Antiper | Le donne tra due rivoluzioni. Dalla Rivoluzione francese alla rivoluzione d’Ottobre
Antiper | Ciclo di Incontri di approfondimento storico e politico (IASP) | La rivoluzione delle donne, 1. Le donne tra due rivoluzioni. Dalla Rivoluzione francese alla rivoluzione d’Ottobre, Sabato 29 novembre 2014, Appunti per la relazione introduttiva, PDF, 9 pagine, novembre 2014
Donne senza storia?
Abbiamo pensato di promuovere questo incontro perché crediamo che sia fondamentale conoscere il percorso nella storia dei movimenti delle donne, anche per comprendere meglio come sono evoluti e cosa siano diventati oggi questi movimenti, a che punto è la lotta delle donne per la propria emancipazione, attraversando sinteticamente varie epoche e partendo dalla Rivoluzione francese.
Il titolo che abbiamo scelto – La Rivoluzione delle donne – lo abbiamo già usato in altre occasioni [1], ma ci è utile riutilizzarlo perché coglie efficacemente il senso di un concetto: attraverso la Rivoluzione socialista le donne si pongono un obbiettivo fondamentale: produrre un salto di qualità decisivo nel processo di liberazione delle donne e, in particolare, nel processo di liberazione delle donne lavoratrici.
Anche nell’era di Internet, reperire informazioni sulla prima parte di questo ciclo è stato piuttosto complicato e già questo semplice fatto dimostra che per lungo tempo non è esistita una vera “storia delle donne”. Almeno fino ad una certa “altezza”, la storia è stata storia al maschile e per lunghi secoli le donne non sono state raccontate; per meglio dire, non hanno potuto raccontarsi.
Sin dall’antichità la donna è collocata in una posizione di soggezione rispetto l’uomo: la famiglia patriarcale (il cui capo è il padre) caratterizza già le società persiana, greca, romana… I timidi tentativi di manifestare la propria disapprovazione per qualche legge ingiusta vengono sistematicamente rigettati perché “le donne non devono intromettersi negli affari pubblici”.
Nel Medioevo ci si pone addirittura la domanda se le donne posseggano un’anima, come gli uomini, oppure se ne siano sprovviste, come gli animali; intanto, un numero incalcolabile di donne viene bruciato e perseguitato dalla Chiesa per imporre alle donne una condizione di totale sottomissione.
Nel Rinascimento la condizione generale delle donne non subisce grandi miglioramenti (eccezion fatta per alcune donne appartenenti alle classi più elevate che hanno la possibilità di raggiungere gradi più elevati di istruzione e di affermarsi in vari campi).
E ancora, fino all’800 alcune donne arrivano a nascondersi dietro false identità, talvolta persino maschili, per potersi esprimere, ad esempio in letteratura (alcuni esempi sono quelli di George Sands, George Eliot, le sorelle Bronte, Jane Austen, Mary Shelley).
Questa “mimesi” si ripropone anche nel Risorgimento, nell’esperienza della Repubblica Partenopea e in quella della Repubblica Romana, in cui le donne combattenti partecipano alle azioni militari indossando abiti maschili [2]
“In questa fase le donne partecipano in vario modo all’insurrezione: disselciano le strade, accumulano pietre e munizioni per gli insorti, portano messaggi e generi di ristoro di barricata in barricata, curano i feriti, attaccano dalle finestre i nemici.
Si travestono in panni maschili per varcare i confini dell’identità prescritta e per esprimere e far emergere doti che traboccano dal modello normativo di donne.
Il caso più famoso a Roma, Colomba Antonietti, che ricorre agli abiti maschili per seguire il marito in battaglia dove trova la morte (lodata da Garibaldi). O Cristina di Belgiojoso che enfatizzava l’oblatività materna delle infermiere romane, che le aveva rese degne del proprio impegno politico. Ma resta una domanda: queste donne misero in discussione anche il loro ruolo privato?” [3]
Il tema della donna nella Rivoluzione francese
Avendo scelto di concentrare l’attenzione sul periodo che, grosso modo, va dalla Rivoluzione francese (1789) a quella d’Ottobre (1917), non si può non iniziare dalla sanculotta girondina Olympe De Gouges che nel 1791 scrive la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, sulla traccia della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il testo fondamentale della Rivoluzione. Nonostante fossero certamente discutibili sia le idee politiche di Olympe de Gouges sia, ancor di più, la decisione di indirizzare la propria Dichiarazione alla Regina (Maria Antonietta) a mo’ d’appello, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina ebbe alcuni meriti importanti: il primo, quello di porre la questione dell’esistenza dell’universo femminile (che nella Rivoluzione, e attraverso la Rivoluzione, cominciava a diventare protagonista, sia pure molto contraddittoriamente); secondo, perché fu la base da cui prese le mosse una serie di movimenti delle donne che si formarono negli anni successivi.
