Roberto Sidoli, Daniele Burgio, Lorenzo Leoni | “Pitagora, Marx e i filosofi rossi. L’effetto di sdoppiamento nella filosofia occidentale”. La Prefazione 1/3
Dedicato al comunista Pitagora, uno dei geni (in campo matematico, filosofico, politico-sociale, organizzativo) più grande di tutti i tempi.
Libro secondo, cap. dodici, q.1, c.2 dei Decretum del monaco e giurista medioevale Graziano, 1140 circa.
Prefazione
Marx, Blade Runner e la filosofia
Pitagora, il geniale filosofo e matematico, un protocomunista?
Aristotele, un sostenitore accanito della schiavitù e della proprietà privata dei mezzi di produzione?
Locke e Voltaire, due filosofi illuministi, allo stesso tempo sostenitori della legittimità della schiavitù e del traffico di schiavi africani verso le colonie europee in America?
Il sofisticato filosofo Martin Heidegger, un pensatore antisemita e anticomunista, capace a volte di scavalcare “a destra” lo stesso nazismo genocida?
Sembrano spunti quasi paradossali, ma la realtà della dinamica reale di sviluppo della filosofia occidentale, da circa 2000 anni e fino all’inizio del nostro terzo millennio, ha riprodotto al suo interno la coesistenza e lotta quasi ininterrotta tra due tendenze principali, alternative tra loro, rispetto ai problemi e alle opzioni politico-sociali: e cioè tra una “linea nera” (partendo da Trasimaco e Aristotele) che accettava e legittimava più o meno criticamente l’esistenza e la riproduzione delle multiformi formazioni economico-sociali classiste (schiavistiche, feudali o capitalistiche) basate sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e una “linea rossa” (inaugurata da Pitagora e dalla sua scuola di pensiero) che ha via via effettuato invece una precisa scelta di campo collettivistica ed egualitaria, a favore di rapporti sociali di produzione (e politico-sociali) fondati sulla cooperazione e la fraternità tra gli uomini, le diverse nazioni e i sessi, in assenza di proprietà privata e di sfruttamento tra gli esseri umani, attraverso un percorso multiforme che arriva fino a J. Derrida e A. Tosel passando per Dolcino, Winstanley, Marx, Engels e Lenin, per citare solo pochi nomi.
Prima di entrare nell’esame delle due “linee” filosofico-sociali (e filosofico-politiche) alternative, risulta tuttavia indispensabile fornire una definizione di massima rispetto alla natura e alle funzioni principali di quello strano ma importante fenomeno chiamato filosofia.
La filosofia costituisce una sorta di “terra di confine” e un particolare punto di interconnessione della pratica teorica umana posta tra il campo protoscientifico/scientifico, il settore politico-sociale e l’esperienza diretta di tutti gli esseri umani (il senso della vita, il problema della morte, il rapporto tra bene e male, ecc.). La filosofia risulta il settore della praxis riflessiva umana che ricerca la verità e le possibili soluzioni per le mutevoli “questioni fondamentali” e domande essenziali, non risolvibili (o non ancora risolvibili) attraverso la pratica protoscientifica/scientifica, che mano a mano hanno interessato e assillato tuttora il genere umano in modo mutevole e proteiforme, mediante il processo composito di elaborazione autocosciente di concetti e categorie teoriche (il Begriff hegeliano) dotate di un raggio d’azione generale (ad esempio il concetto di archè-principio fondamentale, sviluppato dai presocratici), create e costruite via via in base alle conoscenze e esperienze, alle capacità intellettuali e all’immaginazione creativa dei diversi filosofi; a volte, come nel caso della filosofia di matrice irrazionalista, arrivando a conclusioni demolitorie proprio rispetto ai poteri e potenzialità della ragione umana, ma sempre tentando di dimostrare tali tesi per via autonoma e utilizzando in parte degli argomenti che si appellano alla riflessione e al giudizio critico degli esseri umani, come nel caso di Pascal, Schopenhauer, Kierkegaard, ecc.[2]
L’oggetto e le questioni fondamentali che suscitano come minimo da due millenni l’interesse della nostra specie, formando gli oggetti e le “meraviglie” specifiche delle lotte e del processo di sviluppo della filosofia, della sua ricerca della verità da Talete (600 a.C.) fino ai nostri giorni, della sua caccia al senso/ordine e immagine del mondo, in una continua dialettica tra domande e risposte di respiro generale, risultano di varia natura e assai variegate. Possono essere comunque sottolineate le più importanti, e cioè:
- la questione della priorità tra materia e spirito (il “Cielo”, nella terminologia confuciana): Engels, nel suo “L. Feuerbach”, la definì correttamente come la questione centrale e decisiva nella storia filosofica, partendo proprio da Talete e dai “presocratici”[3];
- Il correlato problema dell’esistenza/inesistenza di divinità (o di una sola divinità) superpotenti e superiori al genere umano: le domande/risposte sull’esistenza di Dio, in altri termini;
