N.H. Bluestone | La questione di genere nella scuola di Platone. Why Women Cannot Rule: Sexism in Plato’s Scholarship (1988)
Nel V libro della Repubblica Platone produce un argomento a favore dell’uguaglianza dei sessi che è stato sotto gli occhi della tradizione filosofica occidentale per quasi due millenni e mezzo. Ma fino agli anni ’70 del Novecento questo argomento, pur presente in un grande classico della filosofia, è stato per lo più messo da parte, deplorato o ignorato.
Lo studio moderno di Platone comincia nel XV secolo con la traduzione latina di Marsilio Ficino; prima di lui Leonardo Bruni aveva tradotto numerosi dialoghi e le lettere, ma aveva evitato di tradurre la Repubblica, per timore che le sue idee radicali sulla “comunione delle mogli” sconvolgessero il suo pubblico fiorentino: “Multa sunt in iis libris abhorrentia a moribus nostris, quae pro honore Platonis tacere satius est, quam proferre” (Epistulae, IX, 4).
Nel XIX secolo, quando lo studio dei testi platonici riprese sotto l’insegna del rigore e dell’obiettività filologica, gli argomenti platonici sulle donne furono messi da parte con strategie più sottili.
Schleiermacher, ad esempio, scrive nella sua introduzione ai dialoghi che le tesi platoniche sono state superate dalla purissima idea di matrimonio e di vita domestica introdotta dal cristianesimo.
In questa secolare vicenda una sola, notevole eccezione, si trova nel commentario alla Repubblica scritto nel XII secolo dal filosofo islamico Averroé, del quale ci rimane una traduzione ebraica. Averroé si dice d’accordo con la tesi platonica secondo cui “le donne sono essenzialmente allo stesso livello degli uomini rispetto alle attività civiche nella stessa classe” e deplora che nei suoi paesi “la capacità delle donne non è nota perché sono prese solo per la procreazione” (Averroës Commentary on Plato’s Republic, ed. E.I.J. Rosenthal, Cambridge, 1969, p. 166). Dal momento che egli sembra convinto che, secondo Platone, in ogni classe le donne abbiano rapporti solo con uomini come loro, con una educazione identica, Averroé va addirittura oltre quanto effettivamente proposto dal filosofo.
Le strategie della tradizione contro le filosofe-regine platoniche può possono essere riassunte così:
- passare sotto silenzio: Popper per esempio ignora completamente il tema dell’uguaglianza delle donne e la condizione femminile ad Atene, quando dipinge Platone come anti-democratico
- sostenere che la proposta non è desiderabile, perché le donne hanno di meglio da fare
- sostenere che Platone non intendeva affermare sul serio quello che ha scritto (Leo Strauss, Allan Bloom)
- occultare la tesi con eufemismi (Jowett) ed espedienti linguistici, per esempio dicendo che i guardiani sono un gruppo selezionato di uomini
- riconoscere i diritti delle donne ma affermare che non si deve andare troppo oltre, per la debolezza del loro sesso, che Platone riconosce, e per la loro destinazione alla famiglia
- affermare che l’uguaglianza delle donne non è naturale
Un esempio di quest’ultima strategia si può trovare in Ernest Barker, per il quale la differenza nella riproduzione produce altre differenze profonde. “Il fatto del suo sesso non è una cosa isolata nella natura di una donna […] ma colora tutto il suo essere. Ella è per natura il centro della vita della famiglia […] La donna non sposata può entrare nel campo aperto delle attività del mondo; la donna sposata ha il lavoro della sua vita a portata di mano.” (E. Barker, Greek Political Theory: Plato and his Predecessors, London, 1947, p. 261). Barker preferisce come più naturale la visione aristotelica del matrimonio, ma tace la circostanza che in questo caso la donna è vista come per natura inferiore, nata per ubbidire, e non può avere la stessa virtù di un uomo.
