Antiper | Guerra mondiale locale in Siria
Nell’anteprima del suo editoriale per il numero di marzo di Limes, Lucio Caracciolo scrive:
«In Siria si combatte la prima guerra mondiale locale. Mondiale perché vi sono coinvolte le massime potenze planetarie e regionali.Anzitutto, i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza. A supportare i ribelli che da due anni cercano di rovesciare il regime di Baššar al-Asad agiscono Francia, Gran Bretagna e, molto più tiepidi, Stati Uniti d’America; sul fronte opposto, la Russia è in prima linea, con la Cina, come d’abitudine, alquanto defilata. Poi, i principali attori regionali: Turchia, Qatar e Arabia Saudita guidano lo schieramento anti-Asad; Iran e affiliati libanesi (Hizbullah) sono impegnati sul terreno a protezione del cliente di Damasco. Mentre Israele prepara contromisure nel caso il conflitto rompesse i modesti argini siriani per incendiare l’intero Levante. Certo, nessuno tra i cinque Grandi e le potenze mediorientali è finora coinvolto direttamente nel conflitto. Ma tutti vi sono a vario titolo invischiati: forze speciali occidentali e soprattutto iraniane; “brigate internazionali” jihadiste e hizbullah; agenti d’influenza e mercenari d’ogni colore; copiose forniture d’armi – specie russe e arabe del Golfo; fiumi di denaro per tenere in piedi i combattenti impegnati su territori in macerie, sull’orlo della fame; soft power ovvero disinformazione, in cui eccellono le solite emittenti panarabe, Aljazeera (Doha) e al-Arabiya (Ryad) su tutte” (Lucio Caracciolo, La perla di Lawrence, Limes, 4 marzo 2013).
Si tratta di una riflessione piuttosto interessante (aldilà di alcune scivolate tipiche della concezione di Caracciolo e di un evidente sottovalutazione della partecipazione occidentale di contro ad una calcolata sottolineatura di quella pro-Assad – forze speciali “soprattutto iraniane”, Hezbollah che servono “clienti”, copiose forniture d’armi “specie russe”… -); sia pure in modo confuso, Caracciolo coglie un punto fondamentale anche per quanto riguarda la questione delle cosiddette “primavere” o “rivoluzioni” arabe (ivi comprese le guerre di Libia e di Siria) ovvero il fatto che il “Grande Medio Oriente” rappresenta un po’ una sorta di “trincea”, diciamo così, sulla quale si confrontano blocchi geopolitici (USA-UE – dove per UE si deve intendere soprattutto Francia e, in tono leggermente più defilato, Gran Bretagna – BRICS – dove per BRICS devono intendersi soprattutto Russia e Cina) e diverse potenze di carattere regionale – emergenti o che tentano di emergere –.
Quello tratteggiato sinteticamente da Caracciolo è un quadro credibile (che potrebbe anche essere ulteriormente articolato) nel quale purtroppo gli interessi delle classi oppresse non sono in alcun modo tenuti in considerazione anche se è proprio sulla rabbia sociale di queste classi, derivante dal peggioramento delle loro condizioni di vita determinato dalla crisi e dal maggiore sfruttamento capitalistico del lavoro, che fanno leva le “primavere”, usate come vettore del cambiamento politico (in sostanza lo spodestamento dei regimi pre-esistenti e la creazione di nuovi regimi).
E’ questo, purtroppo, il segno fondamentale della situazione nel mondo arabo e c’è poco da inneggiare astrattamente al movimento delle masse. Del resto, senza una soggettività politica rivoluzionaria, capace di fare le scelte politiche giuste, la rabbia popolare può essere facilmente deviata lontano dai reali interessi popolari.
C’è tuttavia da dire una cosa: è sempre più evidente (e la situazione egiziana ne rappresenta una ulteriore verifica) che la possibilità di trovare nuovi equilibri stabili è ogni giorno che passa sempre più remota. La crisi porta le masse alla miseria e la miseria porta le masse alla rivolta contro ogni assetto politico che non sia capace di offrire una risposta contro questa miseria
Quando l’instabilità politica deriva dall’instabilità sociale (cioè dal malcontento prodotto dalla crisi) la stabilità politica può determinarsi solo se si determina la stabilità sociale. Invece, andando avanti così si rischia di dover dare in pasto alla rivolta un assetto politico all’anno.