- la possibile esistenza di infiniti universi, oltre al nostro: Democrito e Giordano Bruno, gli universi paralleli del comunista L. A. Blanqui, il Multiverso di H Everett e A. Lindes, ecc;
- la connessione dialettica esistente ( o non-esistente) tra l’essere e il nulla e la connessa questione del non-essere, del nulla. Si partì dalla polarità dialettica tra atomi e vuoto individuata dal materialista Democrito già nel quinto secolo a.C., dalla provocatoria affermazione del sofista Borgia su “nulla è”/niente esiste, per passare alla domanda del filosofo idealista Leibneitz sul “perché vi è qualcosa piuttosto che niente” (1714), fino ad arrivare alla scoperta della scienza contemporanea del vuoto quantistico, dell’energia del vuoto e del formidabile dialettico “effetto Casimir” (dimostrato sperimentalmente nel 1997/2001), in base al quale si è stabilito che anche il vuoto e “il nulla” quantistico producono una (reale, concreta) energia attrattiva;[4]
- il “problema-morte” e le questioni correlate dell’esistenza/inesistenza dell’anima e della sua immortalità, da Pitagora in poi;
- la possibilità/impossibilità di conoscere in modo adeguato sia l’uomo che la realtà esterna dell’uomo, oltre ai criteri utilizzabili per accertare la verità (la praxis di Marx, ecc.);
- l’autoanalisi dello stesso pensiero umano, alias la logica formale e dialettica (da Pitagora ed Eraclito) e lo studio delle corrette modalità di funzionamento ed espressione della ragione umana;
- il dubbio “diabolico” (Cartesio) rispetto alla stessa esistenza, autonoma e indipendente, dell’uomo e/o dei fenomeni, processi ed oggetti diversi da quest’ultimo: il problema del primo film della serie Matrix, se si vuole, o dei “cervelli in una vasca” di H. Putman [5];
- la questione dell’essenza più profonda dell’Universo: ad esempio l’acqua per Talete costituiva il fondamento del reale, “perché ciò da cui tutto si genera è il principio di tutto” [6]. Non a caso i primi filosofi occidentali dell’area ionica si interessarono principalmente dell’“ontologia, della natura, dell’universo, delle origini e della destinazione finale di tutte le cose. Gli antichi pensatori furono profondamente interessati rispetto ai problemi cosmologici. Tutto ciò in seguito venne definito come ontologia – lo studio della natura dell’essere”;[7]
- la dialettica tra infinito e finito, relazione e problema che attraversa la filosofia occidentale a partire dal geniale filosofo idealista Pitagora fino al geniale materialista Lenin dei “Quaderni filosofici” del 1908/1918;
- il problema della modificazione e trasformazione continua (Eraclito, ecc.) o, viceversa, della permanenza e “continuità” profonda della realtà (Parmenide, ecc.), dell’“Essere” e dell’Universo, con lo scontro tra il metodo dialettico e quello invece contraddistinto dalla cristallizzazione metafisica della realtà[8];
- l’enigma delle relazioni/assenza di relazioni tra tempo, spazio e materia in movimento (Agostino, Engels, lo spazio curvo di Einstein, ecc.);
- la questione della natura umana, della sua componente principale (uomo buono/cattivo, originariamente buono o egoista, ecc.) e della sua immutabilità o trasformazione in base alla stessa pratica sociale/individuale;
- la questione del pensiero umano e della sua “fonte”, e cioè se esso sia il frutto di un’anima immateriale o del corpo umano: Alcmeone di Crotone già nel sesto secolo a.C., diversamente dal suo contemporaneo Pitagora, individuò nel cervello la sede del pensiero;
- le domande/risposte sul ruolo e posizione generale della nostra specie all’interno dell’universo, sul senso e significato (o assenza di significato) della vita, sulle potenzialità e limiti umani (prometeismo e antiprometeismo, ecc.);
- la possibilità/impossibilità per l’uomo di raggiungere la felicità e serenità d’animo, con i modi diversi per conseguire tali stati d’animo (Epicuro, stoici, ecc.);
- l’etica e il processo di definizione e scelta tra “bene” e “male”, tra azioni buone e cattive, oltre all’analisi dell’unità e contraddizioni tra fini e mezzi, alla ricerca del senso dell’esistenza umana e al processo di verifica dell’esistenza/inesistenza della libertà, ecc.;
- l’estetica: il processo di definizione di “bello e brutto”, dell’arte e creazione artistica;
- le domande/risposte sulle potenzialità e i limiti della ragione umana, alias la dialettica tra razionalismo e irrazionalismo nel pensiero occidentale [9];
- la possibilità/impossibilità per la stessa filosofia di riprodurre “la realtà come in sé” (Lukacs) e, come affermava Immanuel Kant, di creare una “scienza della relazione” (dei rapporti e interconnessioni) “di ogni conoscenza al fine essenziale della ragione umana”, a sua volta capace (Lukacs) di “riunire i principi e le leggi” della conoscenza scientifica e di trovare il sacro Graal delle leggi universali dell’universo, in altri termini.
