Alain Badiou | Il Rosso e il Tricolore
Naturalmente Alain Badiou è un filosofo e ama coniare neologismi come quello di “comunismo di Stato” (che probabilmente ha senso solo nel suo cervello, visto che il comunismo è la società dell’estinzione dello Stato e del libero auto-governo popolare). Certamente è vero che, da un certo momento in poi, i tentativi di costruzione socialista del ‘900 si sono arenati e sono regrediti verso forme di “capitalismo di stato” guidate da borghesie di vecchio e nuovo tipo.
Detto questo, Badiou ha sempre spunti interessanti (ANTIPER)
Sfondo: la situazione mondiale
Oggigiorno, il mondo è totalmente investito dal capitalismo globale, sottomesso ai dettami dell’oligarchia internazionale e asservito all’astrazione monetaria come unica figura riconosciuta dell’universalità. Viviamo in un periodo di transizione molto difficile, che separa la fine della seconda tappa storica dell’Idea comunista (la costruzione indifendibile, terrorista, di un “comunismo di Stato”) dalla terza tappa (il comunismo come realizzazione politica, adatta al reale, dell’“emancipazione dell’umanità intera”). In questo contesto, si è insediato un mediocre conformismo intellettuale; una sorta di rassegnazione al contempo lamentevole e soddisfatta, che accompagna l’assenza di ogni futuro altro, ovvero la ripetizione dispiegata di ciò che già c’è.
Vediamo allora apparire – come controcanto al tempo stesso logico e orribile, disperata e fatale miscela di capitalismo corrotto e di gangsterismo assassino – un ripiegamento maniaco, soggettivamente manovrato dalla pulsione di morte, contro le identità più variegate. Questo ripiegamento suscita a sua volta delle contro-identità sclerotizzate e arroganti. Sulla trama generale dell’“Occidente”, patria del capitalismo dominante e civile, contro l’“Islamismo”, referente del terrorismo sanguinario, appaiono da un lato delle bande armate e assassine o degli individui “armati fino ai denti”, i quali per farsi obbedire brandiscono il cadavere di qualche dio; dall’altro, in nome dei diritti dell’uomo e della democrazia, troviamo invece delle selvagge spedizioni militari internazionali che distruggono Stati interi (Iugoslavia, Iraq, Afghanistan, Sudan, Congo, Mali, Centrafrica…) e che producono migliaia di vittime, senza pervenire a nulla se non a negoziare con dei banditi corrotti una pace precaria attorno a pozzi, miniere, risorse naturali ed enclave in cui prosperano le grosse multinazionali.
E così sarà fino a quando l’universalismo vero, l’assunzione del destino dell’umanità da parte dell’umanità stessa, e quindi la nuova e decisiva incarnazione storico-politica dell’Idea comunista, non avrà dispiegato la sua nuova potenza su scala mondiale, annullando in questa maniera non solo l’asservimento degli Stati all’oligarchia dei proprietari e dei loro servitori, ma anche l’astrazione monetaria così come le identità e le contro-identità che annientano gli spiriti con la loro chiamata alla morte.
La situazione mondiale è dunque connotata dall’assenza – provvisoria, se riusciremo a volerlo su grande scala – del momento in cui ogni identità (perché vi saranno sempre delle identità, differenti e contraddittorie) sarà integrata in modo egualitario e pacifico nel destino dell’umanità generica.
Dettagli francesi: Charlie-Hebdo e la République
Nato dal gauchismo in rivolta degli anni ’70, Charlie-Hebdo è diventato – come molti intellettuali, politici, nouveaux philosophes, economisti impotenti e vari altri imbonitori – un difensore al contempo ironico e febbrile della Democrazia, della Repubblica, della Laicità, della Libertà d’opinione, della Libera impresa, del Sesso libero, dello Stato libero, in breve: dell’ordine politico e morale costituito. Questo genere di diniego, paragonabile all’invecchiamento dello spirito, pullula ovunque e, di per sé, è del tutto privo di interesse.
