Louis Althusser | Introduzione al I Libro del Capitale (parte prima)
Pubblichiamo questa prima parte di un libretto del filosofo francese Louis Althusser dedicato allo studio del (primo libro del) Capitale di Karl Marx, un testo certamente molto stimolante anche nelle parti obbiettivamente assai poco condivisibili (come quella in cui vengono liquidate frettolosamente le importantissime riflessioni “giovanili” di Marx).
Di questo brano gli elementi che ci paiono più interessanti sono probabilmente due:
1) l’aver sottolineato il carattere essenzialmente teorico del Capitale e il carattere meramente esemplificativo dei vari e pur interessanti excursus storici. Non fa mai male ripeterlo: il Capitale non parla del capitalismo inglese del primo ‘800 (come qualche marxologo si ostina ancor oggi a suggerire) e se oggi si volesse riscrivere il testo sostituendo gli esempi “inglesi” dell’800 con esempi “statunitensi” o “tedeschi” del ‘900 questo non ne cambierebbe di molto l’impostazione teorica generale;
2) l’aver evidenziato i diversi tipi di difficoltà che si incontrano nello studio del Capitale e specialmente la difficoltà politica che deriva dal non possedere alcuna esperienza di lotta di classe o di sfruttamento o, ancor più, dall’essere incapaci di uscire da una lettura intellettuale specialistica e disciplinare (filosofica, storica, economica…) [Antiper ]
Che cos’è Il Capitale? (*)
È la grande opera di Marx, alla quale egli ha consacrato tutta l’esistenza dopo il 1850, e sacrificato, attraverso prove crudeli, la maggior parte della sua vita personale e familiare.
Questa è l’opera sulla quale Marx deve essere giudicato. Soltanto su di essa, e non sulle “opere giovanili” ancora idealiste (1841-1844); non su opere ancora molto ambigue come l’Ideologia tedesca [1], e nemmeno sui Grundrisse, abbozzi tradotti in francese sotto il titolo errato di Fondamenti della Critica dell’Economia politica [2]; e neppure sulla celebre Prefazione a Per la critica dell‘economia politica [3], dove Marx definisce in termini molto ambigui (poiché hegeliani) la “dialettica” della “corrispondenza e della non-corrispondenza” tra Forze produttive e Rapporti di produzione.
Quest’opera gigantesca che è Il Capitale contiene, molto semplicemente, una delle più grandi scoperte scientifiche di tutta la storia umana: la scoperta del sistema dei concetti (dunque della teoria scientifica) che apre alla conoscenza scientifica quello che si può chiamare il “Continente-Storia”. Prima di Marx, due “continenti” di pari rilievo erano stati “aperti” alla conoscenza scientifica: il Continente-Matematiche, dai Greci del V secolo, e il Continente-Fisica da Galileo.
Siamo ancora molto lontani dall’aver colto la misura di questa scoperta decisiva, e dall’averne tratto tutte le conseguenze teoriche. In particolare, gli specialisti che lavorano nel campo delle “Scienze umane” e (campo più ristretto) delle Scienze sociali, dunque gli economisti, gli storici, i sociologi, gli psico-sociologi, gli psicologi, gli storici dell’arte e della letteratura, della religione e delle altre ideologie e anche i linguisti e gli psicanalisti: tutti questi specialisti devono sapere che non possono produrre conoscenze veramente scientifiche nel proprio campo specifico, senza riconoscere che la teoria fondata da Marx è loro indispensabile. Perché essa è, in origine, la teoria che “apre” alla conoscenza scientifica il “continente” nel quale essi lavorano, dove, fino ad ora, non hanno prodotto che qualche iniziale conoscenza (la linguistica, la psicanalisi), o qualche elemento o rudimento di conoscenza (la storia, la sociologia, in qualche raro capitolo l’economia), o pure e semplici illusioni battezzate abusivamente come conoscenze.
