Fabio Chiusi | Il taylorismo digitale, e come uscirne
C’è un “Grande Impronunciabile” nel rapporto tra lavoro, tecnologia e sorveglianza, scrive Simon Head in ‘Mindless, Why Smarter Machines are Making Dumber Humans‘ (Basic Books, pp. 230): è “il mondo dei CBS“, i Computer Business Systems i cui pioneri nell’utilizzo sono Walmart, Amazon, Ups, Dell, Toyota. Head, diviso tra la carriera universitaria alla New York University e a Oxford e la direzione dei progetti della New York Review of Books Foundation, li definisce come “amalgama di differenti tecnologie messe insieme per svolgere compiti molto complessi nel controllo e nel monitoraggio degli affari, inclusi gli impiegati“. Ovvero, strumenti per monitorare le performance “in tempo reale” e controllare ogni aspetto della vita lavorativa nell’organizzazione. E che contengono al loro interno “sistemi esperti che mimano l’intelligenza umana per svolgere compiti cognitivi che sono parte integrante dei processi di business che il sistema stesso deve gestire“.
Qualche esempio. Già nel 2004, ben 89 delle 100 maggiori aziende statunitensi secondo Fortune vi facevano ricorso per automatizzare i test di personalità che valutano l’adeguatezza dei potenziali futuri impiegati. Nel 2010, Walmart ha introdotto ‘Task Manager’, un software che dice ai suoi lavoratori cosa devono fare, in che tempi e se hanno rispettato le aspettative – se non ce la fanno, e molti non ce la fanno, scattano le sanzioni. E non fanno eccezione le note pratiche di monitoraggio dei lavoratori di Amazon, con le operazioni di imballaggio e spostamento dei pacchi programmate e tracciate al secondo. Anzi, il suo sistema di monitoraggio dei dipendenti “è il più oppressivo abbia mai incontrato“, scrive Head, forte di una pluriennale esperienza nel settore. Anche se è per il Business Activity Monitoring (BAM) di IBM, in cui si parla delle relazioni umane come di un fattore analogo a quelle tra dati, sistemi e servizi, manipolabili tramitedrag and drop, che si “va più vicino a una versione digitale del Mondo Nuovo di Huxley“.
È il cuore del corporate panoptics, del Panopticon aziendale in cui i lavoratori non sono più considerati come esseri umani autonomi e indipendenti, denuncia Head, ma dipinti e incoraggiati a essere così come li vogliono gli ingegneri che stabiliscono i processi all’interno dell’azienda, “oggetti disincarnati della velocità e dell’efficienza connesse inestricabilmente ai simboli elettronici sullo schermo“. Punto su cui l’autore ritorna più volte: il mondo dei CBS, scrive ancora, porta una “razionalità deumanizzante” nel funzionamento dell’economia, con un “autoritarismo” che ci “deumanizza trasformandoci in astratte entità elettroniche e statistiche sottomesse alla razionalità scientifica del sistema“. Una razionalità che invece è il prodotto di decisioni umane, nascoste sotto l’abito falsamente imparziale e neutrale degli algoritmi.
Se il discorso suona familiare è perché l’ideologia che lo informa, e che rimane secondo Head la radice del modello di produzione contemporaneo, è il fordismo di quella che Erik Brjnyolfsson e Andrew McAfee chiamano “Prima Era delle Macchine“. E, soprattutto, il taylorismo, fatto di misurazioni spasmodiche di ogni gesto e, più di ogni altra cosa, della “separazione della pianificazione dettagliata del lavoro dalla sua esecuzione“. È da questa “diseguale separazione del lavoro“, che separa chi “crea e controlla i sistemi” da “chi è sottomesso agli ordini del sistema e li deve seguire“, che discendono molte delle disuguaglianze che abbiamo visto crescere in questi anni, in America e non solo, e che sempre più autori – da Jaron Lanier agli stessi Brynjolfsson e McAfee – imputano anche al progresso tecnologico.
Se il Management Scientifico di Taylor è dunque “la presenza che aleggia nell’economia statunitense contemporanea“, l’invisibile che va reso visibile e denunciato, non per questo non vi sono elementi di novità. Anzi, l’estendersi dell’automazione e della sorveglianza dalle mansioni dei “colletti blu” a quelle dei “colletti bianchi” ne costituisce una variante estrema ed estremamente preoccupante. Grazie ai CBS, si legge, gli effetti dell’industrializzazione giungono fino ai servizi finanziari, al mondo dell’educazione (inquietante il racconto di come la burocrazia degli algoritmi e delle performance si sia spinta fino alle modalità di funzionamento di un istituto prestigioso come Oxford), alla vendita all’ingrosso e al dettaglio, alla sanità, alla gestione delle risorse umane e del rapporto coi clienti. A questo modo, “tutti possiamo essere classe operaia“. Il che significa, in questo contesto di chiara derivazione marxista, che tutti possiamo essere alienati, vittime di questi “buchi neri dell’economia contemporanea” di cui sappiamo poco o nulla ma che attraggono investimenti sempre più corposi, scrive Head. E in cui “lato umano di questo nuovo industrialismo” rischia di restare fuori dal calcolo.
Come uscire da questo misto di sorveglianza pervasiva (e dunque cultura della sfiducia), deresponsabilizzazione delle decisioni, diminuzione dell’arbitrio e delle competenze degli individui in carne e ossa nel funzionamento di sempre più organizzazioni? E come farlo mentre ricercatori come Stuart Elliott sostengono che l’automatizzazione riguarda già potenzialmente l’80% circa delle mansioni, comprese quelle che un tempo chiamavamo intellettuali per sottrarle alla competizione coi robot? Prima di tutto, per Head non c’è alcun determinismo nel rapporto tra tecnologia e lavoro: la “stretta identificazione delle tecnologie dell’informazione e dei CBS con un modello autoritario di produzione di massa, fortemente influenzato dall’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, è un risultato della storia e della cultura (americana, ndr) e non è una qualità intrinseca delle tecnologie in sé“, scrive. Il che significa che cambiare è possibile.
Ma come? “Non è difficile vedere cosa deve essere fatto“, risponde Head in chiusura: “la creazione di posti di lavoro a salari più alti e maggiori competenze richieste, con la componente delle tecnologie CBS come supplemento piuttosto che come rimpiazzo dell’expertise dei lavoratori, sostenuti da istituzioni educative e formative efficaci e con il riconoscimento e il premio delle buone performance“. Ammesso che, prima o poi, il tema entri nel dibattito pubblico. Finora non è accaduto.
Wired, 24 maggio 2014