Antiper | Il fine è tutto
Da Rivolta araba, raccolta di interventi sulle rivolte arabe del 2010-2011.
Una delle tendenze più deleterie e longeve della sinistra è certamente quella di enfatizzare acriticamente ogni movimento sociale che si presenta sulla scena e di esaltarne la spontaneità come la più grande delle virtù. Non si rende conto, questa sinistra, che niente è meno spontaneo di un movimento “spontaneo” giacché la spontaneità altro non è che la libera espressione di tutte le forme di condizionamento e “socializzazione” a cui ciascuno di noi è sottoposto, sin dalla nascita, dal sistema di relazioni in cui è immerso. Senza contare che la spontaneità dei movimenti è quasi sempre la ragione del loro insuccesso.
Sarebbe ingeneroso, oltre che sbagliato, giudicare un processo storico solo a partire dai risultati che ottiene. Il tentativo di superamento del modo di produzione capitalistico che si è prodotto nel ‘900, ad esempio, è stato un processo rivoluzionario ricchissimo e di grande insegnamento, nonostante sia stato sconfitto e sia stato sostituito da un processo di vera e propria “ri-feudalizzazione capitalistica” [1].
Questa “ri-feudalizzazione capitalistica” durerà ancora a lungo? E’ possibile; anzi, è probabile. Dovremo quindi passare necessariamente attraverso nuovi Umanesimi, Rinascimenti, Illuminismi, Risorgimenti… per addivenire a nuove tentativi rivoluzionari? Probabilmente no, perché i processi storici non si ripetono ciclicamente e non si ripresentano nelle stesse forme.
Se riuscissimo a leggere gli eventi su scala storica, se riuscissimo a leggere il nostro “presente come storia”, forse riusciremmo a capire quanto vana sia la pretesa di invertire la direzione degli eventi a partire dalla nostra semplice volontà e quanto invece sia importante conoscere la dinamica della realtà storica e a difendere quell’esile “filo rosso” che lega passato e futuro attraverso il presente: e dunque, per quanto riguarda un processo rivoluzionario, anche attraverso di noi.
Perché una cosa è certa: senza un “Principe” (come lo avrebbe definito Gramsci) nessuna rivoluzione è possibile – tanto meno una rivoluzione socialista – e ogni rivolta è destinata a risolversi in macello di proletari per la difesa di interessi non-proletari e spesso addirittura anti-proletari.
Chi esulta per le “esplosioni sociali spontanee” non ha capito – o finge di non capire – che la coscienza di ciascuno di noi non è mai una “tabula rasa”, ma un campo di battaglia su cui in ogni istante la cultura dominante tenta di rafforzare la propria egemonia. Senza sviluppare la capacità di contendere questa egemonia attraverso l’influenza e la guida del “socialismo scientifico” i proletari non sono che forza-lavoro.
Senza partito, i produttori non sono che salariati, ovvero semplici strumenti per l’accumulazione capitalistica.
Sono certo cattivi consiglieri coloro che non sanno far altro che spiegarci ciò che non si può fare, ma altrettanto cattivi consiglieri sono gli esegeti del “gesto” “spontaneo”, “ribelle”, “esistenzialista”… che ci spingono verso la sconfitta solo per potersi compiacere dei propri proclami, tanto pieni di parole, quanto vuoti di idee.
Un certo Bernstein, già alla fine dell’800 diceva: “il movimento è tutto, il fine è nulla”. Alla tendenza politica di cui Bernstein era guida i marxisti dettero il nome di “revisionismo” e questa tendenza fu giustamente additata come un cancro nelle file del movimento dei lavoratori. Quella tendenza finì addirittura per appoggiare la Germania nella Prima Guerra mondiale e dichiarare la necessità di mandare al massacro milioni di proletari per difendere gli interessi dei banchieri e degli industriali tedeschi. Il “fine”, cioè la realizzazione dell’obbiettivo della liberazione dei proletari dalla schiavitù del lavoro salariato, era nulla, infatti.
Oggi che assistiamo al trionfo del motto bernsteiniano che dilaga in tutte le componenti del cosiddetto “movimento” avremmo voglia di dire che no, “il fine è tutto” e non il “movimento”, perché – e questo sarebbe bene chiarirlo una volta per tutte – senza teoria rivoluzionaria non ci può essere movimento rivoluzionario, né in Europa, né in Nord Africa, né in Medio Oriente.
Note
[1] Se così possiamo dire, parafrasando il riflusso che seguì, in larga parte, la sconfitta dei Comuni medievali