Antiper | Postfazione a L. Althusser, Introduzione al Capitale, Punto I
Louis Althusser | Introduzione al I Libro del Capitale. Punto I (parte seconda), PDF, A5, 11 pag.
Louis Althusser | Introduzione al I Libro del Capitale (parte prima)
In questa seconda parte del libretto [1] è contenuta la famosa raccomandazione di Althusser – rivolta ai lettori che per la prima volta si avvicinano al Capitale – di saltare tutta la prima sezione.
Si tratta di una raccomandazione che ai maliziosi potrebbe apparire suggerita dall’inconfessato intento di Althusser di evitare al lettore l’impatto iniziale con il primo capitolo, quello dedicato alla teoria del valore che, per riconoscimento dello stesso Marx, ammicca qua e là al linguaggio hegeliano [2]; questo perché, come è noto, è forte la critica althusseriana di Hegel, tanto forte da coinvolgere anche il “giovane Marx” e da indurre il filosofo francese a parlare di “rottura epistemologica” [3] tra le marxiane opere giovanili – considerate troppo storiciste e umaniste, in sostanza troppo hegeliane – e le opere più mature, successive all’Ideologia Tedesca e alle Tesi su Feuerbach – finalmente scientifiche –).
I non maliziosi potrebbero invece testimoniare semplicemente che il primo capitolo è in effetti piuttosto complesso e stratificato e che dunque saltarlo temporaneamente potrebbe essere una scelta “facilitatrice”.
Althusser sembra avere in testa un lettore non avvezzo a certe sottigliezze terminologiche, un lettore “operaio”, potremmo dire; e infatti ripropone un concetto già affermato nella prima parte da un diverso punto di vista ovvero che in quanto esposizione scientifica di una condizione di sfruttamento che egli vive concretamente la teoria del plusvalore è perfettamente comprensibile per un lavoratore (mentre è praticamente incomprensibile per un certo tipo di intellettuale).
D’altra parte, è lo stesso Marx che, riconoscendo le asperità iniziali del testo [4], chiede che esso venga comunque letto nel suo ordine, se vogliamo, a misura del reale interesse del lettore a conquistare certe vette e della sua reale disponibilità ad affrontare i sacrifici intellettuali che questo comporta.
Per cui, grazie ad Althusser per il suggerimento che ha certamente buone ragioni, ma forse è meglio fare uno sforzo in più all’inizio e provare a seguire, di suggerimento, quello di Marx.
Più avanti Althusser ricorda come la progressiva introduzione di tecniche e tecnologie a maggiore produttività sia sempre “labour saving” e quindi, in regime capitalistico, non possa mai risultare vantaggiosa per i lavoratori a cui si applica. Si tratta di una constatazione apparentemente semplice dalla quale discende che i lavoratori dovrebbero sempre opporsi, per quanto sia loro possibile, ad ogni richiesta di aumento della produttività (mentre invece noi oggi abbiamo sindacati che cantano nel coro padronale avanzando proprio tali richieste).
Solo all’interno di società in cui le macchine siano poste al servizio dell’uomo – e non del capitale, come avviene dentro l’attuale modo di produzione – la loro introduzione può migliorare la condizione lavorativa.
Infine, in un passaggio che tratta della sezione sul salario è contenuta un’affermazione che forse è largamente condivisa dal punto di vista del “senso comune”, ma di certo non corrisponde all’approccio di Marx; elemento fondamentale di questa sezione, dice Althusser, è la demistificazione operata da Marx a proposito della narrazione padronale secondo cui la forza-lavoro viene pagata al suo valore; invece, per Althusser, la forza-lavoro non viene pagata al suo valore e sarebbe proprio in questa differenza tra il valore della forza-lavoro e il salario con cui essa viene pagata che risiede il “guadagno” realizzato dal capitalista.
Ora, è certamente vero che la lotta di classe economica e altri fattori fanno salire o scendere il livello dei salari e che il capitalista ha tutto l’interesse a tenere il più basso possibile tale livello, ma forse non è questo il focus principale di Marx nella cui costruzione teorica non sono considerate le oscillazioni dovute al mercato (e dunque non sono considerate neppure le oscillazioni dovute ai fattori del mercato della forza-lavoro, come appunto la lotta di classe economica).
Piuttosto, Marx si propone l’obbiettivo di mostrare come il plusvalore non nasce dal fatto che il lavoratore è sottopagato (anche se naturalmente il lavoratore può essere sottopagato), ma piuttosto dalla particolare proprietà della merce forza-lavoro di possedere il valore d’uso di creare valore.
Su questo punto vale la pena di fare una riflessione ulteriore. La forza del ragionamento di Marx risiede proprio nel fatto che alla base della creazione di plusvalore, e dunque di profitto, non c’è un “furto di valore”, una illegale sottrazione di denaro al lavoratore che possa essere compensata da una lotta per il “giusto salario” [5]. Nella misura in cui il salario è il prezzo della forza-lavoro, spiega Marx, esso rappresenta il costo di riproduzione della merce forza-lavoro. Quando lavoratore e capitalista scambiano una certa quantità di “capacità di lavorare” contro salario lo fanno “liberamente” e, in linea di principio, mediamente, scambiando equivalenti (come avviene, in linea di principio, mediamente, per lo scambio di ogni altra merce). Se la classe dei lavoratori si riproduce nelle condizioni sociali e storiche determinate allora il salario è “giusto” (nel senso dello scambio in regime capitalistico) perché paga la riproduzione della classe dei produttori ovvero il costo della merce forza-lavoro. Non è in nome del “giusto salario” e della riconquista del valore sottratto che devono essere condotte le lotte dei lavoratori (Althusser questo lo capisce bene e infatti sottolinea la distinzione tra lotta di classe economica difensiva e lotta di classe politica offensiva).
Note
[1] L. Althusser, Introduzione al I libro del Capitale, Dedalo.
[2] cfr. K. Marx, Poscritto alla seconda edizione del Capitale: “Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza: come un «cane morto». Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico”.
[3] cfr. L. Althusser, Per Marx, Mimesis: “Mi sia consentito riepilogare qui, in forma estremamente sommaria, alcuni risultati di uno studio che si protrasse lunghi anni e di cui i testi che pubblico sono soltanto testimonianze parziali. 1) Una “rottura epistemologica” senza equivoci è chiaramente presente nell’opera di Marx, laddove Marx stesso la colloca, nell’opera non pubblicata mentre era ancora in vita, che costituisce la critica della sua antica coscienza filosofica (ideologica): L’ideologia tedesca. Le Tesi su Feuerbach, che non sono che poche frasi, segnano l’estremo margine anteriore di questa rottura, il punto in cui, dentro la vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in formule e in concetti per forza disequilibrati ed equivoci, traspare già la nuova coscienza teorica. 2) Questa “rottura epistemologica” riguarda congiuntamente due discipline teoriche distinte. Creando la teoria della storia (materialismo storico) Marx, con un unico e medesimo gesto, aveva rotto con la sua coscienza filosofica ideologica anteriore e gettato le basi di una nuova filosofia (materialismo dialettico). Riprendo appositamente la terminologia consacrata dall’uso (materialismo storico, materialismo dialettico), per designare in una sola rottura questa duplice creazione.”
[4] cfr. K. Marx, Prefazione alla prima edizione del Capitale
[5] cfr. K. Marx, Critica del programma di Gotha