holocaust Museum Clean, in «Jewish World Review», 22 giugno 1998. Scoundrel Time, in «PS – The Intelligent Guide to Jewish Affairs», 21 agosto 1998. Daniel Kurtzman, Holocaust Museum Taps One of Its Own forTop Spot, in «Jewish Telegraphic Agency», 5 marzo 1999. Ira Stoll, Holocaust Museum Acknowledges a Mistake, in «Forward», 13 agosto 1999.
75. Noam Chomsky, World Orders Old and New, New York 1996, 293-94 (Shavit).