Più innovativa, invece, la costruzione paziente, avviata in Francia durante gli anni ’80, di un nemico interiore di tipo inedito: il musulmano. Ciò è avvenuto sulla scorta di diverse leggi scellerate che spingono la “libertà d’espressione” fino al controllo pignolo dei vestiti, ad originali divieti riguardanti la narrazione storica e alle nuove frontiere poliziesche. Ciò è anche avvenuto con una sorta di rivalità “di sinistra” contro l’irresistibile ascesa del Front national, il quale dalla guerra d’Algeria in poi pratica un razzismo coloniale franco e aperto. Aldilà della diversità delle cause, il fatto è che il musulmano, da Maometto ai giorni nostri, è diventato l’oggetto cattivo del desiderio di Charlie-Hebdo. Affliggere di sarcasmi i musulmani e deriderli ripetutamente è diventato la moneta di scambio di questo crepuscolare settimanale “umoristico”, un po’ come quasi un secolo fa si sfottevano, chiamandole bécassine, le contadine povere (e cristiane, all’epoca…) provenienti dalla Bretagna per accudire i figli dei borghesi di Parigi.
Tutto ciò, in fondo, non è poi così nuovo. L’ordine stabilito del parlamentarismo francese – almeno dal suo atto fondatore, ossia il massacro del 1871 di ventimila operai per le strade di Parigi da parte di Thiers, Jules Ferry, Jules Favre e altri divi della sinistra “repubblicana” – questo “patto repubblicano” al quale si sono allineati tanti ex-gauchisti, ha sempre sospettato che nei sobborghi, nelle fabbriche di periferia o negli oscuri bar di quartiere si tramino cose spaventose. Ha sempre inviato in questi luoghi delle ingenti brigate poliziesche, ripopolando le prigioni, sotto innumerevoli pretesti, con i loschi giovani maleducati che vi abitano. Ha introdotto nelle “bande di giovani” dei delatori corrotti. E la République stessa ha moltiplicato i massacri e le nuove forme di schiavitù richiesti per il mantenimento dell’ordine dell’Impero coloniale. Quest’Impero sanguinario, che torturava con costanza i “sospetti” financo nel più piccolo commissariato della più piccola borgata africana o asiatica, si rispecchia nelle dichiarazioni dello stesso Jules Ferry – decisamente un attivista del patto repubblicano – le quali esaltavano la “missione civilizzatrice” della Francia.
Ora, vedete, un numero considerevole di giovani che popolano le nostre periferie, oltre alle loro losche attività e alla loro flagrante mancanza di educazione (stranamente, la famosa Scuola repubblicana pare non ne abbia dedotto nulla, senza riuscire a convincersi che la colpa sia sua piuttosto che degli studenti), hanno dei genitori proletari d’origine africana, oppure sono essi stessi arrivati dall’Africa per sopravvivere, e, di conseguenza, sono spesso di religione musulmana. Al contempo proletari e colonizzati, insomma. Due motivi per diffidare e prendere nei loro confronti delle severe misure repressive. La polizia, per fortuna, sotto la guida illuminata dei nostri governi, tanto di estrema destra quanto di presunta sinistra, fa ciò che le conviene. Supponiamo che siate un giovane nero o un giovane di sembianze arabe, oppure una giovane donna che ha deciso, per spirito di rivolta, in quanto è vietato per legge, di coprirsi i capelli. Ebbene, avete allora nove o dieci volte più possibilità di essere interpellati in strada dalla nostra polizia democratica e di essere pure trattenuti in un commissariato che se avete una faccia da “francese”, e ciò significa, unicamente, l’aspetto di qualcuno che probabilmente non è né proletario né ex-colonizzato. Né musulmano. Charlie-Hebdo, in tal senso, non fa che gridare all’unisono con gli usi della polizia.