Solo i militanti della lotta di classe proletaria hanno tratto le conclusioni del Capitale: riconoscendovi i meccanismi dello sfruttamento capitalistico, e raggruppandosi in organizzazioni di lotta di classe economica (i sindacati) e politica (i partiti socialisti, poi i comunisti), che applicano una “linea” di lotta di massa per la conquista del Potere dello Stato, “linea” fondata sull’“analisi concreta della situazione concreta” (Lenin), dove essi devono battersi (dal momento che questa “analisi” è effettuata a partire da una giusta applicazione dei concetti scientifici di Marx alla “situazione concreta”).
È paradossale che degli intellettuali, specialisti altamente “esercitati”, non abbiano compreso un libro, che contiene la Teoria di cui necessitano nelle loro “discipline”, e che, invece, i militanti del Movimento Operaio abbiano compreso questo stesso Libro, malgrado le sue enormi difficoltà. La spiegazione di questo paradosso è semplice, ed è data chiaramente da Marx nel Capitale, e da Lenin nelle sue opere [4].
Se gli operai hanno così agevolmente “capito” Il Capitale, è perché esso parla, in termini scientifici, della realtà quotidiana in cui sono presi: lo sfruttamento di cui sono oggetto in virtù del sistema capitalistico. E’ per questo che Il Capitale è anche divenuto rapidamente, come diceva Engels nel 1886, la “Bibbia” del Movimento operaio internazionale. Invece, se gli specialisti di storia, di economia politica, di sociologia, psicologia, ecc…, hanno fatto e fanno ancora tanta fatica a “comprendere” Il Capitale, ciò è dovuto al fatto d’essere assoggettati all’ideologia dominante (quella della classe dominante), che interviene direttamente nella loro pratica “scientifica”, per falsarne l’oggetto, la teoria, i metodi. Salvo qualche eccezione, essi non sospettano, non possono sospettare la straordinaria potenza e varietà dell’influenza ideologica alla quale sono sottoposti nella loro stessa “pratica”. Salvo qualche eccezione, non sono in grado di criticare le illusioni in cui vivono, e che contribuiscono a conservare, perché ne sono letteralmente accecati. Salvo qualche eccezione, non sono in condizione di realizzare la rivoluzione ideologica e teorica indispensabile per riconoscere nella teoria di Marx quella stessa teoria di cui la loro pratica necessita per diventare finalmente scientifica.
Quando si parla della difficoltà del Capitale, occorre perciò operare una distinzione della più grande importanza. In effetti la lettura del Capitale presenta due tipi di difficoltà che non hanno assolutamente niente a che vedere l’una con l’altra.
La prima difficoltà, assolutamente e pesantemente determinante, è una difficoltà ideologica, dunque, in ultima istanza, politica.
Di fronte al Capitale, ci sono due tipi di lettori: quelli che hanno esperienza diretta dello sfruttamento capitalistico (prima di tutti i proletari o operai salariati della produzione diretta, e anche, con delle sfumature secondo la loro collocazione nel sistema di produzione, i lavoratori salariati non-proletari); e coloro che non hanno esperienza diretta dello sfruttamento capitalistico, ma che, per contro, sono dominati, nelle loro pratiche e nella loro coscienza, dall’ideologia della classe dominante: l’ideologia borghese. I primi non provano difficoltà di ordine ideologico-politico a comprendere Il Capitale, dal momento che parla molto semplicemente della loro vita concreta.
Gli altri trovano una estrema difficoltà a capire Il Capitale (anche se sono molto “colti”, e direi: soprattutto se sono molto “colti”), perché sussiste una incompatibilità politica tra il contenuto teorico del Capitale e le idee che hanno in testa, idee che “ritrovano” (perché ve le mettono) nelle loro pratiche. Ecco perché la prima difficoltà del Capitale è una difficoltà in ultima istanza politica.
Ma Il Capitale presenta un’altra difficoltà, che non ha assolutamente niente a che vedere con la prima: la seconda difficoltà, o difficoltà teorica.
Di fronte a questa difficoltà gli stessi lettori si dividono in due nuovi gruppi. Quelli che hanno l’abitudine alla riflessione teorica (dunque i veri scienziati) non provano, o non dovrebbero provare, difficoltà a leggere questo libro teorico che è Il Capitale. Quelli che non hanno l’abitudine di praticare opere teoriche (gli operai, e numerosi intellettuali che, se posseggono una “cultura”, tuttavia non hanno una cultura teorica) devono provare o dovrebbero provare grandi difficoltà a leggere un libro di teoria pura come Il Capitale.
