Antiper | La strada meno percorsa. Appunti su comunismo e natura umana
Antiper, La strada meno percorsa. Appunti su comunismo e natura umana, PDF, A4, 7 pag.
“Due strade divergevano in un bosco ed io,
io presi quella meno percorsa
e questo ha fatto tutta la differenza”
Robert Frost, The road not taken [1]
È passato molto tempo dal Manifesto [2] ma del comunismo si continua a parlare; e molto, stando alle quotidiane dichiarazioni di morte di cui è oggetto. Evidentemente lo “spettro” – come ebbero a definirlo Marx ed Engels (e oggi il termine sembra ancor più appropriato, se è vero che della prospettiva del comunismo si dice che sia morta e sepolta) – sembra incutere ancora una certa qual inquietudine.
Non c’è da stupirsi, in fondo. I capitalisti (o quanto meno i loro “intellettuali organici”) sanno bene che il modo di produzione capitalistico genera le loro ricchezze, ma anche una serie di irrisolvibili contraddizioni; ed è proprio dentro queste contraddizioni, prima ancora che nella soggettiva consapevolezza degli uomini, che si costituiscono la possibilità e la necessità storica del “nuovo mondo”, del non ancora esistente.
Viviamo in una società in cui la maggior parte degli individui ha smesso di domandarsi quale sia il senso della propria esistenza e persino se debba esisterne uno. Ogni giorno ci muoviamo dentro un sistema di relazioni sociali che si è costituito nel corso di migliaia di anni e che abbiamo ereditato da ciò che è venuto prima di noi.
“Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione.
La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi e proprio quando sembra ch’essi lavorino a trasformare se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del passato per prenderli al loro servizio; ne prendono a prestito i nomi, le parole d’ordine per la battaglia, i costumi, per rappresentare sotto questo vecchio e venerabile travestimento e con queste frasi prese a prestito la nuova scena della storia” [3]
Questa tradizione ci appare come qualcosa di naturale, ma in realtà è essa stessa un prodotto storico. E anche quella che noi chiamiamo “natura umana” è in larga misura un prodotto della storia. Per cui potremmo dire che se una “natura umana” esiste, esiste come spinta verso la continua trasformazione di sé.
E del resto non è forse uno dei tratti distintivi della natura umana proprio quello di creare e modificare “nature”, di trasformare alberi in tavoli, tavoli in merci, merci in denaro, denaro in capitale o, perché no, esseri umani liberi in schiavi? Perché non dovrebbe far parte delle umane aspirazioni quella verso la trasformazione degli schiavi in esseri umani liberi?
Il tema della cosiddetta “natura umana” è stato tanto ampiamente dibattuto che sarebbe impossibile – oltre che inutile – tentare anche solo di riepilogare le tappe di quel dibattito. D’altra parte, semplificando, potremmo identificare due tesi principali: una prima che afferma la natura inderogabilmente egoistica e individualistica dell’uomo [4] e una seconda che afferma, al contrario, che l’uomo è un essere storico e sociale [5].
Per Marx
“…l’essere umano non è un’astrazione immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l’insieme dei rapporti sociali” [6].
Possiamo dedurre che per Marx non esiste una “vera” essenza dell’uomo che possa essere rintracciata a prescindere dal contesto storico e sociale e che possa essere riconosciuta anche nell’ipotetico uomo isolato, in quel Robinson Crusoe di cui lo stesso Marx parla nell’ambito della critica all’economia politica inglese.
L’uomo è un essere sociale essenzialmente inscindibile dai concreti rapporti sociali entro cui egli svolge la propria esistenza
“La mia coscienza universale non è altro che la forma teoretica di ciò di cui la comunità reale, l’essere sociale, è la forma vivente” […]
“Anzitutto bisogna evitare di fissare di nuovo la “società” come astrazione di fronte all’individuo. L’individuo è l’essere sociale” […]
“La vita individuale dell’uomo e la sua vita come essere appartenente ad una specie non differiscono tra loro” [7].
L’essenza dell’uomo è dunque un’essenza di genere (“ente naturale generico” – Gattungswesen – ovvero ente naturale – animale – appartenente ad un genere – umano –) [8] e non esiste aprioristicamente, ma si costituisce storicamente. In questo Marx condivide l’approccio di Rousseau [9] (anche se di Rousseau non condivide certo la retorica del “buon selvaggio” corrotto dalla civiltà).
Proprio in questa accentuazione dell’elemento storico dell’essenza umana risiede una delle ragioni di maggior contrasto con la concezione materialistico-naturalistica di Feuerbach.
Marx osserva:
“Nel senso più letterale, l’uomo è uno zoon politikon, non solo un animale sociale, ma anche un animale che solo in società può isolarsi” [10]
Qui il termine “isolarsi” deve essere inteso come “individualizzarsi” [11], “costituirsi come individuo singolo (sich vereinzeln)” [12].
