Antiper | Lo Stato borghese tra “democrazia” e autoritarismo
Tratto da Antiper, Tutto è restato impunito. Riflessioni a 40 anni dalla strage di Piazza Fontana, 12 dicembre 2009, EBOOK, 12 pag., A4, COPERTINA
La strage di Piazza Fontana e la “strategia della tensione” (nella sua più vasta accezione) costituiscono un “insegnamento” importante anche per l’attualità perché mostrano come possa reagire uno Stato “democratico” di fronte alla perdita, anche solo ipotetica, del proprio consenso e del proprio potere istituzionale.
Come abbiamo scritto in altre occasioni, il fascismo e i fascisti sono strumenti ai quali il potere capitalistico ricorre quando non è più in grado di legittimarsi attraverso la “democrazia” ma, come ci mostra proprio la “strategia della tensione” in Italia, possono essere usati dal potere anche per ri-legittimarsi.
Si potrebbe dire così: in “democrazia”, quando i partiti che esprimono gli interessi delle classi dominanti vincono le elezioni, governano; quando le perdono, ti mettono le bombe o ti fanno i “colpi di stato”. A qualcuno potrebbe persino venire il dubbio che ai lavoratori non convenga “vincerle”, le elezioni.
Naturalmente noi “tifiamo” per la “democrazia” borghese contro il fascismo e l’autoritarismo non solo perché questo ci consente un’agibilità che diversamente non avremmo, ma anche e principalmente perché in questo modo – come ebbe a scrivere il buon Lenin – i lavoratori possono comprendere che i loro problemi non derivano da una particolare forma di capitalismo – il fascismo, ovvero il sistema basato sulla “mancanza di democrazia” – ma dal capitalismo stesso – democratico o meno -. Finché invece i lavoratori continuano a battersi solo per difendere la democrazia borghese (ovvero il sistema politico-istituzionale preferito dai padroni) contro il fascismo (ovvero il sistema politico-istituzionale a cui ricorrono in situazioni di emergenza) siamo ancora ad uno stadio di autonomia politico-culturale piuttosto arretrato.
Oggi si fa un gran parlare della presunta trasformazione molecolare della società italiana in un sistema sostanzialmente “autoritario”. Di “democrazia autoritaria” parlano i leader dell’“opposizione” parlamentare e diversi intellettuali (Giovanni Sartori, per fare un esempio); ma di “deriva autoritaria” parlano anche molti gruppi comunisti. Da più parti si paventa una sorta di “fascistizzazione” strisciante, sottolineando – a volte in modo un po’ esagerato – l’aumento della repressione, ecc… Si indica nel “berlusconismo” una specie di neo-fascismo a base cesaristica e mass-mediatica, ma non si tiene conto del fatto che ogni fascismo, nella storia del ‘900, si è affermato come risposta reazionaria ad una ipotesi di trasformazione rivoluzionaria (o, quanto meno, autenticamente riformista).
Sarebbe già un buon inizio per capire meglio la situazione attuale domandarsi che bisogno ci sia di ricorrere al fascismo in una fase storica in cui il proletariato oppone solo una resistenza puramente “meccanica” all’attacco che gli viene portato quotidianamente su tutti i fronti. Così come sarebbe un buon inizio domandarsi come mai il centro-sinistra – quando non le ha anticipate, culturalmente e temporalmente – non ha mai cancellato alcuna delle leggi precedentemente approvate dalla destra, ivi comprese le cosiddette leggi “ad personam”.
È sempre più evidente che, aldilà delle finte diatribe tra maggioranza e opposizione, le politiche di governo in Italia sono sostanzialmente equivalenti e siccome queste politiche vengono portate avanti da coalizioni elette dai tre quarti dell’elettorato se ne deduce che non siamo di fronte ad un sistema – come il fascismo – che impone le sue politiche soprattutto con la forza, ma siamo di fronte ad un sistema che realizza le proprie politiche soprattutto attraverso una salda egemonia culturale sul “senso comune” popolare.
