Antiper | Crisi e (sotto) consumi. Robin Hood vs Superciuk
Antiper, La grossa crisi, Raccolta di interventi sulla crisi economica, politica e sociale del capitalismo pubblicati tra dicembre 2011 e aprile 2012, EBOOK, 52 pag., COPERTINA.
Nelle teorie economiche che condividono l’approccio “sotto-consumista” è il livello della domanda (di merci) che regola il livello dell’offerta (detto in modo diverso: è la scala del consumo che regola la scala della produzione); per i sotto-consumisti, dunque, le crisi capitalistiche sono sempre figlie, in un modo o nell’altro, di un difetto di domanda. Ne consegue che la ricetta anti-crisi dei sotto-consumisti è sempre, in un modo o nell’altro, quella di aumentare la domanda mediante un innalzamento dei redditi.
Naturalmente, ci sono sempre due modi per fare le cose. E difatti “aumentare il reddito” può voler dire aumentare il reddito (e il consumo) dei ricchi oppure aumentare il reddito (e il consumo) dei poveri. Non a caso, i sotto-consumisti si dividono in due grandi “scuole”: diciamo, una “scuola sotto-consumista di destra” (in cui vengono in genere annoverati esponenti come Thomas Malthus o John Hobson) e una “scuola sotto-consumista di sinistra” (in cui vengono annoverati, tra i moltissimi altri, autori come Sismonde De Sismondi, Rosa Luxemburg, Paul Sweezy… nonché più o meno tutte le espressioni sindacali esistite ed esistenti, di regime e “di base”).
I sotto-consumisti “di sinistra” – peraltro molto più numerosi di quelli “di destra” – sono fan di “Robin Hood” perché propugnano l’espropriazione di quote di reddito dei “ricchi” per destinarle ai consumi di prima necessità dei “poveri”. Inoltre, ritengono che la povertà dei poveri impedisca il verificarsi di fenomeni di risparmio/tesaurizzazione che sarebbero deleteri per il ciclo economico come sottolinea un economista (sotto-consumista “di sinistra”) italiano
“Bisin e Boldrin ci accusano di sotto-consumismo. La definizione è assai semplicistica, ma di sicuro rinvia a una tradizione analiticamente più solida ed empiricamente più convincente di quella che assume che nell’economia di mercato qualsiasi reddito si traduca in spesa (la celebre legge di Say respinta da Keynes)” [2]
I sotto-consumisti “di destra”sono invece fan di “Superciuk” perché propugnano l’espropriazione di quote di reddito dei “poveri” per destinarle ai “ricchi” che potrebbero così aumentare i propri investimenti produttivi (di capitale) ed i propri consumi (di lusso e pure di “prima necessità”, posto che “anche i ricchi mangiano”).
Sembrano due posizione speculari con il “sotto-consumismo di sinistra” che appare eticamente più “giusto”. Purtroppo, nel modo di produzione capitalistico, il sottoconsumo in quanto teoria della crisi è solo una sciocchezza [3] (con quello “di sinistra” che lo è ancora di più di quello “di destra”) semplicemente perché non è la domanda che regola l’offerta
“Il volume della massa di merce prodotta dalla produzione capitalistica viene determinato dalla scala di questa produzione e dal bisogno di quest’ultima di estendersi costantemente, non da un circolo predestinato di domanda e offerta, di bisogni da soddisfare. La produzione di massa può avere per suo immediato compratore, oltre ad altri capitalisti industriali, solo il grosso commerciante. Entro certi limiti, il processo di riproduzione può procedere allo stesso grado o ad un grado allargato, sebbene le merci da esso espulse non siano entrate realmente nel consumo individuale o produttivo” [4]
Marx contestava l’affermazione di Say secondo cui il denaro ricavato dalla vendita delle merci deve necessariamente tradursi in domanda di beni capitale e di beni di consumo. E’ possibile, infatti, che una parte di questo denaro non si riversi nuovamente e integralmente nella sfera produttiva una volta che le merci siano state vendute; questo avviene, ad esempio, quando il denaro si riversa nella sfera speculativa finanziaria, cosa che avviene con tanta maggiore forza quanto minore è il saggio medio di profitto nelle attività produttive, come avviene nell’attuale fase di stagnazione, sovrapproduzione, crisi.
Ora, una parte del capitale dirottato verso la finanza verrà a sua volta investito in attività produttive (finanziate con il denaro delle banche), ma certo esiste una quota di capitale che non lo sarà e che quindi viene “sottratta” al normale ciclo del capitale. Quando questa quota diventa eccessiva, quando la finanza re-immette poco capitale nel ciclo produttivo, si ha quello che viene chiamato “credit crunch” (stretta creditizia). E a quel punto hai voglia di dare liquidità alle banche per invitarle a finanziare le imprese [5]… Se il tasso medio di profitto non si alza (attraverso l’aumento della produttività e della redditività delle imprese, cioè attraverso l’intensificazione dello sfruttamento capitalistico dei lavoratori) i “cordoni della borsa” non si allargano.
