Antiper | Diderot, Platone, Marx: tre caverne. Note di lettura a Denis Diderot, L’antro di Platone
Antiper | Diderot, Platone, Marx: tre caverne. Note di lettura a Denis Diderot, L’antro di Platone, PDF, 5 pagine, febbraio 2014, Cfr Denis Diderot, L’antre de Platon
In un suo celebre Salon [1], Denis Diderot racconta all’amico Grimm il sogno che sostiene di aver fatto durante la notte, dopo aver passato la giornata a vedere quadri e a leggere dialoghi di Platone. Si tratta, ovviamente, di un geniale escamotage che permette al filosofo francese di costruire un’immagine (anzi, a dire il vero, una sequenza di immagini) in cui si confondono piani diversi: il piano del quadro di Fragonard (che ovviamente Diderot ha visto e non sognato), la rilettura dell’allegoria della Caverna contenuta nel settimo libro della Repubblica, il racconto di un rito dionisiaco che è anche una storia d’amore molto particolare… E persino la forma colloquiale – dialogica – è un piano di incontro con Platone.
La scena è quella di una lunga caverna buia in cui Diderot si trova seduto insieme a uomini, donne e bambini, tutti legati mani e piedi e con la testa rivolta in avanti senza possibilità di voltarsi. Molte persone ridono, bevono, fanno festa e non sembra certamente che si considerino prigionieri. Ma ci sono anche coloro che cercano di recuperare la libertà, che si ribellano alla propria condizione di prigionia e tentano di rompere le proprie catene; quando lo fanno, gli altri abitanti della caverna li redarguiscono, li guardano male, li isolano; li accusano di tutti i disastri che accadono dentro la caverna. Considerano i ribelli, e non le catene, il male nella caverna.
La scena descritta da Diderot richiama ovviamente alla memoria la nota allegoria della caverna di Platone. Ma il confronto tra Platone e Diderot è interessante non solo per gli elementi di similitudine, bensì anche – e forse soprattutto – per quelli di differenza.
E la prima differenza riguarda i prigionieri. Su quelli della propria caverna Platone non dice nulla che possa lasciar pensare a differenze di sorta tra gli uni e gli altri; ed infatti, i prigionieri di Platone reagiscono agli inviti del prigioniero liberato in modo corale: non ci sono comportamenti particolari da alcuni rispetto ad altri. Al contrario, nella caverna di Diderot, i prigionieri sono molto diversificati; intanto, nel modo in cui percepiscono la propria condizione (come di prigionia oppure di festa); poi, nel modo in cui reagiscano ad essa (cercando di liberarsi oppure divertendosi e calunniando i ribelli).
La seconda differenza riguarda la loro natura sociale
“Alle nostre spalle c’erano re, ministri, preti dottori, apostoli, profeti, teologi, politici, bricconi, ciarlatani, artisti facitori di stupefacenti illusioni e tutta la genia di mercanti di speranze e di paure”.
Da una parte c’è il potere all’interno della caverna – e specialmente il potere ideologico, il potere di creare illusioni, evocare paure, sogni… -, dall’altra ci sono le persone senza potere, vittime di questi ‘illusionisti’ e ciarlatani, ognuno dei quali ha in mano una statuetta, trasparente o colorata, che ne rappresenta il ruolo. La luce di una lampada collocata alle spalle dei ciarlatani proietta le ombre ingrandite delle statuette su una tela che sta in fondo alla sala. Le statuette sono talmente ben fatte, variegate e colorate da poter rappresentare qualsiasi scena delle vita reale, sia essa tragica, comica o farsesca. Dietro la tela stanno altre persone, al soldo dei ciarlatani, che danno voce alle ombre facendole sembrare ancora più realistiche e tali da confondere i prigionieri. Tutto questo offre agli astanti – al popolo della caverna – l’illusione della realtà. E qui il parallelo con la caverna di Platone è preciso. Ciò che viene visto non è la realtà, ma una parvenza di realtà, qualcosa che solo assomiglia alla realtà ma non lo è.
Diderot chiama le persone con le statuette semplicemente ciarlatani perché le identifica con coloro che spacciano la menzogna per verità, che dicono il falso presentandolo come vero. C’è anche una chiara analogia tra i ciarlatani di Diderot e le persone che camminano dietro il muricciolo nella caverna di Platone in quanto propinatori di cose fasulle (e attraverso la proiezione sulla tela, due volte fasulle, copie delle copie direbbe Platone).
I ciarlatani intimano, a chi tenta di farlo, di non girarsi, di accettare le catene. È chiaro il significato allegorico: chi comanda, sia pure nella caverna che è comunque un mondo di prigionia, vuole che nessuno si ribelli alle regole di questo comando (si tenga presente che siamo nel 1765, poco prima della Rivoluzione Francese e che Diderot è un intellettuale critico del regime).
