Antiper | Con le budella dei meno peggio bisognerebbe impiccarci i peggio
Download Antiper – Con le budella dei meno peggio bisognerebbe impiccarci i peggio (PDF). Riflessioni a tiepido sullo stupore della sinistra per la vittoria di Renzi alle elezioni europee, Maggio 2014, 5 pag.
I commenti ai risultati delle recenti elezioni europee sono pieni di frasi del tipo “Renzi ha avuto una grande affermazione” oppure “Grillo non ha vinto” oppure “c’è stata un’alta astensione” oppure “gli euro–scettici sono in crescita” e così via. Tutte frasi che, a seconda di chi le usa e di come vengono usate, possono servire ad argomentare una tesi oppure il suo contrario.
La sinistra ex istituzionale italiana, raccolta attorno all’europeista di sinistra greco Alexis Tsipras, sogna la Syriza italiana e tira un sospiro di sollievo per aver perso meno voti del solito, riuscendo addirittura a mandare 3 parlamentari a Bruxelles (una del PRC, uno di SEL e soprattutto il noto esponente del giornalismo rivoluzionario Curzio Maltese, “penna” de La Repubblica. Roba da far tremare i polsi a Mario Draghi).
Ma forse i più sorpresi dall’esito delle urne sembrano essere i simpatizzanti della “sinistra antagonista”: c’è chi dorme male, chi si alza peggio, chi non se l’aspettava proprio, chi non ha più fiducia in nessuno, chi “gli italiani sono pecore”…; è tutto un tirare le somme, un predire massacri, uno stupirsi, un maledire gli italiani che “non si meritano nulla” e “sono dei perfetti masochisti”… E sì che non venivamo propriamente da un epoca socialista; venivamo, andando a ritroso, dai governi presieduti da Letta, Monti, Berlusconi… Eppure ci siamo rimasti male lo stesso: che tanti italiani votassero Renzi “non ce lo aspettavamo”, chissà poi perché…
Forse questi italiani hanno pensato che del “quartetto” con Silvio, Mario e Gianni, Matteo fosse in fondo il meno peggio e lo hanno premiato; ora, certo, noi potremmo parafrasare il vecchio adagio popolare dicendo che con le budella dei meno peggio bisognerebbe impiccarci i peggio; e potremmo pure domandarci quale possa mai essere il criterio per decidere quale escremento sia migliore di un altro: forse il fatto che sia più recente – più “giovane” -? Così alcuni dicono.
Uno dei lamenti più diffusi è quello che “gli italiani si sono venduti per 80 euro”. E infatti su Facebook, luogo per eccellenza del nostro zeitgeist, impazzano le banconote da 80 euro con l’effige di Renzi il che ci fa dire intanto da dire una cosa: magari fossero 80, gli euro, perché saranno certamente meno (e in ogni caso i soldi che ci daranno con una mano ce li toglieranno con l’altra). Ma poi: gli italiani hanno cominciato a vendersi per 80 euro al mese? Era ora, moltissimi continuano a regalarsi per nulla; vendersi non è già un passo avanti? Se proprio vogliono votare che almeno il voto, che in genere non serve a nulla, frutti qualcosa anche a chi vota e non solo a chi è votato.
Quelli che, con posa da Sibilla, pronosticano sfracelli per il mondo del lavoro a causa della vittoria di Renzi forse non sanno che sono almeno 3 decenni che, un pezzo alla volta, vengono smantellate tutte le conquiste del movimento dei lavoratori. Non sarà certo il Jobs Act di Renzi a disarticolare il mondo del lavoro per la semplice ragione che il mondo del lavoro è già abbastanza disarticolato a causa di tanti fattori di carattere oggettivo e soggettivo e proprio per questo il Jobs Act ha la possibilità di realizzarsi.