A destra come a sinistra si pretende che non è il musulmano in sé, in quanto tratto negativo, l’oggetto delle caricature di Charlie-Hebdo, quanto piuttosto l’attivismo terrorista degli integralisti. Ciò è oggettivamente falso. Prendete una caricatura tipica: si vedono un paio di chiappe nude, e nulla più, con la vignetta che dice “Ecco il culo di Maometto, possiamo servircene?” Il profeta dei credenti, bersaglio di queste stupidità, sarebbe un terrorista contemporaneo? No, ciò non ha nulla a che vedere con la politica. Nulla a che vedere con la bandiera solenne della “libertà d’espressione”. Si tratta di un’oscenità ridicola e provocatrice contro l’Islam in quanto tale, e stop! E non si tratta di nulla più che di un infimo razzismo culturale, uno “scherzo” per far ammazzare dalle risate un lepenista qualsiasi. Una compiacente provocazione “occidentale”, colma di soddisfazione da benestanti, non soltanto contro delle immense masse popolari in Africa, in Medio-oriente o in Asia, le quali vivono in condizioni drammatiche, ma contro una larga fetta di popolazione salariale che vive qui, svuotando i sacchi dell’immondizia, lavando i piatti, stroncandosi col martello pneumatico, rifacendo a ritmo accelerato le stanze degli hotel di lusso oppure pulendo alle quattro del mattino le vetrate delle grandi banche. Insomma, quella fetta di popolazione che tramite il suo lavoro, la sua vita complessa, i suoi spostamenti rischiosi, la sua conoscenza di una molteplicità di lingue, la sua saggezza esistenziale e la sua capacità di riconoscere ciò che costituisce un’autentica politica d’emancipazione merita come minimo che la si consideri – e che la si ammiri – aldilà delle differenze di religione.
Già in passato, a partire dal XVIII secolo, tutti questi scherzi sessuali, antireligiosi solo in apparenza, antipopolari in realtà, costituivano lo “humour” da caserma o da sala di smistamento dei manicomi. Guardate le oscenità di Voltaire a proposito di Giovanna d’Arco: il suo La pulzella di Orléans è perfettamente degno di Charlie-Hebdo. È sufficiente soltanto questo scabroso poema indirizzato contro un’eroina sublimemente cristiana per autorizzarci a dire che i veri e grandiosi lumi del pensiero critico non sono certo quelli illustrati da questo infimo Voltaire. E per spiegare la saggezza di Robespierre quando condanna tutti coloro che fanno delle violenze antireligiose il cuore della Rivoluzione, ottenendo così la diserzione popolare e la guerra civile. Questi fatti, poi, ci invitano a considerare ciò che divide realmente l’opinione democratica francese: lo stare, consapevolmente o meno, dalla parte costantemente progressista e realmente democratica di Rousseau oppure dalla parte del furfante affarista, del ricco speculatore scettico e godereccio che è stato quel geniaccio controverso di Voltaire, capace del resto, in certe occasioni, di autentici combattimenti.
Ma tutto ciò oggigiorno puzza di mentalità coloniale; come del resto la legge contro il velo “islamico” ricorda – aimè in modo ben più violento – le prese in giro contro le acconciature alla bécassine: punti in cui il razzismo culturale adescatore collima con l’ostilità sorda, la crassa ignoranza e la paura che ispira al piccolo borghese delle nostra contrade, molto soddisfatto di sé stesso, l’enorme massa, “banlieusarda” o africana, dei dannati della terra
Ciò che è successo, 1: il crimine di tipo fascista
E i tre giovani francesi che la polizia ha immediatamente ammazzato? Diciamo subito che si è trattato, con somma soddisfazione generale, di evitare un processo in cui si sarebbe dovuto discutere della situazione e della reale provenienza dei colpevoli. Si è inoltre trattato di una cancellatura dell’abolizione della pena di morte, il ritorno alla pura vendetta pubblica, in buono stile western. Direi che questi tre giovani francesi hanno commesso un atto che bisogna definire come un crimine di tipo fascista.
