Antiper | Commento a Samir Amin sulla situazione egiziana
Samir Amin è, in genere, un osservatore attento che talvolta viene addirittura presentato come marxista. In un suo recente intervento, successivo alla repressione attuata dall’esercito nei confronti dei Fratelli Mussulmani, si è schierato apertamente con l’esercito con queste argomentazioni:
“Sì, la caduta di Mohamed Morsi e del governo dei Fratelli Musulmani è una grande vittoria per il popolo egiziano. Attesa da tutti gli egiziani. Venticinque milioni di persone hanno firmato una petizione che chiedeva le dimissioni di Morsi, eletto grazie a una frode massiccia, la cui legittimità non è stata riconosciuta dalla magistratura egiziana, ma che era stata imposta dalla decisione Washington. Il gruppo di “osservatori internazionali” non era, infatti, stato in grado di fermare le frodi! Il governo dei Fratelli musulmani ha continuato la stessa politica reazionaria di Mubarak, anche in modo più distruttivo per la maggior parte delle classi popolari. Morsi aveva chiaramente fatto intendere di non avere alcuna intenzione di rispettare le regole della democrazia e aveva mobilitato bande criminali per molestare i movimenti popolari. Sventolando sempre la bandiera di una possibile guerra civile. Morsi ha agito come un dittatore brutale, ponendo in tutte le sfere dello Stato esclusivamente persone appartenenti ai Fratelli Musulmani. La combinazione di una politica economica e sociale disastrosa e di una mancanza delle norme di gestione di uno stato ha portato ad declino un accelerato delle illusioni anteriori di gran parte della società egiziana. I Fratelli Musulmani hanno mostrato il loro vero volto. Tuttavia, le potenze occidentali hanno continuato a sostenere il “Presidente eletto”, dicendo che il regime procedeva verso la democrazia. Probabilmente proprio come la Repubblica Democratica del Qatar! Quello che è successo il 30 giugno era previsto. Grandi dimostrazioni di massa, anche superiori al gennaio 2011, con 16 milioni di persone in piazza, secondo le stime della polizia. Morsi ha risposto facendo sventolare di nuovo le bandiere della “guerra civile”. Ma lui non era in grado di mobilitare più di qualche centinaia di migliaia di sostenitori pagati.Le Potenze occidentali, Israele e i paesi del Golfo odiano la prospettiva di un Egitto indipendente, democratico, socialmente progressista. Manipoleranno i mercenari criminali chiamati jihadisti, istituiti con la complicità e il sostegno in Libia e la provincia egiziana di Sinai. Ma la nazione egiziana e il suo esercito può sconfiggerli”.
Prendiamo spunto dall’intervento di Samir Amin per svolgere alcune sintetiche considerazioni.
In linea generale possiamo affermare che con la deposizione di Morsi l’esercito ha agito come una sorta di “riequilibratore” della situazione politica egiziana; ha tolto il potere ai Fratelli Musulmani perché questo potere era stato conseguito (con l’appoggio proprio dell’esercito e degli USA) sulla base di un consenso che nel corso di questo anno è in larga misura evaporato. Le aspettative sociali che gli egiziani avevano riposto nei FM si sono rivelate infondate. I lavoratori egiziani stanno come o peggio di prima ed è questo, innanzi tutto, che ha portato milioni di persone in piazza contro Morsi ed ha fatto perdere il consenso ai Fratelli Mussulmani. Morsi non era stato votato, ha ragione Samir Amin, per insediare la Fratellanza in ogni ambito della società egiziana, ma per trovare una via d’uscita alla crisi economica e sociale che attanaglia il paese.
Se si guarda anche al solo fattore – peraltro insufficiente – della ricchezza prodotta si può osservare che fino al 2009 l’economia egiziana cresceva più di quella mondiale (e in genere la crescita del PIL, sostanzialmente in linea con quella globale, era sempre maggiore di questa); nel 2011 c’è stato un crollo (e la caduta diventa ulteriormente evidente se analizzata nel quadriennio 2008-2011; si passa infatti dal 7,2 del 2008 all’1,8 del 2011).