30 anni fa proporre ai lavoratori un Jobs Act sarebbe stato impensabile, sebbene i padroni vogliano sempre misure che favoriscono il profitto e le rendite a discapito del lavoro. Quindi, si dovrebbe dire, non è “colpa” di Renzi e dei – suoi e nostri – padroni se presto avremo il nostro bel Jobs Act. Se avremo il Jobs Act è colpa nostra perché il Jobs Act non è il simbolo della “cattiveria” di Renzi, ma quello dell’arretratezza del movimento dei lavoratori. Capire questa cosa così semplice, eppure così essenziale, ci permetterebbe di spostare il nostro focus da loro a noi per provare a capire, parafrasando un libro di successo, dove sono i nostri, certo, ma anche e soprattutto chi sono i nostri, perché capire chi sono i nostri significa capire chi siamo noi, quello che vogliamo, quello di cui abbiamo bisogno, ciò che consideriamo principale e ciò che consideriamo secondario. I nostri compiti. Se i lavoratori sono deboli bisogna capire perché. E dopo aver capito perché i lavoratori sono deboli bisogna tentare di capire come possono diventare forti smettendo almeno per un attimo di minacciare “autunni caldi” che non si scaldano da 50 anni e di auspicare ricomposizioni “di classe” che non si ricompongono mai.
Lamentarsi con Renzi per il Jobs Act è come lamentarsi con la pioggia perché bagna. È nella natura della pioggia bagnare così come è nella natura dei padroni – e dei loro funzionari politici – stangare i lavoratori; se non vuoi bagnarti devi aprire l’ombrello, altrimenti i padroni, l’ombrello, te lo mettono dove dice Altan. E se non vuoi essere stangato devi organizzarti: non per racimolare qualche euro in più, ma per cambiare la tua vita. E il primo passo di questo cambiamento è lottare per questo tipo cambiamento.
Chi si straccia le vesti per l’esito elettorale continua sotto sotto a sperare che la crisi, la disoccupazione crescente, il salario calante… lavorino per noi e contro lor signori. E infatti, in Italia, la sinistra – sia quella ex, che quella extra, istituzionale – è convinta che la crisi lavori spontaneamente per il Sol dell’Avvenire: un po’ di lotte per la casa, un po’ di lotte sindacali, un po’ di concerti nei centri sociali, un po’ di cassonetti bruciati alle manifestazioni, un po’ di retorica sui morti sul lavoro, un po’ di battaglie democratiche per i diritti delle minoranze gay, immigrate, tossiche…. et voilà, le jeux sont faits.
Cambiamento rivoluzionario? Utopia. Teoria rivoluzionaria? Che palle. Organizzazione rivoluzionaria? Roba dell’altro secolo. Analisi scientifica del modo di produzione capitalistico? Dio ce ne scampi e liberi. E soprattutto linguaggi semplici per menti semplici, stile “social”: pochi caratteri per esprimere “pensieri” senza neppure mettere in moto il cervello. 10 righe o sei già fuso.
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Renzi ha dato – sia pure in modo propagandistico e sostanzialmente virtuale – ciò che la “sinistra antagonista” (e pure quella ex istituzionale) chiede vanamente ad ogni pié sospinto: reddito. Gli “80” euro sono infatti reddito o, almeno, sono reddito presunto cioè reddito che le persone presumono di percepire davvero senza doverlo tornare indietro da qualche altra parte. E dunque Renzi fa proprio quello che gli chiede la sinistra e cioè erogare reddito direttamente ai lavoratori per rilanciare i consumi e contenere gli effetti di quella che quasi tutti pensano – erroneamente – essere una crisi di sottoconsumo. Qui non siamo neppure a Keynes (che probabilmente i soldi li avrebbe dati alle imprese sotto forma di commesse statali): qui siamo oltre Keynes: soldi direttamente al popolo.
Sono tanti? Sono pochi? Diciamo così: sono sempre di più di quelli che ha erogato la sinistra ex istituzionale quando era nelle istituzioni e, soprattutto, sono di più di quelli che eroga la “sinistra antagonista” e extra istituzionale durante le manifestazioni in cui inneggia al “reddito per tutti”.
Questo è quello che accade se imposti tutto il tuo discorso politico sul tema del reddito, ovvero in termini economicistici: il primo “populista” che arriva e distribuisce un po’ di reddito fa tabula rasa del tuo discorso politico. Ci sono decine di esempi che si possono fare; ne facciamo uno per tutti: l’arrivo al potere in Argentina, nel 2003, dell’ex montonero e peronista di sinistra Nestor Kirchner il quale, in pochi mesi, distribuendo un po’ di reddito e adottando un atteggiamento paternalistico, condusse i movimenti che si erano sviluppati dopo il crack del 2001 verso la liquidazione.