Uso, come si vede, dei condizionali (non dovrebbero… dovrebbero…). È per mettere in evidenza questo fatto, ancora più paradossale del precedente: che anche persone senza pratica di testi teorici (come degli operai) hanno provato, di fronte al Capitale, minori difficoltà rispetto ad altre esperte nella pratica della teoria pura (come degli scienziati, o degli pseudo-scienziati molto “colti”).
Ciò non ci deve dispensare dal dire una parola sul particolarissimo tipo di difficoltà che Il Capitale presenta, in quanto opera di teoria pura, tenendo ben presente il fatto fondamentale che
non sono le difficoltà teoriche, ma quelle politiche ad essere davvero determinanti, in ultima istanza, per ogni lettura del Capitale, e del suo libro I.
Tutti sanno che senza teoria scientifica corrispondente, non può sussistere una pratica scientifica, vale a dire una pratica produttrice di conoscenze scientifiche nuove. Ogni scienza si fonda dunque sulla propria teoria. Il fatto che questa teoria cambia, si complica, si modifica a misura dello sviluppo della scienza presa in considerazione, non cambia nulla della questione.
Ora che cos’è questa teoria indispensabile a ogni scienza? E’ un sistema di concetti scientifici di base. È sufficiente pronunciare questa semplice definizione per far risaltare due aspetti essenziali di ogni teoria scientifica: 1) i concetti di base, 2) il loro sistema.
Questi concetti sono appunto dei concetti, cioè delle nozioni astratte. Prima difficoltà della teoria: abituarsi alla pratica dell’astrazione. Questo apprendistato, poiché si tratta di un vero e proprio apprendistato (paragonabile all’addestramento in una qualsiasi attività pratica, come il tirocinio del fabbro), si compie anzitutto, nel nostro sistema scolastico, attraverso le matematiche e la filosofia. Fin dalla Prefazione al Libro I Marx ci avverte che l’astrazione non è soltanto l’essere della teoria, ma anche il metodo della sua analisi. Le scienze sperimentali dispongono del “microscopio”, la scienza marxista non ha “microscopio”: si deve servire dell’astrazione, che “ne fa le veci”.
Attenzione: l’astrazione scientifica non è affatto “astratta”, tutto l’opposto. Per esempio: quando Marx parla del capitale sociale totale, nessuno può “toccarlo con mano”, quando Marx parla del “plusvalore totale”, nessuno può toccarlo con mano, né misurarlo: tuttavia questi due concetti astratti designano delle realtà effettivamente esistenti. Ciò che rende scientifica l’astrazione è esattamente il fatto che essa designa una realtà concreta che esiste per davvero, ma che non si può “toccare con mano”, né “vedere con gli occhi”. Ogni concetto astratto fornisce dunque la conoscenza di una realtà di cui rivela l’esistenza: concetto astratto allora vuol dire formula apparentemente astratta, ma in realtà straordinariamente concreta attraverso l’oggetto che designa. Questo oggetto è straordinariamente concreto in quanto infinitamente più concreto, più efficace degli oggetti che si possono “toccare con mano” o “vedere con gli occhi”, – e tuttavia non si può né toccarlo con mano né vederlo con gli occhi. Così il concetto di valore di scambio, il concetto di capitale sociale totale, il concetto di lavoro socialmente necessario ecc… Tutto ciò può essere facilmente chiarito.
Altro punto: i concetti di base esistono sotto la forma di un sistema, ed è ciò che ne fa una teoria. Una teoria è in effetti un sistema rigoroso di concetti scientifici di base. In una teoria scientifica, i concetti di base non esistono in un ordine qualsiasi, ma in un ordine rigoroso. Occorre dunque saperlo, e apprendere passo per passo la pratica del rigore. Il rigore (sistematico) non è una fantasia, né un lusso formale, ma una necessità vitale per ogni scienza, per ogni pratica scientifica. È ciò che, nella sua Prefazione, Marx chiama il rigore dell’“ordine d’esposizione” di una teoria scientifica.