Tuttavia l’elenco in via d’esposizione, approssimativo anche per economia di spazio, non può non comprendere tra le sezioni principali della pratica sociale filosofica anche il processo di focalizzazione teorica sull’economia (intesa in senso ampio), sulla politica e sulla società; sui rapporti sociali di produzione via via creatisi tra gli esseri umani, sullo stato e sul potere, sulle ricchezze e il denaro; sulla valutazione delle disuguaglianze sociali (la schiavitù come tema ricorrente tra i filosofi e pensatori occidentali, da Platone e Aristotele fino a Locke e Voltaire) e sulla costruzione di modelli considerati ottimali per l’organizzazione/riorganizzazione delle relazioni politico-sociali, e cioè le “utopie” e i progetti di ricostruzione della società, da Pitagora e dalla Repubblica di Platone in poi…
Visto che la filosofia risulta una forma particolare di riflessione sociale sui processi naturali e umani, non poteva non interessarsi e interrogarsi anche sulla praxis politica (e scientifica, ponendosi spesso essa come “ponte” e punto d’interconnessione tra i due segmenti dell’attività umana in oggetto), e da Pitagora e Socrate fino all’inizio del nostro terzo millennio la filosofia ha mostrato pertanto una sorta di attrazione fatale per la politica e la scienza politica. In altri termini la filosofia occidentale (e quella di altre aree geopolitiche, a partire da quella cinese), almeno fin dalle lontane elaborazioni di Pitagora e Senofane, dei sofisti e di Socrate risulta anche, e a volte principalmente, una “filosofia politica” e politico-sociale, che ha avuto anche (e a volte principalmente) come oggetto specifico della sua ricerca la sfera politica e politico-sociale, ivi comprese tematiche concrete e “volgari” quali violenza e potere, denaro e schiavitù, guerre e rivoluzioni, lotte di classe (la Politica di Aristotele risulta illuminante sotto questo aspetto), gerarchie socio-produttive e legittimità/illegittimità della proprietà privata dei mezzi di produzione, costituendo pertanto una sorta di prosecuzione della politica nel campo teorico e la riflessione di natura sistematica sulla sfera politica, come rilevò Althusser nel 1968.[10]
Già il padre fondatore della filosofia occidentale, Talete, vissuto alla fine del settimo secolo a.C. nella zona greca del mar Ionio, non si interessò esclusivamente di rintracciare e riconoscere “l’unica sostanza” (Abbagnano) “che fa della natura stessa un mondo, … che costituisce il suo essere, l’unica legge che regola il suo divenire”, ma si occupò anche direttamente di altre questioni più prosaiche, di natura scientifica e politico-economica, risultando a tutti gli effetti un politico, “un uomo politico, astronomo, matematico e fisico, oltre che filosofo”. Come uomo politico spinse i Greci della Ionia, come narra Erodoto (I, 170), a unirsi a uno stato federativo con capitale Teo. Come astronomo predisse un eclisse solare (probabilmente quello del 28 maggio 585 a.C.). Come matematico, trovò vari temi di geometria. Come fisico, scoprì le proprietà del magnete. Un altro aneddoto riferito da Aristotele (Pol., I, 11, 1259 a) tende invece a mettere in luce la sua abilità di uomo d’affari: prevedendo un abbondantissimo raccolto di olive, egli prese in affitto tutti i frantoi della regione e li subaffittò poi a un prezzo molto più alto agli stessi proprietari. Si tratta probabilmente di aneddoti spuri, riferiti a Talete più come a simbolo e incarnazione del savio che come a persona”.[11]
Sempre sul piano delle questioni “prosaiche” e materiali fornite via via dall’economia e dalla politica, G. Lukacs giustamente si chiese in modo retorico
“è forse Hegel il solo pensatore di rilievo nella cui opera complessiva l’economia occupi un posto importante? Ogni conoscitore della filosofia inglese risponderà subito energicamente di no ad una domanda di questo genere. Egli sa dei rapporti che intercorrono fra Hobbes e Petty; sa che Locke, Berkeley e Hume furono anche economisti, che Adam Smith è stato anche filosofo, che le concezioni sociali di Mandeville sono inseparabili dalle sue idee economiche, ecc. Ma sa nello stesso tempo che il nesso metodologico tra, poniamo, l’economia e la gnoseologia di Locke, è un campo che non è stato ancora studiato, che la letteratura si è finora limitata a stabilire biograficamente questa unione personale di economia e filosofia, e a trattare poi separatamente, l’uno accanto all’altro, i due campi di attività dei relativi pensatori.
