Antiper | Secessione antifascista o rivolta dei ricchi?
Il Re spagnolo ha preso la parola per legittimare la repressione dei manifestanti catalani da parte della Guardia Civil. Non c’è da stupirsi. In Spagna il franchismo non è stato abbattuto da una rivoluzione o da una resistenza antifascista. La guerra civile, i fascisti, l’hanno vinta.
Il fanchismo ha consegnato il potere al proprio erede, la Monarchia, in modo pacifico. Dunque, stupirsi del fatto che il Re spagnolo si comporta da erede del fascismo è stupirsi di una ovvietà.
Detto questo, la Spagna non è un paese fascista – come scrivono certi buontemponi in stato confusionario -; se lo fosse, lo sarebbe anche un paese come l’Italia; se lo fosse gli spagnoli tutti (perché solo i catalani?) dovrebbero rivoltarsi e magari “andare in montagna” senza perdere tempo a votare fac-simili; se lo fosse non si dovrebbero deporre le armi, come hanno fatto unilateralmente i baschi (che evidentemente hanno fatto altre valutazioni e non intendono, immaginiamo, consegnarsi disarmati al neo-fascismo di Madrid).
Quando si usano le parole a casaccio finisce che si hanno idee a casaccio e si fanno proposte a casaccio.
Il Governo PP-PSOE non è fascista: è un normale governo “democratico” come “democratico” è il governo di Trump, di Angela Merkel o di Paolo Gentiloni; solo gli incrollabili amici della democrazia borghese chiamano “fascisti” i governi quando manganellano i manifestanti, mettono le bombe sui treni, limitano il diritto di sciopero, partecipano ad aggressioni militari, ecc…; non hanno ancora capito che la democrazia borghese può essere violenta tanto quanto certi regimi fascisti.
Ma d’altra parte, chi dirige attualmente il processo “secessionista” catalano non è antifascista; può usare retoricamente il ricordo degli anni ’30, ma con essi non ha nulla a che spartire; e anzi, accostare il referendum catalano alla resistenza antifascista degli anni ’30 contro Franco è un vero e proprio insulto a quella storia.
La frantumazione degli stati nazionali o delle entità sovra-nazionali può essere una buona notizia o una pessima notizia. Dipende dall’influenza che i vari attori sono in grado di esercitare sugli eventi. Dipende dalla nostra influenza. Non è dunque buona a prescindere o cattiva a prescindere.
Il movimento comunista e antimperialista è oggi completamente allo sbando, almeno in Europa; manca di tutto e in particolare di due cose: visione strategica e solidità politico-organizzativa. Ovvero, teoria rivoluzionaria e partito rivoluzionario. La Spagna non fa eccezione. L’Italia brilla per arretratezza. In queso scenario non è in grado di giocare nessuna reale influenza e rischia di collocarsi sempre alla coda degli eventi. Ma accodarsi non è mai una buona scelta. Meglio mantenere un atteggiamento sobrio e analitico; quantomeno per non rendersi ridicoli (come chi vaneggia di “ritorni” della “rottura”).
Quella che sta avvenendo in Catalogna non è una secessione; per una secessione serve una guerra civile o quasi. Quello che è in corso è il tentativo di contrattare una ulteriore autonomia soprattutto di carattere fiscale.
La ricca Catalogna non vuole pagare per le altre regioni povere della Spagna e questa non è la dimostrazione di una rivolta anti-franchista 40 anni dopo la morte di Franco, ma piuttosto di una logica pienamente in sintonia con lo Zeitgeist imperante: la rivolta dei ricchi contro i poveri. Ed ciò spiega come mai i movimenti indipendentisti baschi “di sinistra” sono sempre stati minoritari anche quando il clima politico era molto più avanzato e come mai i movimenti indipendentisti catalani “di destra” sono così egemoni oggi che il clima politico è così arretrato.