Olympe de Gauges non fu naturalmente la sola ad occuparsi in maniera così determinata del tema della condizione femminile. Nella Francia rivoluzionaria infatti andavano via via instaurandosi dei veri e propri Club femministi con posizioni anche molto differenti tra di loro. Alle posizioni della De Gouges si contrapposero per esempio quelle di un Club composto da donne rivoluzionarie del popolo molto vicino alle idee dei sanculotti. Claire Lacombe e Pauline Léon guidarono questo movimento dal nome Società delle repubblicane rivoluzionarie. La particolarità, e sicuramente uno degli aspetti più interessanti è che a differenza di altri gruppi femminili che sorsero in quell’epoca, la Società non si occupava soltanto delle condizioni femminili, ma anche delle rivendicazioni sociali del popolo. L’impegno delle donne fu comunque vano in quanto esse non ottennero nessuno dei diritti rivendicati e fu persino negato loro il diritto di associazione: tutti i Club femminili furono sciolti.
La cosa che colpisce è che questa chiusura avviene proprio all’epoca della Convenzione guidata dai Giacobini, il che mostra la permanenza di grandi limiti sul tema delle donne anche nella borghesia rivoluzionaria. Ma il problema non è certo “giacobino” dal momento che tutti i gruppi della Convenzione desideravano la chiusura delle associazioni femminili (che del resto, in certa misura, erano state alleate proprio dei Giacobini). La dimostrazione di questo risiede nel fatto che nella Convenzione vi fu un solo voto contrario alla chiusura dei Club femminili.
Le donne nella rivoluzione industriale
Con il processo di urbanizzazione che precede e segue la “rivoluzione industriale”, un grande numero di abitanti si trasferisce dalla campagna alla città, dove iniziano a sorgere le prime industrie.
Le donne affiancano gli uomini e se fino a questo momento le differenze di classe non avevano influito in modo troppo profondo sulle rivendicazioni delle donne, da adesso in poi le donne operaie iniziarono a rendersi conto che le loro condizioni, i loro bisogni e le loro esigenze sono completamente differenti da quelli delle donne della classi medio-alte.
Iniziano le rivendicazioni del movimento operaio e nasce il femminismo socialista che entra in conflitto con quello liberale. Il primo ha come obbiettivo la liberazione della donna attraverso la trasformazione della società mentre il secondo, in sostanza, chiede eguali diritti per uomini e donne ma nel quadro del mantenimento della società esistente il che significa una cosa: il femminismo liberale non ha capito – o finge di non aver capito – che condizione della donna nelle società classiste e riproduzione dell’ordinamento politico-sociale sono due cose strettamente collegate e che è impossibile realizzare la “parità di genere” (come verrà successivamente chiamata) in un mondo che fonda sé stesso sulla disparità e sullo sfruttamento.
Il primo femminismo socialista
Tra le maggiori esponenti del femminismo socialista di quegli anni, c’è sicuramente Flora Tristan (zia del pittore Gauguin), ma anche Désirée Gay e Marie-Reine Guindorf che fondano assieme la prima rivista femminista “La Femme libre”.
In una delle sue opere chiamata “L’union ouvriere” Flora Tristan afferma che i lavoratori non devono aspettarsi nulla dal governo poiché
«l’esperienza e i fatti vi dimostrano a sufficienza che il governo non può e non vuole accettare un miglioramento dei vostri destini. Dipende quindi unicamente da voi sfuggire al labirinto di dolore, miseria e umiliazioni in cui deperite».
