Antiper | Digital divide
Da Rivolta araba, raccolta di interventi sulle rivolte arabe del 2010-2011.
Da alcuni anni, il termine “digital divide” viene usato per indicare il crescente divario a livello tecnologico-digitale tra le varie aree del pianeta. L’analisi del digital divide misura il distacco tra paesi ad alto tasso e paesi a basso tasso di sviluppo tecnologico.
Leggendo le analisi sulle “rivolte arabe” degli ultimi mesi scopriamo che il “digital divide” non esiste e che il “digital” dilaga ovunque senza nessun “divide”; anzi, sarebbero state proprio le cosiddette “nuove tecnologie” a permettere le “rivoluzioni” arabe.
Anche il blitz mediatico in cui sarebbe stato ucciso per la terza o la quarta volta Osama Bin Laden sarebbe stato annunciato al mondo via Twitter da un tizio pakistano che pare abbia capito quello che stava per accadere sentendo il rumore degli elicotteri in arrivo… [1]. Strano che non lo abbia sentito anche Bin Laden, il rumore degli elicotteri. Forse aveva la televisione a volume troppo alto.
C’è una “singolarità” che merita di essere evidenziata: chi tempo addietro si era molto preoccupato del DD erano state imprese non esattamente super-partes sul tema:
“È nel gennaio del 2000 che il gap digitale cessa di essere un problema esclusivamente statunitense per diventare un problema dell’intero pianeta. A Davos durante l’incontro annuale del World Economic Forum, sono numerosi gli interventi che segnalano l’esistenza di una disparità nella diffusione delle ICT e la necessità di provare a superare questo divario. È indubbiamente preoccupante che a porre il problema in maniera più pressante sono i leader di alcune grandi multinazionali durante un incontro simbolo della propagazione delle tesi della globalizzazione coniugate al libero mercato. In ogni caso, a Davos viene creata la prima Task Force, «Bridging the Digital Divide Task Force», nell’ambito dell’iniziativa del WEF «Global Digital Divide Initiative» alla quale parteciparono i seguenti gruppi dell’high tech…” [2]
Il problema dello sviluppo ICT era talmente “sentito” che si era mosso addirittura il MIT e qualcuno (Nicholas Negroponte) aveva proposto, per invertire la tendenza, la messa in circolazione nei paesi poveri di un PC “a manovella” da 100 dollari [3].
Ora, a parte l’alimentazione manuale, la prima domanda sorge spontanea: ma chi diavolo ce li ha, nei paesi poveri, 100 dollari per un PC [4]?
E la seconda domanda segue “a ruota”: ma non erano proprio i paesi arabi i più indietro, fino a pochi anni fa, nell’uso delle tecnologie digitali? Possibile che in un “batter d’occhio” i sobborghi del Cairo, di Tunisi e di Sana’a, nei quali scarseggia persino il pane (da qui, si dice, le “rivolte del pane”) si siano riempiti di connessioni ad Internet e di gente che passa le giornate su Facebook?
Va bene credere alle favole, ma non esageriamo…
Note
[1] Mario Tedeschini, Ma veramente Osama l’ha fatto fuori Twitter?, Kataweb.
[2] … e giù un elenco che non finisce più di imprese del settore ICT. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Digital_divide
[3] The $100 Computer, Hannah Clark, 27.01.2007, Forbes.com,
[4] Secondo i dati di Maurizio Donato, oltre 2 miliardi di persone nel mondo hanno un reddito inferiore a 2,5 dollari al giorno. Per accumulare 100 dollari (ammesso che sia possibile “risparmiare” in situazioni economiche come quelle) sarebbero necessarie 40 giornate lavorative, 2 mesi, ovvero, comparando ad un reddito italiano di 1000 euro mensili, almeno 2000 euro. Come PC è un po caro… Senza contare che il problema non è tanto quello del PC ma, se vuoi andare in Internet e chattare su FB come yemeniti, egiziani, libici… di tutta l’infrastruttura telefonica/xDSL. E infine, ci vogliono anche altri soldi: in Italia, dove l’infrastruttura c’è, le persone pagano comunque circa 20 euro al mese per l’abbonamento ADSL.