Definisco crimine di tipo fascista un crimine che si distingue per tre caratteristiche. Innanzitutto si tratta di un crimine mirato e non cieco, in quanto la sua motivazione è ideologica, di carattere fascistizzante, ossia: strettamente identitario, nazionale, razziale, comunitario, di costumi, religioso… Sovente il crimine di tipo fascista se la prende con pubblicisti, giornalisti, intellettuali o scrittori, che gli assassini ritengono essere rappresentanti dello schieramento opposto. In secondo luogo, si tratta di una violenza estrema, rivendicata, spettacolare, in quanto mira a imporre l’idea di una determinazione fredda e assoluta, che può in fondo prevedere in modo suicida la probabilità della morte degli assassini stessi. Si tratta dell’aspetto “Viva la muerte!”, di stampo nichilista, di queste azioni. In terzo luogo, il crimine intende, per via della sua enormità e del suo effetto di sorpresa, creare un clima di terrore e alimentare, tramite il fatto stesso, delle reazioni incontrollate da parte dello Stato e dell’opinione, le quali, agli occhi dei criminali e dei loro mandanti, possono giustificare a posteriori, e simmetricamente, l’attentato sanguinario.
Questo tipo di crimini richiedono degli uccisori che possono essere abbandonati a loro stessi da parte dei mandanti non appena l’atto sia stato compiuto. Non si tratta certo di grandi professionisti, di gente dei servizi segreti, di assassini provetti. Si tratta di giovani del popolo, estrapolati dalla loro esistenza – senza vie d’uscita e priva di senso – tramite la fascinazione per l’atto puro mischiata a qualche ingrediente identitario selvaggio, e che così facendo hanno accesso ad armi sofisticate, a viaggi, a una vita di banda, a delle forme di potere, di godimento e a un po’ di denaro. Anche in Francia, lo si è visto, vi sono stati in un altro periodo dei reclutamenti da parte di gruppi fascistizzanti capaci di tramutarsi in assassini e torturatori per delle ragioni non dissimili. Si pensi per esempio, durante l’occupazione nazista, ai molti miliziani arruolati da Vichy sotto la bandiera della “Rivoluzione nazionale”.
Se si vuole ridurre il rischio di crimini fascisti, bisogna tenere in considerazione questo ritratto. I fattori decisivi che possono suscitare tali crimini sono chiari. Vi è l’immagine negativa che la società si fa dei giovani provenienti dalla miseria mondiale, il modo in cui li tratta. Vi è lo sventolamento sconsiderato delle questioni identitarie, l’esistenza non combattuta, o perfino incoraggiata, di determinazioni razziste e coloniali, le leggi scellerate di segregazione e di stigmatizzazione. Vi è indubbiamente non certo l’inesistenza – visto che vi sono nel nostro paese dei militanti pieni di idee e legati al popolo reale – ma la debolezza disastrosa, su scala internazionale, delle proposte politiche fuori consenso, di natura rivoluzionaria e universale, suscettibili di organizzare questi giovani nella solidità agente di una convinzione politica razionale. È solo a partire da un’azione persistente per modificare tutti questi fattori negativi, da un appello a cambiare da cima a fondo la logica politica dominante, che potremo ragionevolmente far assumere all’opinione la vera misura di ciò che è successo, e subordinare l’azione poliziesca, sempre pericolosa se abbandonata a sé stessa, a una coscienza illuminata e capace. Ora, la reazione mediatica e di governo ha fatto esattamente tutto il contrario.
Ciò che è successo, 2: lo Stato e l’Opinione
Fin dall’inizio, lo Stato si è impegnato in una strumentalizzazione smisurata ed estremamente pericolosa del crimine fascista. Al crimine a motivazioni identitarie, ha opposto nei fatti una motivazione identitaria simmetrica. Al “musulmano fanatico” si è opposto senza vergogna il buon francese democratico. Il tema scandaloso dell’“unità nazionale”, perfino dell’“unione sacra”, che in Francia è sempre e solo servito a inviare dei giovani al massacro gratuito nelle trincee, è stato rispolverato dai cassetti zeppi di naftalina. Che del resto questo tema sia identitario e guerriero, lo si è visto chiaramente quando i nostri dirigenti, gli Hollande e i Valls, seguiti da tutti gli organi mediatici, hanno intonato l’inno, inventato da Bush per la sinistra invasione dell’Iraq (di cui si conoscono oggi gli assurdi effetti devastatori), della “guerra contro il terrorismo”. È già andata bene che, in occasione di un isolato crimine di tipo fascista, non si è esortata la popolazione tutta a rintanarsi a casa propria e/o a rindossare l’uniforme da riservista per partire in Siria al suono della tromba.