Tra gli “anti-neo-liberisti” c’è chi prova a dimostrare che anche in alcuni settori del pensiero economico mainstream cominciano a farsi largo riflessioni proprie del pensiero economico critico [6]
“Uno di questi motivi può esser tratto da Jean-Paul Fitoussi e da Joseph Stiglitz, due studiosi che possono essere annoverati tra i massimi esponenti del mainstream “imperfezionista”. In un recente intervento i due economisti hanno infatti sostenuto che «…la carenza di domanda aggregata ha preceduto la crisi finanziaria ed è stata causata da cambiamenti strutturali nella distribuzione del reddito. Fin dal 1980, nella maggior parte dei paesi avanzati il salario mediano è rimasto stagnante, e le disuguaglianze sono cresciute a favore dei redditi più alti […] Poiché la propensione al consumo sui redditi più bassi è generalmente più grande, questa tendenza di lungo periodo nella redistribuzione del reddito ha avuto l’effetto macroeconomico di deprimere la domanda…» (The ways out of the crisis and the building of a more cohesive world, The Shadow GN, LUISS Guido Carli, 6-7 maggio 2009). E’ evidente che siamo al cospetto di una interpretazione da “bassi salari” ispirata ai tipici schemi macroeconomici di teoria critica. Ed è altrettanto palese che si tratta di una chiave di lettura di lungo periodo e strutturale, per cui sembra difficile poterla ritenere conforme alla logica dei modelli mainstream sui quali vertono le principali pubblicazioni scientifiche degli stessi Fitoussi e Stiglitz” [7].
“E’ evidente che siamo al cospetto di una interpretazione da “bassi salari” ispirata ai tipici schemi macroeconomici di teoria critica”… In effetti pare proprio così. D’altra parte, l’eventuale conversione al sotto-consumismo di Stiglitz e Fitoussi non dimostra affatto la validità del sotto-consumismo ma, semmai, che questi Grandi Economisti non sono disposti ad arrendersi neppure di fronte all’evidenza e continuano a percorrere ogni strada che non conduca a Marx. Joseph Stiglitz, ad esempio, amato sia dal “sistema” [8] che dai suoi oppositori “no global”, si è beccato il Nobel perché ha dimostrato che il mercato non tende spontaneamente verso alcun equilibrio (maddai?), che l’equilibrio si realizza virtualmente solo in presenza di ipotesi non realizzabili praticamente [9] e che se si parte dall’ipotesi “imperfezionista”, ma realistica, che l’informazione necessaria alle decisioni da prendere non sia perfetta, allora il mercato è sempre inefficiente e di conseguenza: 1) non può essere lasciato a sé stesso; 2) è necessario l’intervento esterno di istituzioni statali o sovra-nazionali per correggerlo.
E infatti Stiglitz è amato dagli anti-neo-liberisti proprio perché sembra rappresentare una critica dall’interno del sistema, contro il “neo-liberismo” e a favore di un “sano” intervento dello Stato in economia [10]. Non è per caso che talvolta gli “imperfezionisti” siano definiti neo-keynesiani [11] e che si becchino un Premio Nobel dopo l’altro (l’ultimo, Paul Krugman). Si vede che la necessità (imposta dalla crisi) di interventi statali per socializzare le perdite private “da la linea” anche al mainstream accademico e giornalistico…
Ancora più ardite sono le “combinazioni di spiegazioni” della crisi che si sforzano di salvare “capra e cavoli” ovvero di miscelare concezioni marxiste con concezioni non marxiste
“Nell’attuale dibattito sulla crisi due sono i filoni interpretativi principali che si richiamano a Marx e che proclamano una sua rinnovata attualità. Il primo, proposto da quegli autori che si vogliono marxisti “ortodossi”, è quello che legge la finanziarizzazione come conseguenza della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in quest’ottica individua una lunga tendenza alla stagnazione che comincia negli anni Settanta del Novecento. L’altra interpretazione, prevalente per lo più in quei marxisti influenzati dal keynesismo e dal neoricardismo, fa riferimento alla tendenza alla crisi da realizzazione, ovvero da insufficienza da domanda. Questo secondo filone evidenzia come, dopo la controrivoluzione monetarista degli anni Ottanta del Novecento, siano avvenuti profondi mutamenti nella distribuzione del reddito con la caduta della quota dei salari, e sostiene che in un mondo di bassi salari la ragione di fondo della crisi sia l’insufficienza della domanda di consumi: una prospettiva più o meno dichiaratamente sottoconsumista” [12].
