Antiper | Al peggio non c’è mai fine
Gli effetti del crack finanziario internazionale del 2007-2008 hanno investito, ovviamente, anche i paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente, che hanno subito una secca inversione di rotta rispetto ad una precedente fase di significativa crescita del PIL pro-capite anche a fronte di una crescita demografica molto sostenuta.
Sono certamente aumentate disoccupazione e povertà e questo ha prodotto insoddisfazione, malcontento, rabbia; ma sarebbe un errore trarre conclusioni affrettate e stabilire un nesso causale diretto tra il peggioramento delle condizioni materiali, l’esplosione delle rivolte e – ancor di più – la loro presunta natura rivoluzionaria. Se infatti stabilissimo quel nesso non saremmo poi in grado di spiegare i motivi per cui 1) non si sollevano popoli africani ben più poveri di alcuni di quelli che si sono sollevati; 2) popoli che hanno condizioni sociali medie migliori di quelle che avevano qualche anno addietro si sollevano solo ora e non si sono sollevati, appunto, anni addietro.
I due piani che caratterizzano la situazione nel mondo arabo (ma in verità qualunque situazione) – ovvero il piano economico-sociale e quello politico – non sono affatto la traduzione meccanica l’uno dell’altro. Tra questi due piani può esistere – o, per meglio dire, non può non esistere – uno scarto; può quindi esistere – noi diciamo, esiste – uno scarto tra le aspirazioni e le necessità delle masse arabe che si ribellano e il programma politico dei partiti e dei movimenti che in questo momento dirigono queste ribellioni o si candidano a dirigerle.
Questo scarto ci pare il “grande assente” di quasi tutte le riflessioni sulle recenti rivolte arabe. Il motivo è presto detto: enfatizzare, quasi sempre in modo del tutto arbitrario, gli elementi di presunta discontinuità (laddove, invece, la discontinuità è largamente ipotetica e spesso immaginaria); occultare le forze che agiscono dietro le quinte (e non solo) per manovrare a proprio vantaggio gli esiti della “sollevazione”.
Poi ci sono quelli che, totalmente confusi dalle sconfitte, dagli arretramenti, dal bisogno di “contare”, di “esserci”, di avere “visibilità”, di ottenere “risultati concreti”… vivono in uno stato di perenne e frustrata attesa messianica di eventi “rivoluzionari”, “masse in lotta”, “autunni caldi”, ecc…: quelli che aspettano da 20-30-40 anni il ritorno di qualcosa che non tornerà e di cui non hanno ancora compreso neppure l’origine.
E ci sono quelli che sono capaci di chiamare “rivoluzionari” persino insorti armati, addestrati e pagati dai paesi imperialisti e che combattono con l’appoggio aereo, navale e terrestre della NATO con “l’alto patrocinio” di Sarkozy, Cameron, Obama.
E’ proprio vero. Al peggio non c’è mai fine…