Marx prosegue:
“La produzione del singolo, del tutto al di fuori della società, è una rarità, che può capitare ad un individuo civilizzato che sia stato gettato dal caso in una condizione selvaggia, ma che già possiede dinamicamente le forze sociali; insomma, è un’irrealtà (Unding), così come lo sarebbe lo sviluppo della lingua, in mancanza di individui che vivano assieme e che comunichino tra loro attraverso il linguaggio” [13]
Poiché siamo anche il prodotto di ciò che ci ha preceduto – ovvero siamo soprattutto un esito transeunte della storia [14] umana – non ha molto senso auspicare il ritorno ad una “vera essenza originaria dell’uomo” o ad una “comunità naturale originaria”… come suggerito dalle ipotesi dell’abate Morelly nel suo Codice della natura o da altre più recenti proposte neo-primitivistiche alla John Zerzan o alla Murray Bookchin in cui si viene proiettati indietro di qualche secolo (o di qualche millennio) verso una sorta di naturalismo primitivo in cui gli uomini girano per i boschi armati di clava. La nostra idea di comunismo non15 contempla affatto la distruzione tutto ciò che l’uomo ha costruito (Theodore Kaczynski []) né l’andarsene in montagna a cibarsi di bacche e radici [16] (David Henry Thoreau [17]).
Un’economia non mercantile in cui il singolo produce solo per sé stesso si è già data, così come si sono già date forme mercantili semplici basate sul baratto, ecc… Ma poi gli uomini sono usciti dalle capanne e hanno prodotto quello che hanno prodotto. Perché, ritornando al punto di partenza, la storia non dovrebbe riprodursi in modo analogo?
“questo sviluppo delle forze produttive (in cui è già implicita l’esistenza empirica degli uomini sul piano della storia universale, invece che sul piano locale) è un presupposto pratico assolutamente necessario anche perché senza di esso si generalizzerebbe soltanto la miseria e quindi col bisogno ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda” [18]
Il rifiuto globale della tecnica e della scienza a causa della loro “natura di classe” è infantile. Affermare che le macchine possiedonouna “natura in sé” che prescinde totalmente dall’uso che se ne fa è una sciocchezza tanto grande quanto quella secondo cui la natura delle macchine dipende solo dall’uso che se ne fa.
È ovvio che macchine e infrastrutture pensate unicamente per realizzare la massima produttività del lavoro asservito non contengono “in sé” dispositivi e meccanismi per rendere tale lavoro salubre, sicuro, non faticoso. Ma è anche vero che solo una nuova tecnologia e una nuova scienza possono essere fonte di progressiva liberazione dal lavoro necessario a vantaggio del lavoro creativo.
Dal momento che siamo anche il prodotto di ciò che è venuto prima di noi, siamo in grado di porci in una posizione più avanzata rispetto a chi ci ha preceduto se siamo in grado di analizzarne errori e intuizioni; se siamo in grado, in altre parole, di elaborarne l’esperienza. Del resto, sempre, comprendiamo ciò che è meno sviluppato a partire da ciò che lo è di più.
“La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è sviluppato in tutto il suo significato ecc. L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Invece, ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta” [19]
Non ha senso, dunque, collocarsi nella logica del “ritorno a…”. Indietro non si torna mai. Neppure a Marx. Ed anzi, la tendenza a rifugiarsi nel passato di fronte alle incertezze del futuro è quasi sempre il sintomo di un pensare in modo reazionario.
Se l’essenza dell’uomo è data dall’insieme dei rapporti sociali storicamente determinati allora la sua conoscenza completa è sostanzialmente irraggiungibile. Primo, perché il nostro punto di osservazione è interno al sistema delle relazioni sociali che ci proponiamo di osservare e modificare, e dunque agente su tale sistema [20]: siamo, per così dire, al tempo stesso osservatori e osservati; secondo, perché la storia procede continuamente in avanti apportando sempre nuovi elementi di conoscenza.
Senza contare che la pretesa assurda di fotografare l’esistente in tutta la sua complessità conduce a quello che potremmo chiamare il “paradosso di Borges”
“In quell’Impero, l’Arte della Cartografia raggiunse tale Perfezione che la mappa d’una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’impero, tutta una Provincia. Col tempo, codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una Mappa dell’Impero, che uguagliava in grandezza l’Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo Studio della Cartografia, le Generazioni Successive compresero che quella vasta Mappa era Inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degl’Inverni” [21]
Ciò che è davvero importante è saper cogliere le tendenze fondamentali del modo di produzione capitalistico e delle società che su di esso sono basate. Su questo terreno il contributo teorico dei “classici” del marxismo resta insuperato (e al tempo stesso necessariamente integrabile).
