Antiper | Indipendentismo dall’alto e confusione dal basso
L'”indipendentismo dall’alto” catalano è del tutto funzionale agli interessi del capitale catalano; i lavoratori catalani e quelli del resto della Spagna non hanno niente da guadagnare da questo processo che assomiglia troppo ad una “secessione dei ricchi”. Qui non c’è nemmeno un briciolo di quel sacrosanto diritto dei popoli all’autodeterminazione che lo stesso Lenin riconosceva (ma sempre e solo come “punto di passaggio” verso lo scontro contro l’imperialismo).
Si può convenire, in astratto, che la Catalogna ha una propria identità culturale e linguistica (come sardi, corsi, baschi, curdi ecc… ma anche come altoatesini o valdostani), ma è altresì vero che, in concreto, questo progetto di secessione è espressione della completa egemonia politica della borghesia catalana sulle masse catalane (le quali sono state indotte a pensare che mollando la zavorra spagnola potranno vivere meglio, in uno schema che da questo punto di vista è del tutto identico a quello agitato contro gli immigrati: se se ne vanno, staremo meglio).
Una sinistra che spera di sopravvivere “cavalcando da sinistra” le parole d’ordine della destra (uscita “a prescindere” dall’UE e dall’Euro, sostegno a indipendentismi e regionalismi, immersione subalterna e apolitica nel sottoproletariato urbano…), attualmente egemoni in tutta l’Europa, è destinata solo all’ulteriore disastro. Si possono fare mille considerazioni sul carattere anti-democratico del governo PP (appoggiato del PSOE) e diecimila sulle intenzioni ininfluenti delle sinistre catalane, ma il problema resta: oggi, la maggior parte dei regionalismi e degli identitarismi sono espressione di una contestazione della cosiddetta “globalizzazione” egemonizzata da pulsioni reazionarie.
Pretendere di “dirigere le masse” sulle parole d’ordine della destra – di sistema e “anti-sistema” – non è contrastare la destra, è darle una mano. E non ne ha proprio bisogno.