Marco Riformetti | “Stato e rivoluzione” come programma strategico
Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017
Stato e rivoluzione è innegabilmente il testo più “visionario” di Lenin e deve il proprio fascino duraturo anche al fatto di proiettare il proprio sguardo ben oltre la fase storica entro cui esso è stato concepito. Del resto, solo illuminandolo dalla prospettiva del futuro è possibile interrogare il presente in modo adeguato. Ma questa prospettiva non sorge per generazione spontanea, bensì dalla proiezione realistica dell’esistente in un non-ancora esistente necessariamente “chiaro e confuso”, per dirla con Liebnitz; senza questa proiezione nessuna progettualità è possibile e il corso della storia si riduce ad una semplice successione di attimi presenti senza futuro: in una parola, a puro fluire nichilistico (il che, poi, è ciò che caratterizza la condizione nella quale versa attualmente quel variegato ed entropico mondo di “pulsioni” che si considera proteso verso il superamento del capitalismo ed il cui agire è invece pienamente interno alla “ragione utilitaristica” tipica del rapporto di capitale).
Stato e rivoluzione deve essere pensato come programma massimo, come visione strategica. Ma come ogni strategia, anche quella di Lenin ha trovato sulla propria strada problemi nuovi che hanno suggerito nuovi aggiustamenti teorici e pratici (a cominciare dalla NEP, la Nuova Politica Economica, che Lenin non esista a dichiarare un vero e proprio “ritorno al capitalismo”, un passo indietro necessario per poter fare successivamente due passi avanti).
Già all’indomani dell’Ottobre la rivoluzione deve far fronte all’offensiva delle forze reazionarie spalleggiate dai paesi di tutta l’Europa, ansiosi di soffocare nella culla la nascente esperienza sovietica che senza l’aiuto della rivoluzione internazionale corre seriamente il rischio di non farcela
“E in questa epoca di dure sconfitte e di ritirate, dobbiamo cercare di salvare sia pure una minima parte delle nostre posizioni, ritirandoci dinanzi all’imperialismo, aspettando che mutino le condizioni internazionali in generale, in modo che facciano in tempo a venirci in aiuto quelle forze del proletariato europeo che esistono, che maturano, che non hanno potuto liberarsi cosi facilmente, come noi, del loro nemico, poiché sarebbe una grandissima illusione e un gravissimo errore dimenticare che per la rivoluzione russa è stato facile cominciare e difficile compiere i passi ulteriori. Questo è stato inevitabile perché abbiamo dovuto cominciare dal regime politico più arretrato, più marcio.
La rivoluzione europea deve cominciare dalla borghesia, deve avere a che fare con un nemico senza confronti più serio, in condizioni infinitamente più difficili. Per la rivoluzione europea sarà infinitamente più difficile incominciare. Vediamo che le è infinitamente più difficile aprire la prima breccia nel regime che la opprime. Le sarà invece assai più facile passare al secondo e al terzo stadio della propria evoluzione. E non può essere altrimenti, dato il rapporto di forze tra le classi rivoluzionarie e quelle reazionarie attualmente esistente in campo internazionale” [1]
Come è noto, la rivoluzione europea non arriverà. Non è questa la sede per sviluppare un’approfondita riflessione sui “problemi della transizione” [2], ma è del tutto evidente che quando un nuovo potere politico, come quello sovietico, deve fronteggiare una situazione economica e militare disastrosa, l’invasione di quattordici eserciti stranieri, la rivolta di gran parte dell’esercito, quattro anni di guerra civile… anche la semplice sopravvivenza deve essere considerata un vero miracolo.
Note
[22] Lenin [27], pag. 169
[23] Cfr. AA.VV, Città del sole [2004].