“Definire “fascisti” fenomeni riscontrabili in tutti i paesi capitalisticamente sviluppati (come la militarizzazione del territorio, l’ingrossamento dell’apparato repressivo, la riduzione delle libertà civili e democratiche…) rischia di essere il riflesso di un retro-pensiero influenzato dalla vulgata ideologica dominante secondo il quale la democrazia borghese sarebbe una cosa buona e “democratica”, mentre il fascismo sarebbe una cosa cattiva e “non democratica”. Invece, anche prima del fascismo, la democrazia liberale era già pienamente compatibile con cose assai poco “democratiche” come ad esempio la schiavitù” [1]
Se il movimento comunista esistente oggi in Italia conservasse un minimo di memoria della storia recente (e non solo di quella “resistenziale” che ci spiega sempre meno della società odierna); se questo movimento avesse la capacità di leggere le dinamiche profonde della società capitalistica e non solo le sue espressioni “sovra-strutturali” e “fenomeniche”, comprenderebbe che l’Italia è stata vicina ad una svolta apertamente reazionaria più all’inizio degli anni ’70 che non oggi e che tale svolta avrebbe potuto prodursi effettivamente se non fosse andata in porto (come è andata in porto) l’opera stabilizzatrice realizzata attraverso la finta destabilizzazione stragista/golpista e attraverso la definitiva cooptazione del PCI; comprenderebbe che molte delle contraddizioni istituzionali esistenti sono sostanzialmente interne al campo del sistema di potere dominante (sia esso rappresentato dalla destra, sia esso rappresentato dalla “sinistra”).
Ma sappiamo bene che questo tipo di impostazione fa orrore a tutti coloro che hanno ereditato culturalmente il processo – storico e teorico – che ha portato l’opposizione politica italiana da concezioni comuniste e anti-capitaliste, prima verso posizioni democratiche e “antifasciste da parata”, e poi verso l’anti-berlusconismo e il “legalitarismo” borghese dei Di Pietro, dei Travaglio, dei Grillo e oggi persino dei Fini
“…il passaggio dall’ideologia del classismo all’ideologia dell’antifascismo permette alla “sinistra” di parlare a settori sociali di piccola e media borghesia, il passaggio dall’ideologia dell’antifascismo all’ideologia dell’anti-berlusconismo permette di parlare a qualunque settore sociale. Si porta a compimento, quindi, il percorso che dalla “democrazia progressiva” di Togliatti conduce, passando attraverso il “patto” di Amendola e il “compromesso storico” di Berlinguer, all’alleanza dei produttori di Veltroni e di Bertinotti” [2].
Siamo consapevoli di “far orrore”. Ma spesso la verità fa questo effetto.
A volte ci chiedono: ma non vi ponete proprio il problema della differenza tra destra e “sinistra”? Non capite che in questo modo dividete la “sinistra” e fate vincere il “monarca” Berlusconi e il “ducetto” Fini?
Ovviamente ci poniamo il problema, ma non in termini teorici giacché riteniamo che Berlusconi e Veltroni – tanto per parlare dei due tizi che si sono confrontati nelle elezioni politiche dell’aprile 2008) siano due espressioni neppure troppo diverse di un identico sistema di potere. E noi non siamo qui per combattere l’una o l’altra “espressione” del potere capitalistico, ma il potere capitalistico indipendentemente da come esso si esprime.
Ci poniamo il problema da un punto di vista pratico essendo consapevoli che se lo pongono milioni di persone, ma sempre tenendo presente che a guardare troppo il singolo albero si finisce per perdere di vista l’intera foresta. In questo caso l’albero è Berlusconi e la foresta è il sistema capitalistico. Dunque, combattiamo Berlusconi in quanto rappresenta una delle espressioni del capitalismo; siamo “anti-berlusconisti” solo in quanto siamo anti-capitalisti. Ma, domandiamo, si può essere anti-capitalisti e nello stesso tempo appoggiare elettoralmente e mandare al potere il secondo partito della Confindustria per mandare a casa il primo?
Quando saremo convinti si essere di fronte al fascismo – ovvero, di fronte ad un sistema nel quale è ormai preclusa qualsiasi agibilità politica, un sistema che conquista il potere attraverso azioni armate e “marce su Roma” e non attraverso il voto dei lavoratori – ne trarremo le conseguenze e non ci limiteremo certo a invocare, come suprema forma di resistenza, l’unità elettorale con Dini e Mastella (come fu per Ferrero e Diliberto agli infausti tempi del Governo “Prodi 2”).
Contro il fascismo non si fanno “cartelli elettorali”; si fa quello che fecero i comunisti nel “ventennio” e i partigiani nella Resistenza.
E a coloro che parlano di “fascistizzazione, non di fascismo” diciamo solo una cosa: è dagli anni ’70 (almeno) che si parla di “fascistizzazione”: ma quanto tempo ci vuole per capire che quello che abbiamo avuto di fronte non è stato un processo di “fascistizzazione”, ma bensì un “semplice” processo di rovesciamento progressivo di alcuni rapporti di forza tra le classi, realizzato attraverso il concorso attivo e decisivo delle forze politiche e sindacali che negli ultimi 30 anni si sono definite “di sinistra”?
Note
[1] Antiper, Essere antifascisti. Riflessioni su fascismo e democrazia, Aprile 2009, www.antiper.org.
[2] Antiper, Il ciclo sgonfiato. Riflessione aperta sulla situazione politica italiana dopo le elezioni del 13-14 aprile 2008, agosto 2008, www.antiper.org.