La borghesia, quando si trattò di prendere il potere in Francia, si avvalse dell’alleanza dei lavoratori, usandoli come la testa usa il braccio. Ora, «voi lavoratori non avete nessuno che vi aiuti. Dovete essere la testa e il braccio» [4]
Flora Tristan si sposta dalla Francia a Londra, scrive resoconti sulla condizione operaia e sostiene che l’emancipazione dei lavoratori è impossibile se non c’è anche quella delle donne. Sostiene anche che i lavoratori sono generalmente tristi, arrabbiati, ignoranti e che questo dipende dalla società in cui vivono, una società che li educa alla rassegnazione e alla frustrazione della propria rabbia; considera la famiglia nient’altro che un’oppressione imposta dalla società; ribadisce la necessità dell’unione dei lavoratori e delle lavoratrici per comprendere e poi rivendicare i propri diritti; sostiene che questo può avvenire soltanto liberandosi da una vita votata alla famiglia, all’individualismo e all’apatia.
“I ricchi accusano i lavoratori di essere pigri, dissoluti, ubriachi; e al fine di sostenere le loro accuse, gridano: “Se i lavoratori sono poveri, è colpa loro: se entrate nelle taverne le troverete piene di lavoratori che sono lì per bere e sprecare il loro tempo..”
Io credo che se i lavoratori, invece di andare alla taverna, si riunissero sette alla volta (come permesso dalla legge) in una stanza, per conoscere i loro diritti e capire in che modo farli valere, i ricchi sarebbe meno felici di quanto lo siano nel vedere le taverne piene” [5]
Le idee di Flora Tristan, anche se differenti da quelle di Marx sono comunque sintomo di una concezione che coglie il problema di classe. La differenza sostanziale con Marx consiste nel fatto che Flora Tristan è convinta che la liberazione possa avvenire all’interno della società che opprime i lavoratori e le lavoratrici; è convinta che la semplice unione dei lavoratori sia sufficiente, da sola, per realizzare il cambiamento delle loro condizioni.
Questo, ovviamente, Marx non lo pensa; pensa, anzi, che solo il rovesciamento della società del capitale possa portare alla vera liberazione della classe lavoratrice e quindi anche della donna.
La Comune e le donne
Le rivendicazioni di questo primo femminismo socialista (voto, divorzio, rivendicazioni salariali e sociali…) trovano collocazione nel 1871, con il programma della Comune di Parigi. L’esperienza della Comune è breve e forse, come anche Marx sembrò pensare, troppo prematura per una classe ancora troppo poco organizzata. Ciò non toglie che fu una esperienza importantissima che i marxisti, una volta iniziata, appoggiarono con impegno ed a cui Marx rese omaggio con parole indimenticabili
«Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l’araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti» [6].
La Comune è il governo popolare rivoluzionario che venne istituito nella capitale francese a seguito della rivoluzione scoppiata il 18 marzo 1871. Tra il 31 agosto e il 2 del 1870 settembre la battaglia di Sedan conclude la guerra franco-prussiana con la sconfitta della Francia. L’imperatore Napoleone III si arrende e due giorni dopo c’è la proclamazione della Repubblica. Nell’Assemblea Nazionale, i monarchici sono disposti ad accettare le condizioni del trattato di pace imposte dal primo ministro prussiano Bismarck; repubblicani e socialisti radicali sono contrari a questo patto e decisi a riprendere le armi.
Il 17 e il 18 marzo del 1871 il popolo parigino insorge contro il governo nazionale e riesce ad instaurare un governo del popolo, presieduto da un Comitato Centrale della Guardia Nazionale; fissa per il 26 marzo le elezioni per un Consiglio Municipale, chiamato “Comune di Parigi”.
All’interno della Comune il contributo delle donne è fondamentale e non è diretto solo verso l’emancipazione della donna, ma verso quella di tutti i proletari.
Nasce in questo periodo L’unione delle donne per la difesa di Parigi. Di questa unione fa parte anche Elisabeth Dmitrieff, una rivoluzionaria russa che si era trasferita a Londra e che dopo essere divenuta membro della Sezione femminile dell’Internazionale conosce Marx che la invia a Parigi nel 1871, poco prima dell’instaurazione della Comune.
Qui, assieme ad altre “comunarde”, fonda l’Unione delle donne che si impegna, tra le altre cose, sulla questione del lavoro femminile e collabora alla fondazione di un sindacato delle lavoratrici. L’Unione vede la discriminazione delle donne come uno degli strumenti usati dalle classi dominanti per conservare il potere.