Il colmo della confusione lo si è raggiunto quando lo Stato ha lanciato l’appello, in modo perfettamente autoritario, alla manifestazione. Qui, nel paese della “libertà d’espressione”, una manifestazione su ordine dello Stato! È già stato un lusso che Valls non abbia pensato d’imprigionare gli assenti – in compenso, però, sono stati puniti un po’ ovunque i riluttanti al minuto di silenzio. Con questo avremmo veramente visto tutto. È così che, al più basso della loro popolarità, i nostri dirigenti hanno potuto, grazie a tre fascisti traviati che mai avrebbero potuto immaginare un tale trionfo, sfilare davanti a più di un milione di persone, terrorizzate dai “musulmani” e nutritesi con le vitamine della democrazia, del patto repubblicano e della grandezza superba della Francia. È persino stato possibile che il criminale di guerra coloniale Netanyahu comparisse in prima fila davanti ai manifestanti, i quali si suppone fossero lì per celebrare la libertà d’opinione e la pace civile.
La “libertà d’espressione”, ma parliamone! La manifestazione affermava al contrario, a forza di bandiere tricolori, che essere francesi comporta innanzitutto essere tutti, sotto la guida dello Stato, della stessa opinione. Era praticamente impossibile, durante quei giorni, esprimere sui fatti un’altra opinione rispetto a quelle che s’incantano davanti alle nostre libertà e alla nostra République o che maledicono la corruzione della nostra identità da parte dei giovani proletari musulmani e delle ragazze orribilmente velate, preparando così virilmente la “guerra contro il terrorismo”. Si è persino sentito il grido seguente, ammirevole nella sua libertà espressiva: “siamo tutti dei poliziotti”.
Del resto, come si può al giorno d’oggi parlare di “libertà d’espressione” in un paese in cui, salvo qualche rara eccezione, la totalità degli organi di stampa e televisivi sono nelle mani di grandi gruppi privati, industriali e finanziari? È necessario che il nostro “patto repubblicano” sia accomodante e riguardevole per immaginarsi che questi grandi gruppi – Bouygues, Lagardère, Niel, etc. – siano pronti a sacrificare i loro interessi privati sull’altare della democrazia e della libertà d’espressione”?
È invece più naturale che la legge del nostro paese sia quella del pensiero unico e della vile sottomissione. La libertà in generale, compresa quella di pensiero, di espressione, di azione, della vita stessa, consiste oggi nel diventare all’unanimità gli ausiliari della polizia nel braccare qualche decina di fascisti irreggimentati, nella delazione universale di uomini barbuti e donne velate e nel sospetto continuo relativo agli oscuri quartieri di banlieue, eredi dei sobborghi in cui si compì la carneficina dei comunardi? Oppure il compito centrale dell’emancipazione, della libertà pubblica, non consiste piuttosto nell’agire in comune con il maggior numero di giovani proletari di queste banlieue, di giovani ragazze, velate o meno, poco importa, all’interno della cornice di una politica nuova, che non si riferisca a nessuna identità (“i proletari non hanno patria”) e che prepari la figura egualitaria di un’umanità capace infine di assumere il proprio destino? Una politica che immagini razionalmente di congedare i nostri veri padroni impietosi, i ricchi reggitori del nostro destino?
Vi sono state in Francia, da molto tempo oramai, due tipi di manifestazioni: quelle sotto la bandiera rossa e quelle sotto la bandiera tricolore. Credetemi: anche per annientare le piccole bande fasciste identitarie e assassine – si richiamino esse a forme settarie della religione musulmana, all’identità nazionale francese o alla superiorità dell’Occidente – non vi sono tricolori che tengano, tanto più se comandati e strumentalizzati dai nostri padroni. Sono gli altri, i rossi, che bisogna far ritornare.
Alfabeta2
Traduzione di Davide Gallo Lassere
Ringraziamo Alain Badiou di averci autorizzato a tradurre la versione integrale di questo suo intervento, apparso scorciato su “Le monde” del 27 gennaio.