Naturalmente questi rapporti non sussistono solo nella filosofia inglese. A partire da Platone e da Aristotele, anzi, da Eraclito, non c’è praticamente un solo pensatore universale, un solo filosofo, che non abbia prestato alcuna attenzione a questo complesso di problemi”.[12]
Anche se il processo concreto di sviluppo della filosofia occidentale ha visto solo una minoranza dei suoi protagonisti principali impegnarsi direttamente nell’area politico-sociale (Pitagora, Marx ed Engels, Sartre, ecc.), la passione rivolta alla ricerca della verità e al processo di analisi sulla gestione degli affari comuni della società, ivi comprese lo studio dei diversi modelli di organizzazione sociopolitica, ha costituito molto spesso una molla irresistibile e una nobile tentazione per i filosofi, almeno a partire dalla scuola di Pitagora e da circa 2500 anni fa , fino ad arrivare all’inizio del terzo millennio. Nell’opera La Repubblica, Platone giunse fino ad affermare che “se i filosofi non governano le città o se quelli che ora chiamiamo governanti non coltiveranno davvero e seriamente la filosofia, se il potere politico e la filosofia non coincideranno nelle stesse persone e se la moltitudine di quelli che ora si applicano esclusivamente all’una o all’altra non sarà col massimo rigore impedita dal farlo, è impossibile che cessino i mali delle città e anche quelli del genere umano”.[13]
Sotto questo aspetto e per questa materia specifica di elaborazione teorica, i filosofi occidentali si sono divisi e confrontati appartenendo a due tendenze e “squadre” principali, i “rossi” e i “neri”. La squadra più numerosa e quasi sempre egemone, che partì dal sofista Trasimaco per arrivare a Nietzsche e al lucido delirio nazista dei “Quaderni neri” del filosofo antisemita/anticomunista M. Heidegger, a Popper, a Rothbard e agli anarco-capitalisti, in forme diverse e con livelli assai variabili di elaborazione e passione ha costituito una sorta di raffinato branco di “cani da guardia”, collocati e posizionati sul piano teorico e intellettuale, dei ricchi/privilegiati e del processo di riproduzione dei mutevoli rapporti sociali di produzione/potere di matrice classista, esprimendo e sostenendo via via una scelta di campo (più o meno critica, più o meno convinta) a favore della disuguaglianza sociale e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e spesso contestando le tesi contrapposte degli avversari della proprietà privata dei mezzi di produzione, come avvenne ad esempio nel caso del geniale ma filoschiavista Aristotele.[14]
Siamo in presenza (plurimillenaria) di un insieme variegato di “cani da guardia” intellettuali spesso feroci, come nel caso dell’apparentemente etereo filosofo Kierkegaard, che dopo il 1847 abbandonò il suo iniziale anticapitalismo romantico scrivendo nel 1849 che “se la provvidenza deve mandare profeti e giudici, ciò deve avvenire unicamente per aiutare il governo” e sottolineando, pochi anni dopo, che “tutta la mia opera è rivolta alla difesa della situazione esistente”.[15]
Ma per fortuna si è via via sviluppata simultaneamente anche una nutrita “squadra rossa” che, da Pitagora e Diogene di Sinope fino a giungere a Lenin e Gramsci, ha invece espresso (seppur in forme mutevoli, oltre che con livelli di elaborazione e passione molto variabili) una precisa opzione teorica a favore del comunismo e del processo di creazione di relazioni fraterne ed egualitarie fra gli uomini, tentando di legittimare sul piano filosofico-razionale una scelta di campo socioproduttiva di matrice collettivistica, a volte non priva di limiti e contraddizioni secondarie, come nel caso di Lucrezio.
Oltre a essere in dissenso oggettivo, i due gruppi e “campi” filosofico-sociali (e politici) principali si sono spesso scontrati tra loro direttamente: basti pensare ad esempio alla polemica di Aristotele e della sua scuola contro le tesi favorevoli alla comunione dei beni, alla lotta millenaria dei teologi cattolici, a partire da Agostino, contro gli “eretici” collettivistici e i loro pensatori (manichei, marcioniti, ecc.), oppure allo scontro creatosi anche sul piano filosofico dopo il 1840 tra socialisti e antisocialisti, tra marxisti e antimarxisti, ecc.: anche sotto questo profilo la filosofia è risultata, per dirla con Kant, un “campo di battaglia” a volte feroce e cruento, sul piano intellettuale, con precise ricadute anche su quello politico e pratico …
Prosegue alla parte seconda…
Note