In realtà, qui non si tratta di marxisti che “si vorrebbero ortodossi” o di sotto-consumisti che si vorrebbero “marxisti” (ma poi, che marxisti sono se sono “influenzati dal keynesismo e dal neo-ricardismo”?); qui si tratta di avere un minimo di coerenza intellettuale. Del contributo di Marx si può ovviamente pensare e fare ciò che si vuole. L’unica cosa che non si dovrebbe fare è definirsi “marxisti” (magari per puro vezzo) e poi presentare teorie lontanissime – quando non semplicemente antitetiche – a quelle avanzate da Marx. E il sotto-consumo è precisamente una di queste teorie.
Note
[2] Cari colleghi, l’austerità è agonia di Sergio Cesaratto (docente di Politica economica ed Economia dello sviluppo, Università di Siena) su Il Sole 24 Ore, 29 giugno 2010. La legge di Say: “Un prodotto terminato offre da quell’istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l’ultimo produttore ha terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all’istante stesso uno sbocco ad altri prodotti”, Jean-Baptiste Say, Traité d’économie politique, Libro I, Cap. XV, pp. 141-142
[3] Anche se la sovrapproduzione è, per definizione, un eccesso di offerta ovvero che determina un difetto di domanda; inoltre, le misure di politica economica che in genere vengono adottate per fronteggiare la crisi generano il particolare sotto-consumo dei lavoratori (derivante dallo spostamento di quote di reddito dal lavoro verso il capitale).
[4] Karl Marx, Il Capitale, Libro II, Sezione I, Le metamorfosi del capitale e il loro ciclo, Capitolo 2, Il ciclo del capitale produttivo.
[5] Anche se in realtà gli stati nazionali finiranno per far concorrenza, con i propri titoli di stato, alle imprese dal momento che offrono tassi di interesse spesso più alti dei tassi di profitto (e tendenzialmente senza rischio). E infatti: “La Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro nel suo primo rifinanziamento a scadenza super prolungata, 3 anni, a favore delle banche commerciali che operano nell’area euro” […] “…queste manovre della Bce hanno riportato fiducia sui mercati in quanto si è creata l’attesa che almeno in parte le banche possano utilizzare questi fondi a bassi costi – i tassi sono prefissati all’1 per cento – per acquistare titoli di Stato dei paesi dell’area euro, lucrando sul differenziale dei rendimenti”, La richiesta delle banche italiane all’asta della Bce ha superato i 110 miliardi, Il sole 24 ore Finanza e mercati, 21 dicembre 2011.
[6] E’ la corrente che definiamo genericamente “anti-neo-liberista” e che al proprio interno ha una gran pluralità di ispirazioni: Keynes, Ricardo, Sraffa, Minsky, Luxemburg, ecc…
[7] Emiliano Brancaccio, Sulla rilevanza della critica al mainstream, 26-27 gennaio 2010, Convegno “La crisi globale. Contributi alla critica della teoria e della politica economica”.
[8] Altrimenti come sarebbe diventato capo dei consiglieri economici di Clinton e vice-presidente della Banca Mondiale?
[9] Cfr. J. E. Stiglitz, Equilibrium in Product Markets with Imperfect Information, The American Economic Review, Vol. 69, No. 2, Papers and Proceedings of the Ninety-First Annual Meeting of the American Economic Association (May, 1979), pp. 339-345). Sai che novità. Altri due Premi Nobel per l’economia (Kenneth Arrow e Gerard Debreu) hanno dimostrato (cfr. Existence of an Equilibrium for a Competitive Economy) che in astratto esiste la possibilità che un’economia di mercato si venga a trovare in una condizione di equilibrio, sebbene le condizioni affinché ciò possa verificarsi sono sostanzialmente irrealizzabili. Nonostante, Arrow attualmente consigliere di Obama, venga considerato uno dei principali esponenti della teoria neo-classica e sia molto amato dai “neo-liberisti” (che considerano il suo lavoro la dimostrazione matematica della “mano invisibile”), il suo teorema dimostra piuttosto la sostanziale fallacia di tale teoria. Contenti loro…
[10] Redefining the Role of the State. Joseph Stiglitz on building a ‘post-Washington consensus’, An interview with introduction by Brian Snowdon, World Economics, Vol. 2, No. 3, July–September 2001
[11] Un convegno per capire la crisi, Emiliano Brancaccio, 23 Dicembre 2009, Economia e politica: “Consideriamo ad esempio i casi di John Taylor e di Paul Krugman. […] I due si situano insomma agli antipodi delle posizioni di politica economica che riescono a trovare uno spazio nelle istituzioni e sui media americani. Eppure, entrambi gli economisti possono esser fatti rientrare nel mainstream cosiddetto “imperfezionista”, talvolta definito New Keynesian o del New Consensus, che rappresenta oggi la punta più avanzata del paradigma sostenuto da Tabellini”.
[12] Riccardo Bellofiore, La crisi capitalistica e le sue ricorrenze: una lettura a partire da Marx, relazione presentata al Convegno “Marx e la crisi. Giornata di studio Marx e la crisi”, 23 aprile 2010, Bergamo.