Certo, distribuire realmente reddito è una cosa molto difficile nella crisi, ma se riesci ad accendere le telecamere sulla mano che da e a spegnerle su quella che prende il gioco è fatto. Almeno sulla scena elettorale.
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Cosa ci dicono ancora queste elezioni? Ci dicono una cosa che larga parte della “sinistra antagonista”, ormai preda di un “lottismo” senza lotte e di un movimentismo senza movimenti, non può più capire. E cioè che le masse, spontaneamente, non esprimono mai nessuna critica radicale verso il sistema, né attraverso il momento elettorale, né attraverso il momento sindacale, né attraverso nessun altro momento.
E chi non lo ha ancora capito e continua ad inneggiare alla ricomposizione sociale, al conflitto sindacale (più che altro verbale), “alle lotte”, alla costruzione di stanchi rituali di piazza sempre più inutili (sia che si presentino sotto la forma di “passeggiate romane”, sia che si presentino sotto la forma di riot estetici)… è chiaro che ormai non lo capirà più. Diventa allora chiaro perché uno ci rimanga male se Renzi vola nei consensi
Il fatto che in Italia, dopo l’uscita di scena della sinistra ex istituzionale, dilaghino il “lottismo”, il “movimentismo”, lo “sponteismo”, il “centrosocialismo”, il “lottapaghismo”… è solo la dimostrazione che la situazione è drammatica, ma non è seria e che ben difficilmente ne usciremo in tempi brevi.
Chi continua a recitare il mantra delle “Lotte” senza avere ancora capito che i lavoratori sono in grandissima difficoltà per ragioni oggettive e non perché sono stronzi e amano Renzi, Grillo o la Lega Nord e che queste difficoltà si chiamano paura di perdere il posto di lavoro in una condizione di crisi che si approfondisce, insicurezza materiale e psicologica per il presente e soprattutto per il futuro (ed è proprio questo timore dell’ignoto che sta alla base dello spirito di conservazione dell’esistente contro le tensioni verso il cambiamento), incapacità di orientarsi in una valanga di “informazioni” più o meno vere, pervasività del “senso comune” (anche pesudo-antagonista)… e che queste difficoltà non si superano con appelli vojtiliani (“non abbiate paura”), non sarà mai di nessun aiuto per i lavoratori ove anche ripetesse un milione di volte “lotta”, “lotta”, “lotta”…
Una volta, quando le lotte erano molte di più e molto più radicali, si sapeva distinguere tra lotta economica, lotta politica e lotta ideologica. Ora che di lotte ce ne sono pochissime ogni distinzione è bandita: c’è solo la “Lotta”. E la retorica delle lotte è ancora peggio della mancanza di lotte.
Ed ecco com’è che lotte sindacali per mezzo euro in più l’ora oppure forme di resistenza minima contro lo smantellamento di una fabbrica diventano l’epicentro di tutto il movimento mentre la lotta politica contro il capitalismo e per il socialismo diventa pura archeologia perché se non fai qualche lotta sindacale o per la casa “non hai diritto di parola”. I padroni, ovviamente, dormono sonni tranquilli perché sanno benissimo che quella che un tempo veniva chiamata “lotta tradunionistica” non porta da nessuna parte.
A creare le condizioni per l’invivibilità nel capitalismo (che oggi ancora non ci sono) ci penserà il capitalismo stesso; non saranno certo i cosiddetti “movimenti”. Ma senza un soggetto politico capace di esprimere una reale alternativa politica globale, senza un’organizzazione rivoluzionaria, quella invivibilità diventerà semplice benzina per la mobilitazione reazionaria (che già in parte ri-emerge in Europa, dall’Ucraina fino alla crescita delle formazioni xenofobe, razziste, fasciste…). È successo mille volte, succede mille volte e succederà ancora mille volte.
Mentre intanto noi continueremo a fare la cronaca, minuto per minuto, delle lotte sindacali, ovvero delle nostre sconfitte. Salvo inneggiare, ogni minuto, alla lotta che “paga”. E allora, se la lotta paga, che bisogno c’è di pensare un mondo diverso? Basta questo che, con un po’ di lotte “paganti”, può darci tutto quello che vogliamo.
O no?