Se è vero che oggi non possiamo conoscere completamente la forma che assumeranno domani le relazioni sociali tra gli individui, possiamo però immaginare una linea di tendenza, individuare alcuni tratti strutturali possibili. Per fare un solo esempio, la “cuoca di Lenin”, che dopo la rivoluzione si sarebbe occupata anche delle cose dello Stato, è stata spesso derisa come una boutade utopistica laddove invece esemplificava un obbiettivo molto importante quale era, ed è, quello del progressivo superamento della divisione gerarchica del lavoro, che costituisce il primo momento della costituzione delle classi [22].
Non si tratta di preparare “ricette per l’osteria dell’avvenire” (come Marx sconsigliava giustamente di fare), ma bensì di prefigurare alcuni tratti caratteristici fondamentali nella nuova società, dall’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione al superamento della divisione sociale del lavoro, dall’abolizione dello sfruttamento degli uomini da parte di altri uomini alla de-mercificazione dei rapporti con la natura umana e con quella non umana [23]…
In definitiva, il superamento di una dimensione estraniata in cui l’uomo stesso è ridotto a merce perché tutte le relazioni tra gli uomini sono ridotte a relazioni di proprietà e scambio di merci. In una parola, il comunismo.
Note
[1] “Two roads diverged in a wood, and I – I took the one less traveled by, and that has made all the difference”, Robert Frost, La strada non presa (trad. Antiper).
[2] Karl Marx e Fredrich Engels, Manifesto del partito comunista: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. Il comunismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee. È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso”.
[3] Karl Marx, Il 18 brumaio di Napoleone Bonaparte, I.
[4] A tal proposito, possiamo prendere come riferimento emblematico il “modello giusnaturalistico” di Thomas Hobbes per il quale “l’uomo è un lupo per l’uomo” (homo homini lupus). Per Hobbes nello “stato di natura” la situazione è quella della “guerra di tutti contro tutti” (bellum omnium contra omnes) per cui si rende necessario un ente – lo “stato assoluto” – non sottoposto ad alcuna sovranità e capace di regolare i rapporti tra gli uomini.
[5] E qui i riferimenti possono andare da Aristotele a Marx.
[6] Karl Marx, Tesi su Feuerbach, VI.
[7] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, pag. 110.
[8] Karl Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica, 1857.
[9] Cfr. J.J.Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini.
[10] Karl Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica, 1857.
[11] Karl Marx, Introduction to a Contribution to the Critique of Political Economy, MEIA: «Man is a Zoon politikon [political animal] in the most literal sense: he is not only a social animal, but an animal that can be individualised only within society».
[12] Costanzo Preve, Marx inattuale, p.175, Bollati Boringhieri, 2004.
[13] Karl Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica, 1857.
[14] Una storia non intesa come semplice successione di eventi, ma come complesso di tutte le attività umane, pratiche ed intellettuali.
[15] Cfr. Theodore J. Kaczynski, La società industriale e il suo futuro. Il manifesto di Unabomber, Ed. Stampa alternativa.
[16] Così come non contempla l’inneggiare al neo-primitivismo e poi girare il mondo a far conferenze spostandosi con gli aerei e presentando libri stampati con macchinari ultra-sofisticati, magari promuovendoli via Internet o trasportandoli attraverso mezzi che usano carburanti distribuiti dalle multinazionali del petrolio. E poi, quante sono nel mondo le persone che possono permettersi di possedere un pezzo di terra in montagna o in campagna?
[17] Cfr. D.H.Thoreau, Walden.Vita nel bosco, Donzelli editore, 2005.
[18] Karl Marx, Friedrich Engels, Ideologia tedesca, Capitolo II. L’ideologia in generale e in particolare l’ideologia tedesca.
[19] Karl Marx, Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica (Grundrisse). Introduzione. Il metodo dell’economia politica, La Nuova Italia, pag.32-33. Qui, davvero, il principio relativistico dell’influenza modificatrice dell’osservatore nell’osservazione non potrebbe essere più confermato.
[20] Cfr Slavoj Zizek, Tredici volte Lenin, Feltrinelli.
[21] Cfr. José Luis Borges, Del rigore nella scienza.
[22] Istvan Meszaros, Socialismo o barbarie. Dal “secolo americano” all’alternativa possibile, Ed. Asterios, 2006: «Lo sviluppo della divisione funzionale del lavoro – in linea di principio universalmente applicabile – costituisce la dimensione orizzontale potenzialmente liberatrice del processo di lavoro del capitale. Comunque questa dimensione è inseparabile dalla divisione del lavoro verticale o gerarchica nel contesto della struttura di comando del capitale». Meszaros usa la dicotomia “divisione verticale – divisione orizzontale”per sottolineare l’opposizione gerarchico – non gerarchico. Marx usa la dicotomia, ancora più interessante, “divisione sociale – divisione tecnica”.
[23] Cfr. Jason W. Moore, Antropocene e capitalocene, Ombre rosse.