Detto questo, occorre sapere qual’è l’oggetto del Capitale, in altre parole qual’è l’oggetto che è analizzato nel libro I del Capitale. Marx lo dice: è “il modo di produzione capitalistico, e i rapporti di produzione e di scambio che gli sono propri”. Ora, anch’esso è un oggetto astratto. In effetti, e malgrado le apparenze, Marx non analizza alcuna “società concreta”, neppure l’Inghilterra di cui parla sempre nel libro I, ma il MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO e niente altro.
Questo oggetto è astratto: ciò vuol dire che è straordinariamente reale, e che non esiste mai allo stato puro, poiché esiste soltanto nelle società capitalistiche. Più semplicemente: per poter analizzare queste società capitalistiche concrete (Inghilterra, Francia, Russia, ecc. ..), occorre sapere che sono dominate da questa realtà tremendamente concreta, e “invisibile” (a occhi nudi) che il modo di produzione capitalistico. “Invisibile”: dunque astratto.
Naturalmente tutto ciò si presta a malintesi.
Occorre essere estremamente attenti per evitare le false difficoltà di questi malintesi. Per esempio, non bisogna credere che Marx analizzi la situazione concreta dell’Inghilterra quando ne parla. Non ne parla che per “illustrare” la sua teoria (astratta) del modo di produzione capitalistico.
Riassumendo: c’è davvero una difficoltà alla lettura del Capitale, che è una difficoltà teorica. Essa deriva dalla natura astratta e sistematica dei concetti di base della teoria, o dell’analisi teorica. Occorre sapere che è una difficoltà reale, oggettiva, che non si può superare che attraverso una pratica dell’astrazione e del rigore scientifici. Occorre sapere che questa pratica non si fa in un giorno.
Di qui un primo consiglio di lettura. Tenere sempre ben presente l’idea che il Capitale è una opera di teoria, che ha per oggetto i meccanismi del modo di produzione capitalistico, e soltanto quelli.
Di qui un secondo consiglio di lettura: non cercare nel Capitale né un libro di storia “concreta” né un libro d’economia politica “empirica” nel senso in cui storici ed economisti intendono i loro termini. Ma trovarvi un libro di teoria che analizza il MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO. La storia (concreta) e l’economia (empirica) hanno altri oggetti.
Di qui questo terzo consiglio di lettura. Quando ci si imbatte in una difficoltà di lettura d’ordine teorico, occorre saperlo, e prendere le misure necessarie. Non avere fretta, tornare indietro, accuratamente, lentamente, e non andare avanti finchè le cose non si sono chiarite. Tener conto del fatto che una pratica della teoria è indispensabile per leggere un’opera teorica. Sapere che si può imparare a camminare camminando, a patto di rispettare scrupolosamente le condizioni anzidette. Sapere che non s’imparerà d’un sol colpo, immediatamente e definitivamente, a procedere nella teoria, ma poco a poco, pazientemente, e umilmente. Il successo ha questo prezzo.
Ciò praticamente vuol dire che non si può comprendere il libro I che a condizione di rileggerlo quattro o cinque volte di seguito, cioè il tempo di aver imparato a procedere nella teoria.
Questa avvertenza è destinata a guidare i primi passi dei lettori nella teoria.
Ma prima è necessaria una parola sul pubblico che e in procinto di leggere il libro I del Capitale.
Da chi, naturalmente, è composto questo pubblico?
1) Da proletari, o salariati direttamente impiegati nella produzione dei beni materiali.
2) Da lavoratori salariati non-proletari (dal semplice impiegato, fino al dirigente medio e superiore, all’ingegnere e al ricercatore, all’insegnante, ecc…).
3) Da artigiani urbani e rurali.
4) Da liberi professionisti.
5) Da studenti universitari e liceali.
Tra i proletari e salariati che leggeranno il libro I del Capitale figurano naturalmente uomini e donne ai quali la pratica della lotta delle classi nelle loro organizzazioni sindacale e politica ha dato una certa “idea” della teoria marxista. Questa idea può essere più o meno giusta, a seconda che si passi dai proletari ai salariati non-proletari: essa non è fondamentalmente falsata.