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Perché la natura degli abitanti della caverna non è importante per Platone mentre lo è per Diderot? In Platone l’allegoria intende evidenziare che il voler restare dentro la caverna, il non accettare le esortazioni del prigioniero liberato, è il comportamento ineluttabile dell’uomo comune che non possiede la verità, ma solo una parvenza di verità; è dunque normale che nessun prigioniero della caverna di Platone tenti di liberarsi dalle catene, neppure quello che, ad un certo punto, si viene a trovare libero (perché viene liberato). Diderot, al contrario, pensa che alcuni prigionieri possano e vogliano liberarsi. Del resto, qui siamo in epoca illuministica e per uscire dallo ‘stato di minorità’ in cui ciascuno di noi è imprigionato per sua stessa responsabilità, basta volerlo: l’Aufklärung, il rischiaramento, è anzitutto un atto di volontà (o almeno questo è il messaggio che verrà da Kant); Diderot vuole mostrare che se la liberazione non avviene non è perché non vi sia volontà in alcuni, ma perché gli altri abitatori della caverna sono indifferenti oppure riducono al silenzio le voci critiche con intimazioni, tentativi di convincimento e vere e proprie persecuzioni.
La differenza tra Platone e Diderot è significativa. Platone non ha fiducia che gli uomini possano volere la propria emancipazione perché, a causa dell’educazione a cui sono sottoposti sin dalla nascita, essi non possono neppure percepire la propria condizione di prigionia e di conseguenza non possono desiderare mettervi fine. Al contrario, possono prediligere la permanenza in un dentro che conoscono al cammino verso un fuori che non conoscono. E dunque, per Platone, solo i filosofi possono fare il bene della comunità (essendo il primo bene proprio quello della padeia ovvero quello dell’educazione al bene comune della polis). È il pessimismo sulla capacità degli uomini di scegliere per il bene – che si mostra con insuperabile chiarezza a Platone nella fine che la democratica Atene ha inflitto al proprio figlio migliore, Socrate – che fonda la filosofia politica della Repubblica.
Viceversa, i prigionieri di Diderot cercano, sia pure in parte, di liberarsi dalle catene, provano a mettere in discussione il proprio senso comune. Chi si oppone a questa liberazione? Il potere politico che agisce contro di loro e il potere ideologico che agisce dentro di loro. Per Kant, che non riesce a cogliere – come invece farà poi Marx – il nesso causale tra potere economico e potere ideologico, il tutto si risolve nell’appello all’uso della ragione, al ‘sapere aude’. A differenza di Kant, Diderot segnala la presenza di un potere che agisce contro la volontà e quindi imposta la questione, come farà poi Marx, in termini di volontà e possibilità, di condizioni oggettive e soggettive, come si dirà poi in seguito.
Il fatto è che per Marx la volontà è importante, ma può agire solo entro confini determinati e non in modo arbitrario. E questi confini sono di tipo economico, politico, sociale e culturale: i fatti e la tradizione, nella terminologia di Marx.
“Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”.
Il ruolo della azione pratica dell’uomo – e dunque della volontà – è certamente fondamentale nella determinazione della realtà. Marx su questo è chiaro già nelle sue brevi, seppur importanti, Tesi su Feuerbach. Ma proprio per la sua importanza, non possiamo non domandarci da cosa, questa volontà, sia guidata o influenzata. Ed è per questa ragione che Marx, con la sua critica dell’economia politica, va alla ricerca delle leggi che governano il funzionamento del modo di produzione capitalistico per capire su quali basi possa appoggiarsi la lotta contro il capitale.
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Ora, se Marx avesse pensato una propria caverna probabilmente questa avrebbe avuto alcune caratteristiche simili a quella di Diderot ed altre simili a quella di Platone. Come Diderot, anche Marx avrebbe certo pensato ad una caverna dove gli uomini non sono tutti uguali. Ma a differenza di Diderot, probabilmente avrebbe annoverato meno ciarlatani o illusionisti e più industriali, banchieri, politicanti… e perché no, filosofi; avrebbe annoverato tutti coloro che sono legati al potere economico e politico-intellettuale, e che sono interessati, per un verso o per l’altro, alla riproduzione materiale ed ideologica del modo di produzione capitalistico.
D’altra parte Marx avrebbe concordato con Platone che non vi può essere aspirazione alla libertà se neppure si è consapevoli di essere prigionieri e che il disvelamento della falsa libertà – cioè la rivelazione della prigionia reale – non è qualcosa che si possa realizzare solo grazie ad un annuncio, sia pure di un ex compagno liberato, ma ha bisogno di un punto di vista esterno alla condizione di prigionia, quello che potremmo definire il pensiero del non ancora esistente.
