Essere antifascisti. Introduzione
Tratto da Antiper, Essere antifascisti. Riflessioni su fascismo e democrazia, aprile 2009, ver. 2.0
In Italia il fascismo, come particolare formazione economico-sociale di tipo capitalistico, è esistito per circa un ventennio, dall’inizio degli anni ’20 all’inizio degli anni ’40 del ‘900. I fascisti, invece, sono esistiti ben oltre la fine del fascismo storico [1] e tuttora esistono e da qualche anno si fa un gran parlare del loro ritorno al centro della scena politica e di una sorta di “fascistizzazione” in atto.
C’è chi afferma che il pericolo viene soprattutto dal neo-fascismo di gruppi come Forza Nuova, Fiamma Tricolore, Casa Pound, La Destra…; c’è chi sostiene, invece, che il pericolo viene dal camaleontismo “post-fascista” e in “doppio petto” di Gianfranco Fini; c’è chi vede nella Lega Nord la “vera nuova destra” e chi afferma che Silvio Berlusconi è il “nuovo duce”. È evidente (anche senza scomodare ulteriori definizioni come quella di social-fascismo [2]) che ci sono in circolazione un po’ troppi “pericoli principali” e che gli “antifascisti” stentano a cogliere la dialettica tra le varie componenti che formano ciò che una volta si sarebbe chiamato “blocco reazionario”.
Ora, alla domanda “chi sono i fascisti” segue inevitabilmente la domanda “chi sono gli antifascisti”. E qui le cose si complicano perché possiamo decidere di considerare antifascista chiunque si definisca tale (ed allora anche Berlusconi e Fini sono due convinti democratici) oppure possiamo cercare di capire cosa possa voler dire “essere antifascisti” nel terzo millennio. Di certo, non può significare limitarsi a magnificare staticamente l’esperienza di lotta dei partigiani o lamentarsi per l’opera revisionistica nei confronti di questa esperienza.
Se decidiamo di non seguire il consiglio di Karl Marx ed Friedrich Engels [3] di non giudicare un uomo a partire dall’opinione che egli nutre di sé stesso, non possiamo evitare di costruire un “album di famiglia” antifascista entro cui possano arruolarsi personaggi come quelli che dal loro sempre più sozzo pulpito tuonano contro gli “errori” del passato [4]. Noi, è bene chiarirlo a mo’ d’inizio, non abbiamo niente a che spartire con quel tipo di “antifascisti” e con chiunque altro abbia qualcosa a che spartire con loro, direttamente o anche solo indirettamente. Se quello è antifascismo non temiamo di dire che noi non siamo antifascisti.
Oggi che persino Gianfranco Fini si dichiara “antifascista” [5], ha ancora un senso dirsi antifascisti solo a patto di collocarsi fuori e (e nei fatti anche contro) quella retorica che ci ha chiesto e ci chiede di difendere le parole della Costituzione (come risultato più alto della Resistenza) mentre ha permesso e permette lo stravolgimento di ogni suo pur minimo significato.
Del resto, se il segretario di uno dei due partiti della Confindustria usa il richiamo alla Costituzione e al padre partigiano come linea di demarcazione rispetto all’altro partito della Confindustria è evidente che quel richiamo non comporta alcun problema per il potere dominante e infatti, negli ultimi 15 anni, quel richiamo è stato utilizzato per avallare 2 strategie complementari: 1) la creazione di due “campi politici” omologhi, in armonica competizione per il potere e perfettamente interscambiabili rispetto alla cornice sociale, politica e culturale del capitalismo; 2) la costruzione di una “memoria” – e quindi di una “identità nazionale” – condivisa capace di far digerire ai lavoratori la concertazione/coesione sociale sotto l’egida del capitale e, al tempo stesso, di stimolare una sorta di “nazionalizzazione” del disagio e dell’insicurezza di vita da indirizzare contro altre nazionalità (più che contro altre nazioni): scagliare i lavoratori italiani contro i lavoratori immigrati onde evitare che i lavoratori italiani e quelli immigrati si scaglino uniti contro i padroni.
Note
[1] Così come, del resto, i comunisti sono esistiti malgrado la mancata affermazione del comunismo.
[2] Usata dalla fine degli anni ’20 da parte della Terza Internazionale per caratterizzare l’atteggiamento collaborazionista con il fascismo di alcuni partiti di sinistra e che fu poi rovesciata dal VII Congresso del Comintern (1935) nella linea dei “fronti popolari”.
[3] Cfr. Marx-Engels, Ideologia tedesca.
[4] Basti pensare all’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha avuto l’infame coraggio di definire un “errore del passato” la strage delle Fosse Ardeatine di Roma (cfr. Repubblica on line, 25 marzo 2009).
[5] Cfr. Corriere della Sera on line, 13 settembre 2008: La destra si riconosca nell’antifascismo. Parlando ai giovani di An Fini striglia i suoi: “A Salò avevano torto, impossibile equiparare pro e contro”. “Chi è democratico cioè si riconosce nei valori della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale è antifascista, ma non tutti gli antifascisti in Italia erano democratici”. È il ragionamento dal quale il presidente della Camera parte, dal palco della festa dei giovani di AN, per affrontare le polemiche che hanno coinvolto esponenti di spicco del suo partito sul fascismo. “Sono convinto non da oggi – spiega Fini – che la destra italiana debba senza ambiguità e reticenze dire che si riconosce in alcuni valori certamente presenti nella Costituzione: la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale. Valori che hanno guidato e ancora guidano il cammino della destra e che sono valori di ogni democrazia e che a pieno titolo sono antifascisti”. Da segnalare lo “scavalcamento a sinistra” che Fini opera nei confronti di un suo precedente collega, il “sinistro” Luciano Violante, che nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Camera, nel 1996, ebbe l’impudenza di affermare che partigiani e repubblichini furono “vittime di una comune tragedia”, ciò che peraltro non gli impedì di incassare l’appoggio di tutta la cosiddetta “sinistra” parlamentare (“comunisti” compresi).