Tra le altre categorie che leggeranno il libro I del Capitale figurano naturalmente uomini e donne che hanno in testa, anch’essi, una certa “idea” della teoria marxista. Ad esempio gli universitari, e più precisamente gli “storici”, gli “economisti”, e numerosi ideologi di diverse discipline (perché, come si sa, tutti, nel campo delle Scienze umane, oggi si dichiarano “marxisti”).
Ora, ciò che questi intellettuali hanno in testa a proposito della teoria marxista, sono, al 90 per cento, idee false. Esse sono state esposte mentre Marx era ancora in vita, e poi instancabilmente ripetute, senza alcun ragguardevole sforzo d’immaginazione. Queste false idee sono state prodotte e difese da un secolo in qua da tutti gli economisti e ideologi borghesi e piccolo-borghesi [5] per “confutare” la teoria marxista.
Queste idee non hanno avuto alcuna difficoltà a “conquistare” un vasto pubblico, perché, attraverso i suoi pregiudizi ideologici antisocialisti e antimarxisti, lo avevano “conquistato” anticipatamente.
Questo largo pubblico è formato anzitutto da intellettuali, e non da operai perché, come diceva Engels, anche quando non penetrano all’interno delle argomentazioni più astratte del Capitale, i proletari “non vi si lasciano impigliare”.
Invece, anche gli intellettuali e gli studenti più generosamente “rivoluzionari” vi si “lasciano impigliare”, per un verso o per l’altro, dal momento che sono massicciamente assoggettati ai pregiudizi dell’ideologia piccolo-borghese, senza la contropartita dell’esperienza diretta dello sfruttamento.
Sono dunque obbligato, in questa avvertenza, a tener conto contemporaneamente:
1) dei due ordini di difficoltà che ho già indicato (difficoltà n. 1: politica; difficoltà n. 2: teorica);
2) della distribuzione del pubblico in due gruppi fondamentali: pubblico operaio-salariato da una parte, pubblico degli intellettuali dall’altra, restando inteso che questi due gruppi coincidono in una delle loro frange (alcuni salariati sono al tempo stesso dei “lavoratori intellettuali”);
3) dell’esistenza, sul mercato delle ideologie, di confutazioni pretenziosamente “scientifiche” del Capitale, che fanno presa più o meno profondamente, secondo l’origine di classe, su questa o quella parte di tale pubblico.
Tenuto conto di tutti questi dati, la mia avvertenza assumerà la seguente forma:
Punto I: Consigli per la lettura destinati a evitare provvisoriamente le più ardue di tali difficoltà. Questo punto sarà breve e chiaro. Mi auguro che i proletari lo leggano, perché è scritto soprattutto per loro, anche se si rivolge a tutti.
Punto II: Indicazioni sulla natura delle difficoltà teoriche del libro I del Capitale, da cui prendono pretesto tutte le confutazioni della teoria marxista.
Questo punto sarà inevitabilmente più ostico, data la natura delle difficoltà teoriche che si affronteranno, e dati gli argomenti delle “confutazioni” della teoria marxista che s’appoggiano su queste difficoltà.
Note
(*) Questo testo è stato pubblicato come introduzione a quella che, come notava lo stesso Althusser, è stata la prima edizione francese “accessibile ad un larghissimo pubblico” del I libro del Capitale.
[1] Opera scritta nel 1845 e rimasta inedita durante la vita di Marx. (Trad. it. L’ideologia tedesca, Roma, 1969).
[2] Grundrisse der Kritik der politischen Oekonomie (1857-1858), Berlino, 1953. (Trad. it. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, a cura di E. Grillo, Firenze, 1968; poi a cura di G. Backaus, Torino, 1976).
[3] Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859). (Trad. it. Roma, 1969).
[4] Si veda per esempio l’inizio del testo di Lenin: Stato e Rivoluzione (Trad. it. Milano, 1968).
[5] Queste formule non sono polemiche, sono concetti scientifici firmati dalla mano di Marx nel Capitale.