Un’altra donna che ha un ruolo importante nell’esperienza della Comune è Louise Michelle, anche se non prende parte direttamente alle attività dell’Unione. Grande sostenitrice della rivolta comunarda non esita ad incitare i parigini nella giornata del 18 marzo. Sempre pronta a combattere, viene eletta presidente del Comitato di vigilanza dei cittadini del XVIII arrondissement di Parigi, si offre volontaria per uccidere Thiers e quando l’esperienza della Comune finisce viene arrestata, ma rifiuta di difendersi dichiarandosi
«sostenitrice assoluta della rivoluzione sociale», assumendosi la responsabilità di tutte le sue azioni e chiedendo per sé la condanna a morte: «Se mi lascerete vivere, esorterò incessantemente alla vendetta» [7].
Viene condannata all’esilio a vita nella colonia francese di Nuova Caledonia e negli anni che vi trascorre stringe ottimi rapporti con la popolazione che appoggia quando deciderà di ribellarsi ai coloni francesi.
La battaglia per il diritto di voto
I movimenti delle donne, ovviamente, non riguardano solo la Francia. Anche in Inghilterra le donne iniziano a battersi. Qui nasce ufficialmente, nel 1872, il movimento delle suffragette, un movimento politico femminista che concentra la propria attività nella rivendicazione del diritto di voto – il “suffragio” – femminile (dal quale deriva il nome del movimento) che ancora non era riconosciuto. Il movimento ricorre alla “lotta aperta” disturbando i comizi dei deputati, ma nel 1912, passano a forme di protesta più violente proclamando la “guerra della vetrine”, prendendo a sassate le vetrine dei negozi londinesi ed incendiando edifici pubblici. Ottengono il diritto di voto nel 1918.
Anche le femministe statunitensi lottano per ottenere il diritto di voto, ma con una strategia differente, non ricorrendo ad azioni violente ma cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica tramite parate, cortei e comizi.
La giornata internazionale della donna
La “questione femminile” e la rivendicazione dei diritti delle donne comincia a suscitare un grande dibattito e inizia gradualmente ad essere sostenuta dall’intera classe lavoratrice.
Le prime donne che si ribellano e si organizzano per rivendicare il diritto di voto sono le lavoratrici del Nord America che il 28 febbraio del 1909 danno vita alla prima Giornata della Donna. Anche in Germania le cose iniziano a cambiare grazie a Clara Zetkin che nel 1910, all’interno della Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Operaie, propone che tutti gli anni, in tutti i paesi, venga celebrata la Giornata della Donna con un obbiettivo chiaro: il voto alle donne deve servire per unirle nella lotta per il socialismo.
Differente è l’esperienza delle lavoratrici russe che hanno molte difficoltà a causa dell’oppressione zarista. Nonostante questo, nel 1913 riescono a celebrare una loro Giornata delle Donne purtroppo in modo clandestino perché non sono possibili manifestazioni pubbliche. Si organizza un dibattito per affrontare il tema della donna. La Pravda sostiene l’organizzazione di questo evento tramite la pubblicazione di articoli che riportano le esperienze di compagne che in altri paesi si battono per gli stessi diritti; questa iniziativa ottiene una grande adesione sia da parte delle lavoratrici che dei lavoratori, ma il dibattito viene interrotto dalla polizia che arresta molte persone. Le lavoratrici russe ci riprovano l’anno dopo ma ancora una volta vengono fermate dalla polizia che compie molti arresti.
Nei due anni successivi, a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, la Giornata della Donna non ha molta influenza. Arriva poi il 1917. Un anno memorabile in cui, distrutte dalla fame, dal freddo e dalle conseguenze della guerra, le operaie scendono in piazza con una forza e una determinazione tale da impietrire anche le guardie zariste.
È l’8 marzo del 1917, la scintilla della rivoluzione russa.
Le donne e l’Ottobre
Se l’8 marzo fu la “scintilla” il passaggio davvero rivoluzionario avviene con l’Ottobre allorché i principali Soviet del paese, guidati da Lenin e dal partito bolscevico, decidono di rovesciare il Governo. Il primo ministro Kerenskj riesce a fuggire, mentre gli altri ministri si rifugiano nel Palazzo d’Inverno che viene conquistato dai bolscevichi il giorno successivo.
