Antiper | Contro l’ipocrisia dirittoumanista amerikana
Ogni volta che gli Stati Uniti lanciano una qualche campagna contro le pratiche antidemocratiche dei loro nemici – siano essi Russia e Cina o anche Iran, Libia, Siria… – bisognerebbe ricordare loro che la “democrazia” americana si è affermata attraverso lo sfruttamento schiavistico di milioni di neri di origine africana e attraverso il genocidio di milioni di nativi di origine americana, considerati immeritevoli di continuare a vivere nelle ricche terre in cui avevano vissuto per secoli.
Agli Stati Uniti che parlano di democrazia bisognerebbe ricordare che lo sviluppo della loro potenza economica si è realizzato, oltre che sulla schiavizzazione dei neri e sullo sfruttamento dei proletari, sulla continua espansione imperiale – militare e commerciale – verso l’interno del continente (cioè verso Ovest) e verso l’esterno.
E’ attraverso la guerra che gli Stati Uniti si sono fatti largo sulla scena internazionale e nelle situazioni di guerra non hanno mai esitato a imporre misure che non avevano nulla a che vedere con la democrazia.
Solo per fare un esempio, nel 1798, in un clima di scontro con la Francia il Governo degli Stati Uniti vara una serie di leggi che colpiscono gli immigrati e tutti coloro che esprimono idee contrarie a quelle del Governo: si tratta dei cosiddetti “Alien and Sedition Acts”
“La prima, il Naturalization Act, allungava da cinque a quattordici anni il periodo di residenza negli Stati Uniti necessario per poter presentare la richiesta di cittadinanza. La seconda, l’Alien Enemies Act, prevedeva che in caso di guerra il presidente potesse definire come «nemici» i cittadini di nazioni rivali residenti negli USA, la cui presenza fosse considerata pericolosa. La terza, l’Alien Act, autorizzava il presidente a espellere gli stranieri presenti negli Stati Uniti ritenuti «pericolosi per la pace e la sicurezza degli Stati Uniti». Infine la quarta, il Sedition Act, il più famoso e impopolare dei quattro provvedimenti, rendeva illegale e penalmente perseguibile la pubblicazione di scritti o l’enunciazione di discorsi «falsi, scandalosi o maliziosi» contro il governo, il Congresso e il presidente, atti a «mobilitare contro di essi […] l’odio del popolo statunitense e a incitare alla sedizione»” [1]
Questa è l’origine della democrazia statunitense (si ricordi che siamo in anni molto prossimi a quelli della rivoluzione, quando la società americana sembra ancora piena di idealismo e invece è piena di spirito xenofobo).
In particolare il “Sediction Act”, che bolla come sediziose le prese di posizione contrarie alla propaganda di regime, assomiglia alla legge “anti-fake” varata recentemente dal Governo russo; questo per dire che, se c’è una restrizione della libertà di stampa varata da Putin (e questo è certamente criticabile), allora bisogna riconoscere che questa restrizione della libertà di stampa gli americani l’avevano già varata alla fine del ‘700, pur essendosi eretti a campioni del processo di emancipazione dai privilegi delle aristocrazie degli ancient regime.
Ovviamente questo non giustifica il possibile uso discriminatorio delle leggi anti-fake russe, ma destituisce di qualsiasi valore morale le campagne dirittoumaniste degli Stati Uniti d’Amerikkka, siano esse rivolte verso la Russia, siano esse rivolte verso la Cina tirando in ballo Hong Kong o Taiwan o gli Uiguri…
E non si dica che le leggi anti-opposizione sono misure relative ad un lontano passato e ad una fase ancora giovane della democrazia americana. Le “leggi di guerra” varate dal Governo statunitense negli anni 2000 – come ad esempio il Patriot Act – sono improntate a principi simili e al tempo stesso ancora più spinti di quelli del 1798: xenofobia, silenziamento discrezionale e controllo degli oppositori, libertà di arbitrio da parte del governo. Se ne sappiamo qualcosa di più dobbiamo ringraziare Julian Assange [2] e Edward Snowden [3].
Note
[1] Mario Del Pero, Libertà e impero. Gli Stato Uniti e il mondo 1776-2011, Laterza, 2011.
[2] Wikileaks.
[3] Glenn Greenwald, Sotto controllo. Edward Snowden e la sorveglianza di massa, Rizzoli, 2014.