Un altro esempio è il vittoriano Benjamin Jowett, il quale, nel commentario alla sua traduzione della Repubblica, trova quattro aspetti meritori nelle proposte platoniche; la considerazione del tema indipendentemente dalle usanze esistenti; la tesi che forza e salute del corpo sono ugualmente necessarie per uomini e donne; la convinzione che entrambi i sessi hanno gli stessi interessi e doveri e sono capaci di svolgere le stesse attività più di quanto permettano le usanze attuali; la tesi che una falsa delicatezza è una povera fondazione per i costumi e la morale. Ma Platone – egli prosegue – ha dimenticato un fatto fondamentale: le differenze nel corpo e nella mente che derivano dalla differenza sessuale. La migliore educazione della donna è l’educazione dei suoi figli. Inoltre Platone dimentica che l’educazione è relativa al carattere e che il carattere dipende dall’opinione universale dell’umanità. Si potrebbe obiettare che se questa opinione cambiasse, cambierebbe anche il carattere della donna: ma Jowett afferma che le donne hanno “uguali poteri di qualità differenti” (Plato’s Republic: The Greek Text, Oxford, 1894, p. 216) piuttosto che poteri differenti nelle stesse qualità: la donna non è un uomo non sviluppato, come secondo lui dice Platone. Jowett fraintende gravemente il testo platonico, che presenta esplicitamente un progetto contro le opinioni della moltitudine, nel quale il carattere è trattato come complesso di talenti individuali, del tutto indipendente dal sesso e dall’opinione pubblica.
A.E. Taylor (Plato: the Man and His Work, New York, 1956) sostiene che il trattamento del sesso nella Repubblica comporta, come è tipico dei moralisti non cristiani, una sottovalutazione del suo significato per la vita spirituale: gli impulsi sessuali e la famiglia sono naturali e interconnessi. Ma quanto dice Demostene sulle donne ateniesi: “Abbiamo etere per il piacere, concubine per il nostro benessere fisico quotidiano e mogli per generare figli legittimi ed avere custodi affidabili delle nostre case” (Lix, 122) non sembra offrire un quadro di soddisfazione spirituale e affettiva da opporre al progetto platonico. Platone afferma che solo il parto è femminile, mentre l’allevamento dei bambini può essere affidato ad altri – e viene, nel suo progetto – affidato alla comunità: Taylor invece legge Platone come se anche questo secondo aspetto fosse naturale per le donne. E per questo, secondo lui, non possono essere guerriere e leader politiche.
Anche interpreti che scrivono negli anni ’60 e ’70 danno per scontata la naturalità della famiglia. Leo Strauss attribuisce una importanza cruciale alla tesi platonica che il governo congiunto è naturale, ma non la vede come precorritrice dell’ugualitarismo, bensì come prova del fatto che la città giusta non può esistere, a dispetto da ciò che dice Socrate nel testo, perché l’uguaglianza sessuale e il comunismo assoluto sono impossibili e “contro natura”. (The City and the Man, Chicago, 1964, p. 127)
Ci volle lo studio di K.J. Dover (Greek Homosexuality, New York, 1978) per mettere in luce che non esiste nessuna correlazione ovvia fra “naturale” e “desiderabile”.
Negli anni ’60, tuttavia, c’è una eccezione: Guide to the Study of Plato’s Republic (Hong Kong, 1961) di N.E. Fehl, indirizzata agli studenti cinesi di teologia di un college cristiano di Hong Kong. L’autore, avendo un pubblico culturalmente disomogeneo, non può assumere come naturale una certa forma di famiglia. Egli distingue tre tipi di famiglia:
- la famiglia consanguinea, che include non solo genitori e figli, ma anche i nonni e i loro discendenti maschi con le loro mogli e figli: questa famiglia era quella che Platone dava per scontata e che, ad Atene come nell’antica Cina, era un ostacolo allo sviluppo di un potere centrale forte;
- la famiglia coniugale, che è la nostra famiglia nucleare urbana;
- la famiglia comunitaria, che è quella suggerita da Platone – a proposito della quale viene chiesto se sia davvero peggiore della famiglia coniugale