“Figlia di una vestaglia blu” racconta con uno stile leggero, soffice, avvolgente, le vicende di una terra, il Mugello che dona e sottrae, nutre e affama e che, in una lotta senza tregua, dichiara vinti e vincitori: montagne forate, natura distrutta, i lavoratori muoiono nei cantieri, le donne inseguono, in una corsa affannata, paia di jeans che si accumulano se non vai a tempo come un musicista al quale nulla si perdona nell’esecuzione del brano. La battaglia pare persa, ma non è ancora finita. Il testo scorrevole fotografa il presente, i lavoratori dediti alla costruzione della linea per l’alta velocità che la scrittrice avvicina nei loro quasi inaccessibili luoghi di lavoro per scrivere la tesi di laurea, e poi il passato e ci racconta della mamma, la vestaglia blu che l’ha partorita come si immagina Simona Baldanzi, e le fotografie si accavallano nella mente per offrirci il quadro di un paese, di una umanità, di un’epoca. E mentre ti figuri come saranno questi cantieri e come sarà la fabbrica della Rifle e come saranno queste vestaglie blu che vistose “vanno, vengono” come le nuvole di De André, realizzi che queste parole cariche di passione ti fanno sentire parte di quel paese, di quell’umanità, di quell’epoca. E ci sorprendiamo a controllare sul paio di jeans che indossiamo se i passanti per la cintura sono davvero 5 come ci suggerisce la scrittrice. E ancora, in modo naturale, siamo seduti a tavola insieme alla famiglia Baldanzi, la mamma si lamenta e il babbo cura gli ulivi; la natura che accoglie e libera malumori trasformandoli in sorrisi. Simona Baldanzi ci apre le porte di casa sua e ci dona la propria esperienza che sentiamo nostra perché racconta del genere umano che, non dimentico delle proprie radici, va oltre per creare un senso di comunità e di appartenenza non solo alla terra da cui proviene, ma alla terra di tutti, il cielo di tutti e così il mare, l’elenco sarebbe interminabile e la Baldanzi lo sa, lo scrive e ci sussurra dolcemente di un grande movimento di persone, questi sciami di vestaglie blu, questi occhi curiosi di tute arancioni, che possono proclamare il vincitore e il vinto ed essere ancora come le nuvole di De André che “Certe volte ti avvisano con rumore prima di arrivare e la terra si trema e gli animali si stanno zitti certe volte ti avvisano con rumore. Vengono, vanno ritornano e magari si fermano tanti giorni che non vedi più il sole e le stelle e ti sembra di non conoscere più il posto dove stai”. Ma il posto dove stiamo, se per un attimo si palesa come sconosciuto, straniero, stremato e ferito, possiamo, con rumore, rivestirlo della sua vera identità e instancabili difenderlo affinché sia il nostro luogo, il luogo di tutti. |