“Ma l’aspetto epistemologicamente e politicamente attraente, perché ancora ambiguamente aperto, non consiste tanto nella conquista della luce e della verità di contro a un mondo di ombre e di illusioni, consiste nel passaggio, nell’attraversamento del confine tra l’ombra e la luce, tra l’illusione e la verità. La percezione del confine permette di guardare la caverna con altri occhi. Il suo attraversamento porta alla sua verità. Questa risiede nella consapevolezza che la caverna non è l’unico mondo esistente e nemmeno l’unico possibile. E poiché viviamo in un mondo dove le merci stanno diventando (o sono già diventate) le pareti di una caverna che si mostra come naturale ed eterna, avere quella consapevolezza è decisivo” [2]
Marx sa che il primo compito dell’ideologia è quello di occultare la condizione di dominio/dominazione, di presentare lo ‘status quo’ come esito naturale e non superabile della storia umana, di espungere dal novero anche solo delle possibilità qualsivoglia alternativa; sa, dunque, che il primo passo del percorso verso la libertà è sempre la capacità di pensare l’altrove, il non ancora esistente, appunto.
Poiché sono collocati nella caverna – e la caverna è il mondo della prigionia mentale o materiale – anche i ciarlatani di Diderot o i banchieri di Marx sono prigionieri. Lo sono però in modo del tutto particolare in quanto hanno la facoltà di sottomettere altri prigionieri. I banchieri e gli industriali della caverna di Marx sono ‘prigionieri’ di una condizione che, in nome del profitto, non permette all’uomo di progredire verso la propria felicità ovvero, aristotelicamente, verso il pieno dispiegamento delle facoltà che caratterizzano la sua essenza (socialità, tensione verso la conoscenza). Per usare il linguaggio di Hegel, dalla ‘caverna di Marx’ l’intera umanità può uscire solo unendosi, contro il padrone, alla lotta del servo. È dunque la liberazione del servo – ovvero l’eliminazione della condizione servile – la condizione per l’integrale liberazione dell’uomo
“Dov’è dunque la possibilità positiva dell’emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe della società civile, una classe che sia la dissoluzione di tutte le classi, una sfera che, per la sua sofferenza universale, possieda un carattere universale e non rivendichi un diritto particolare, poiché non ha subito un torto particolare, bensì l’ingiustizia di per sé, assoluta, una classe che non possa più appellarsi a un titolo storico, bensì al titolo umano, che non si trovi in contrasto unilaterale con le conseguenze, ma in contrasto totale con tutte le premesse del sistema politico tedesco, una sfera, infine, che non possa emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società, emancipandole di conseguenza tutte, e che sia, in una parola, la perdita completa dell’uomo e possa quindi conquistare nuovamente se stessa soltanto riacquistando completamente l’uomo. Questa decomposizione della società, in quanto classe particolare, è il proletariato” [3]
Unirsi alla ribellione del servo e al tentativo di liberazione del popolo ‘di Diderot’ (o di Marx) è anche l’antidoto per non finire in una concezione elitaria nella quale un pugno di filosofi ‘illuminati’ decidono tutto nella comunità – ovviamente, ‘per il suo bene’ – costringendo questa comunità, in definitiva, a non avere più alcuna possibilità di uscire dal proprio stato di minorità.
Note
[1] Il Salon era “un’esposizione periodica di pittura e scultura, che si svolse al Louvre di Parigi, con cadenza biennale fino al 1863 ed annuale in seguito (decreto imperiale del 13 novembre 1863), dal XVII al XIX secolo” (Cfr. Wikipedia, Salon). http://it.wikipedia.org/wiki/Salon_(mostra)
Salon furono chiamati anche le ‘recensioni’ di Diderot alle opere esposte nelle mostre. L’Antre de Platon è il commento al quadro di Fragonard, vincitore del Salon del 1765 e dedicato alla storia di Coreso e Calliroe, narrata da Pausania nel suo Viaggio in Attica.
http://www.bnf.fr/documents/biblio_diderot_salons.pdf
[2] Alfonso M. Iacono, Il desiderio e l’illusione. Karl Marx e la merce come feticcio, Conferenza presso la Fondazione Collegio San carlo di Modena
http://biblioteca.fondazionesancarlo.it/fondazione/Viewer?cmd=attivitadettaglio&id=3269
[3] Cfr K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione. In Annali franco-tedeschi, Ed. del Gallo, Milano, 1965, pag. 141. Cfr anche Wikipedia, Karl Marx: “All’emancipazione politica, portata avanti dalla borghesia liberale, deve seguire l’emancipazione umana; essa è raggiungibile attraverso una “classe universale” priva di interessi particolari, che avendo subíto non un torto particolare, ma l’ingiustizia totale, non rivendica un solo diritto particolare ma può emancipare se stessa e l’intera società. Il soggetto dell’emancipazione umana sarà il proletariato, classe in cui l’essenza dell’uomo è andata completamente perduta e che per ciò stesso può riappropriarsene. Occorre rendere cosciente il proletariato di aver perso la sua essenza e quindi del suo scopo rivoluzionario. In questo modo la filosofia, la teoria diventano realizzabili praticamente e il proletariato diventa «il vero erede della filosofia classica tedesca»”.