Nonostante la crisi economica che si mantiene ormai da 3 anni (2011-2013) la crescita demografica non si è arrestata
Diminuzione del PIL e crescita demografica non potevano non produrre un diffuso malessere sociale. Ed è da qui che nasce la rabbia dei lavoratori, non certo dal desiderio di spodestare Mubarak per sostituirlo con Morsi. Poi, certo, che vi fossero anche larghe richieste di cambiamento politico è fuori discussione.
Se guardiamo al tasso di disoccupazione
osserviamo che esso cala fino al 2008, ma poi esplode nel 2011 e successivamente.
In conclusione, anche solo da questi dati molto sintetici (ma si potrebbero mostrare i dati sulla distribuzione del reddito o fare considerazioni sugli effetti che ha avuto, su un paese ancora in parte agricolo, la speculazione sui titoli legati ai cereali seguita al crack di Wall Street del 2008) emerge una situazione esplosiva innanzitutto dal punto di vista sociale e poi, certo, anche da quello politico.
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Ora, se la benzina che viene usata per incendiare lo scontro politico è quella del malcontento prodotto dagli effetti della crisi questo non significa che la rivolta popolare debba necessariamente avere un carattere politico di tipo rivoluzionario, come certe teste dure si ostinano a pensare.
L’Egitto versa in una situazione economica molto difficile, che provoca un largo malcontento delle masse popolari e che in questa fase viene indirizzato sia dai Fratelli Musulmani, sia dalle altre componenti politiche del Paese – tra cui l’esercito -, verso i rispettivi programmi e obbiettivi politici, nessuno dei quali va nel senso di interpretare i reali interessi di classe dei lavoratori. E per definire il segno di un processo politico quello che conta non sono le rivoluzioni immaginarie enfatizzate a sproposito dai movimenti e dagli intellettuali occidentali, e neppure la genuina aspirazione delle forze rivoluzionarie e progressiste che agiscono sul campo, quando ci sono; quello che conta è l’evoluzione reale delle cose.
Samir Amin dice che i Fratelli Musulmani hanno raggiunto il potere attraverso brogli. Poniamo che sia vero. Ma allora bisogna domandarsi: chi ha permesso che questi brogli si realizzassero se non, evidentemente, quello stesso esercito a cui Samir Amin si richiama enfaticamente?La verità è che l’esercito – ampiamente rafforzato negli ultimi decenni dagli aiuti militari americani derivanti dai vecchi accordi di Camp David, che portarono al premio Nobel “per la pace” a Saadat e Begin – è da sempre il dominus della situazione egiziana, prima e dopo Mubarak, ovvero prima, durante e dopo Morsi. E, a dire il vero, anche dai tempi di Nasser, sebbene in quegli anni l’esercito esprimesse un “programma politico” ben diverso da quello che esprime oggi.
Naturalmente è possibile che l’esercito possa agire “nel nome del popolo”, ovvero interpretando una richiesta largamente diffusa nel “popolo”, perché una situazione esplosiva dal punto di vista politico, economico e sociale (come quella che c’è oggi in Egitto) può certo degenerare verso la richiesta di ordine e disciplina. In una situazione di caos, di crisi, di perdita del posto di lavoro, di incertezza per il futuro, di insicurezza… può in effetti nascere la voglia di un governo forte che metta fine a tutte le contraddizioni. In questo caso però, anche se rappresentasse un consenso ampio – e perfino maggioritario – l’intervento dell’esercito potrebbe non essere affatto popolare e potrebbe anzi essere persino reazionario.
Il solo consenso popolare, come forse pensa Samir Amin, non definisce automaticamente il carattere di un processo politico. Non c’è bisogno di ricordare – anche se evidentemente non è questo il caso – che i nazisti salirono al potere per via elettorale. Di conseguenza, che l’azione dell’esercito abbia un carattere di tipo neo-nasseriano, popolare, è tutto da verificare. E lo verificheremo, perché nell’immediato è improbabile che l’Egitto possa uscire dalla propria crisi e dunque la tensione sociale è destinata a permanere.
Note
1. Samir Amin, Ecco cosa succede in Egitto, http://www.umbrialeft.it/notizie/samir-amin-ecco-cosa-succede-egitto