La rivoluzione socialista ha un grande impatto sulla condizione femminile.
“Dopo la Rivoluzione di Ottobre – avvenuta nel 1917 – le donne russe ottennero conquiste che le donne del resto del mondo avrebbero ottenuto solo molti anni dopo: per fare alcuni esempi, la prima donna ministra al mondo è stata Aleksandra Kollontaj all’indomani della rivoluzione, mentre in Italia le donne hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 1947, dopo la Resistenza; in Russia le donne ottennero il divorzio nel 1917 e l’aborto nel 1920; in Italia dovremo attendere gli anni ’70-’80. Questa, più di tante parole, è la dimostrazione di cosa significa, anche per i diritti delle donne, una rivoluzione comunista” [8]
Ovviamente, il processo di trasformazione della condizione femminile non è e non poteva essere immediato, né in un paese come la Russia rivoluzionaria in cui, per certi aspetti, non si è ancora sviluppata una vera fase culturale borghese; né in paesi dove invece la borghesia è già al potere da molto tempo.
“Il nostro governo sovietico mobilita le donne per la produzione e si sforza di riorganizzare la loro vita su basi interamente nuove. Si assiste alla nascita dovunque di comportamenti, di tradizioni, di punti di vista e di concezioni collettivistiche che preparano alla futura società comunista” [9].
Già dal 1918 vengono prese misure che consentono alle donne di non dover più passare ore ed ore dietro ai fornelli; nascono infatti mense municipali che consentono alla donna di partecipare alla vita sociale, senza doversi occuparsi solo – e neppure principalmente – della famiglia.
Vengono prese numerose altre misure: nel 1917 il divorzio smette di essere prerogativa esclusiva dei benestanti; con la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza del 1920 l’aborto diventa legale e si diffondono moltissimi consultori a sostegno delle donne incinta e della loro maternità.
E questi sono pochi, ma significativi esempi (specialmente in un paese come la Russia e in una fase storica come quella di un secolo fa) di come le donne cominciano a divenire protagoniste della loro vita.
Ecco come vede Aleksandra Kollontaj il processo della liberazione della donna
“La liberazione della donna può compiersi solo tramite una trasformazione radicale della vita quotidiana” [10]
Per forza di cose, quella “trasformazione radicale” non può non riguardare tutti i lavoratori, maschi e femmine, per conquistare una vita senza sfruttamento (materiale e culturale) dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, ciò che può avvenire solo in una società socialista
“Parlare di liberazione della donna come di un obbiettivo raggiungibile all’interno di una società capitalista non è possibile; solo nell’ambito di una liberazione complessiva di tutti gli oppressi, uomini e donne, sarà possibile incamminarsi sulla strada di una effettiva liberazione della donna. E questo è un processo rivoluzionario non solo perché cambia la situazione dal punto di vista degli equilibri di potere tra le classi, ma anche perché offre un impulso straordinario – rivoluzionario, appunto – alla trasformazione culturale e della coscienza” [11]
Note
[1] AA.VV., La rivoluzione delle donne, Autoproduzioni.
[2] Cfr. 150° Anniversario Unità d’Italia al femminile
http://www.iltuoforum.net/forum/viewtopic.php?t=3088&p=54589
[3] Vinzia Fiorino, Lezioni di Storia Contemporanea, 2014, Università di Pisa
[4] Cfr. Wikipedia, Flora Tristan
[5] Flora Tristan, L’union ouvriere
[6] Karl Marx, La guerra civile in Francia, Londra, 30 maggio 1871
[7] Cfr. Wikipedia
[8] Antiper, Introduzione a AA.VV. – La rivoluzione delle donne, eBook, PDF, A5, 32 pagine, Nuova edizione 2011.
[9] Alexandra Kollontaj, Conferenze all’università di Sverdlov sulla liberazione della donna, 12° conferenza, Marxist Internet Archive
[10] Alexandra Kollontaj, Conferenze all’università di Sverdlov sulla liberazione della donna 12° conferenza , (Marxist Internet Archive)
[11] Antiper, Introduzione a AA.VV. – La rivoluzione delle donne, eBook, PDF, A5, 32 pagine, Nuova edizione 2011