Antiper | La cruna dell’ago
Pubblicato in Antiper, La grossa crisi, Raccolta di interventi sulla crisi economica, politica e sociale del capitalismo pubblicati tra dicembre 2011 e aprile 2012, EBOOK, 52 pag., COPERTINA.
Ogni lampo è certamente diverso da ogni altro lampo eppure il fenomeno che genera i lampi è sempre lo stesso. Allo stesso modo, sebbene non esistano due crisi capitalistiche identiche, le leggi che le governano sono sempre sostanzialmente le stesse (dato che sempre lo stesso è il modo di produzione in cui si manifestano). E di queste leggi, grazie soprattutto al contributo teorico di Karl Marx (ma non solo del suo, naturalmente) conosciamo le caratteristiche fondamentali. Dunque, il primo errore che non dovremmo mai compiere è quello di pensare ogni crisi come se fosse la prima
“Ci sembra che il difetto essenziale, non solo del recente rapporto parlamentare, ma anche del “Rapporto sulla crisi commerciale del 1847” e di tutti gli altri simili che li hanno preceduti, sia questo: che trattano ogni nuova crisi come fosse un fenomeno a sé stante, che compare per la prima volta sull’orizzonte sociale, e che dev’essere perciò spiegato con avvenimenti, moventi e agenti del tutto particolari, o presunti tali, propri del periodo intercorso fra l’ultimo sconvolgimento e il precedente. Se i filosofi della natura avessero proceduto con lo stesso metodo puerile, il mondo sarebbe colto di sorpresa dal semplice riapparire di una cometa” [2]
Le leggi che governano il funzionamento del modo di produzione capitalistico non sono leggi puramente economiche. L’idea stessa di una “Tecnica” economica che sovrasta l’umanità con sue proprie Leggi insindacabili non è che un’invenzione di quella che Marx chiamava ideologia delle classi dominanti le quali, ovviamente, hanno tutto l’interesse a dipingere le proprie scelte come inevitabili [3] e a presentare sé stesse come esito al tempo stesso inevitabile e invalicabile dello sviluppo umano.
Per Marx non esistono leggi e modelli puramente “economici” a cui ridurre il funzionamento del modo di produzione capitalistico perché il capitale è, innanzitutto, un rapporto sociale [4], un rapporto tra classi sociali
“L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili cioè cose sociali. Proprio come l’impressione luminosa di una cosa sul nervo ottico non si presenta come stimolo soggettivo del nervo ottico stesso, ma quale forma oggettiva di una cosa al di fuori dell’occhio. Ma nel fenomeno della vista si ha realmente la proiezione di luce da una cosa, l’oggetto esterno, su un’altra cosa, l’occhio: è un rapporto fisico fra cose fisiche. Invece la forma di merce e il rapporto di valore dei prodotti di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci” [5]
I prodotti del lavoro umano sono prodotti del lavoro umano; diventano merci solo per effetto del particolare rapporto sociale che vige tra le classi sociali (le une verso le altre) e delle classi sociali con il prodotto del lavoro.
Poiché il capitale è un rapporto tra classi sociali ogni scelta che lo riguarda non può mai essere super partes, oggettiva, indipendente dagli interessi delle classi coinvolte. I tecnici del capitale sono sempre, dunque, tecnici dei capitalisti.
Il capitalismo è in crisi. Lo dicono apertamente (e ipocritamente) anche gli stessi suoi fan. Time che mette Marx in copertina, editorialisti del Financial Times o dell’Economist che lo ricordano quasi con “nostalgia” o si domandano cosa avrebbe detto Lui
“Una conoscenza delle teorie economiche di Marx avrebbe potuto permettere ai nostri economisti e politici di evitare, o almeno di attenuare, l’attuale crisi del capitalismo” [6].
Noi invece diremmo che, forse, la conoscenza delle “teorie economiche” di Marx avrebbe potuto permettere agli economisti, ai politici e anche ai giornalisti del Financial Times di sapere che, posto il funzionamento del modo di produzione capitalistico, è impossibile evitare le crisi del capitalismo, sebbene nel ‘900 varie istituzioni internazionali (FMI, BM, WTO, ecc…) abbiano tentato di limitare i danni prodotti al capitalismo dal funzionamento del capitalismo stesso, scaricandone gli effetti sui lavoratori di tutto il mondo.
Certo, per chi è vissuto nell’auto-illusione che il capitalismo potesse procedere più o meno linearmente verso l’eternità, quello del 2007-2008 non deve essere stato uno shock da poco sebbene ciò a cui abbiamo assistito in questi anni – e a cui, con tutta probabilità, continueremo ad assistere – non sia affatto fuori dalla norma di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Se non temessimo di essere fraintesi potremmo addirittura dire che la crisi sta nella fisiologia del modo di produzione capitalistico, nel senso che costituisce il passaggio, la cruna dell’ago, attraverso cui il modo di produzione capitalistico deve passare per ricreare condizioni favorevoli ad un nuovo ciclo di sviluppo.
La crisi ha già avuto, e sempre di più avrà, un effetto devastante per centinaia di milioni di persone nel mondo. Su questo non dobbiamo nutrire alcun dubbio perché oggi non esistono neppure le condizioni minime per rivolgere le contraddizioni del capitalismo contro i capitalisti. Ma, la crisi, almeno un effetto positivo lo avrà, un effetto che mille anni di chiacchiere sui “nuovi mondi possibili” non avrebbero mai potuto ottenere: mostrare concretamente al mondo intero che il funzionamento del modo di produzione capitalistico è sempre fonte di ricchezza e di miseria (e precisamente di ricchezza per i ricchi e di miseria per i miseri) e che nella crisi di un mondo in cui c’è chi domina e chi è dominato, come non si sono spartite in modo “equo” le rendite, così non si spartiranno in modo “equo” neppure le perdite. È il capitalismo, baby. Con il “volto umano” o senza.
Note
[2] Karl Marx, British commerce and finance, in New York Daily Tribune, 5445, 4 ottobre 1858, trascr. in V.Giacché, Il capitalismo e la crisi, Deriveapprodi, pag. 66, 2009.
[3] Si pensi allo slogan “There is non alternative” di Margaret Thatcher.
[4] “Là dove gli economisti borghesi vedevano dei rapporti tra oggetti (scambio di una merce con l’altra), Marx scoprì dei rapporti tra uomini”, Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, 1913, in Opere scelte, Vol I, pag. 44.
[5] Karl Marx, Il capitale, Libro I, Sezione I (Merce e denaro), Cap. 1 (La merce), §4 Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano., Editori Riuniti, 2006, pag. 51
[6] Bryn Rowlands, Financiers of the future must know their Marx, Financial Times, 4 febbraio 2009: “A knowledge of Marxian economics may have allowed our financiers and politicians to avoid, or at least have attenuated, the present crisis of capitalism”.