Giulia Iacometti | Crisi transitoria o crisi sistemica?
Giulia Iacometti | Tratto da Etica e politica nell’Antropocene (a partire dal contributo di Jason W. Moore), Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2018, PDF, 72 pagine.
Jason Moore ribadisce in più occasioni il fatto che lo sviluppo capitalistico ha incessante bisogno di disporre di “natura a buon mercato” di cui appropriarsi, ma osserva come da alcuni anni questa disponibilità sembra esaurirsi e si domanda se questo non potrebbe essere il segnale di una crisi strutturale – diciamo sistemica – dell’economia-mondo capitalistica contemporanea
“Una crisi spia annuncia il punto di svolta nella capacità del regime di accumulazione di fornire fattori produttivi strategici in un modo che riduca, invece di accrescere, i costi di produzione del sistema nel suo insieme.” [1]
Se questo è vero allora il capitalismo si trova di fronte ad un dilemma: subire la riduzione cronica dei profitti o cercare la possibilità di un rilancio del saggio di profitto. Il punto è: come?
E comunque, se pure questo rilancio fosse possibile, dobbiamo domandarci se esso possa realizzarsi all’interno dell’attuale ciclo egemonico o se invece sia inevitabile la transizione verso un nuovo ciclo egemonico (magari, come ipotizzato da Giovanni Arrighi [2], un ciclo ad egemonia “cinese”).
Il tramonto di un “ciclo egemonico” si presenta sempre nella forma di alti costi di produzione (fine della natura e del lavoro a buon mercato), bassi saggi di profitto nei settori produttivi, fuga verso la speculazione finanziaria.
Anche in questo, Moore riprende la lezione della sua “scuola”
“«Questo periodico riproporsi di espansioni finanziarie nel sistema capitalistico mondiale, fin dalla sue prime origini nelle città-stato dell’Italia rinascimentale, fu notato per la prima volta da Fernand Braudel, che sottolineò le loro condizioni dal lato dell’offerta.
Tutte le volte che i profitti del commercio e della produzione hanno prodotto
‘un’accumulazione di capitali superiore alle normali occasioni di investimento, […] il capitalismo finanziario […] ha saputo […] conquistare la piazza e dominare – per un certo periodo – l’insieme del mondo degli affari’ [3].
In questa evoluzione
‘lo stato del rigoglio finanziario […] sembr[a] annunciare […] una sorta di maturità’ [4]
Le espansioni finanziarie
‘sono il segnale dell’autunno’ [5]» [6]”
Nel III Libro de Il Capitale Marx espone la propria teoria delle crisi capitalistiche mostrando in che modo la caduta congiunturale del saggio di profitto sia collegata alla sovrapproduzione di capitale [7]. Per riprendere i termini di Braudel quando si verifica “un’accumulazione di capitali superiore alle normali occasioni di investimento” ovvero quando i settori produttivi offrono saggi di profitto calanti, il capitale tenta di valorizzarsi attraverso la speculazione finanziaria (ovvero attraverso il ciclo abbreviato D-D‘).
La domanda che (si) pone Jason Moore è questa: la crisi che si presenta di fronte a noi è una crisi sistemica oppure una crisi congiunturale (ovvero una crisi della sola fase neo-liberista del capitalismo storico)?
“La “fine” è un fenomeno ciclico (la fine della natura a buon mercato del neoliberismo) o è la “fine” secolare (la fine della natura a buon mercato del capitalismo storico)?” [8]
“Dagli anni ‘70 del ‘900” (dice Moore) è in atto un cambiamento quantitativo e qualitativo che ha spostato il peso dell’economia capitalistica soprattutto sul versante del capitale finanziario
“[…] «modello di accumulazione in cui i profitti maturano innanzitutto attraverso canali finanziari, piuttosto che mediante il commercio e la produzione di merci (Krippner 2005, 174; anche Arrighi 2003)»” [9]
Dunque, se la finanziarizzazione estrema è sempre l’indice di una crisi, di quale crisi stiamo parlando?
Sviluppando ulteriormente il dilemma posto da Jason Moore potremmo anche domandarci: è il capitalismo tout court, il capitalismo come modo di produzione, ad essere arrivato al capolinea (aldilà della percezione politica che se ne possa avere oggi)? Oppure è solo la fase della globalizzazione neo-liberista ad essere entrata in crisi?
O ancora: siamo di fronte al passaggio dal ciclo ad egemonia USA ad un nuovo ciclo ad egemonia cinese (o magari – perché no? – multipolare)? Ed in quel caso, che tipo di egemonia sarebbe, l’egemonia di un capitalismo di stato oppure quella di un socialismo di mercato?
Note
[1] J. W. Moore, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo, pag. 57.
[2] Cfr. G. Arrighi, Adam Smith a Pechino.
[3] F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo, Einaudi, 1982.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] G. Arrighi, B. J. Silver, Caos e governo del mondo, pag. 36.
[7] K. Marx, Il Capitale, Libro III, Sezione III, La legge della caduta tendenziale del saggio di profitto.
[8] J. W. Moore, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo, pag. 91.
[9] J. W. Moore, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo, pag. 62.