Laboratorio Marxista | Contributo al Seminario Internazionale contro la Tortura attraverso l’Isolamento di Nordwijk (dicembre 2002)
I compagni del Laboratorio Marxista partecipano al Seminario Internazionale contro la Tortura attraverso l’Isolamento di Noordwik nell’intento di contribuire alla costruzione di un vasto fronte di solidarietà contro la repressione che sappia porre un argine alla offensiva reazionaria delle borghesia imperialista e permettere una migliore difesa dell’agibilità politica e democratica delle organizzazioni e delle aree rivoluzionarie in Europa e nel mondo.
Naturalmente non pensiamo che la reazione e la repressione possano essere fermate semplicemente con la solidarietà internazionale o con la difesa legale o con la controinformazione. Siamo convinti che il mezzo principale che abbiamo per combattere la repressione sia quello di sviluppare la lotta di classe.
Certo, anche l’intensificazione della lotta di classe può portarsi dietro un maggiore livello repressivo; se uno non lotta non viene neppure represso. Ma l’intensificazione della lotta di classe porta con sé anche una maggiore capacità di resistenza e una maggiore solidarietà delle masse e questo può essere persino un “deterrente” per l’azione repressiva dello stato.
In ogni caso anche ogni conquista semplicemente “democratica” non può essere il frutto della magnanima concessione del potere, ma il frutto di ben precisi rapporti di forza che possono essere raggiunti solo con la lotta.
Conosciamo molto bene la resistenza dei prigionieri turchi, le sue ragioni e l’eroismo con cui essa è stata condotta in questi 2 anni.
Quando, nel dicembre 2000, l’esercito e la polizia turca scatenarono l’attacco alle carceri provocando la morte di decine di prigionieri noi lanciammo immediatamente sul nostro territorio una serie di iniziative di solidarietà e di controinformazione. Allora, la stampa e le televisioni di stato italiane davano pochissime notizie sull’attacco e lo stesso facevano gli stessi giornali della sinistra.
Il nostro compito fu principalmente quello di far conoscere la resistenza e la lotta dei prigionieri contro le celle di tipo F per rompere il silenzio e contribuire a costruire la solidarietà internazionale.
Anche in seguito abbiamo continuato a far conoscere le posizioni dei rivoluzionari prigionieri turchi perché siamo convinti che la loro lotta nelle carceri (così come la lotta dei rivoluzionari fuori dal carcere) sia parte di una lotta che consideriamo comune contro l’imperialismo.
In Italia il crescente attacco repressivo si articola sia a livello sociale contro i movimenti, sia a livello politico contro i gruppi politici e sindacali. Si tratta cioè di un attacco al tempo stesso di massa e selettivo che ha l’obbiettivo di seminare il panico tra le masse e di isolarne le avanguardie.
Nel corso dell’ultima fase l’Italia è stata il teatro di una repressione di massa come non si vedeva da molti anni.
Tutto il mondo ha potuto vedere come manifestanti pacifici siano stati picchiati selvaggiamente sotto le telecamere dei giornalisti.
Ora anche gli italiani capiscono meglio ciò che accade quotidianamente in tante parti del mondo.
La manifestazione contro il WTO di Napoli del marzo 2001 e, soprattutto, le manifestazioni di Genova contro il G8 del luglio 2001 hanno visto una repressione violentissima.
In entrambe queste occasioni le forze repressive si sono mosse come in una vera e propria esercitazione militare che ha portato al massacro, all’arresto e alla tortura di migliaia di manifestanti.
Fino all’assassinio di Carlo Giuliani, a Genova, il 20 luglio 2001.
Sottolineiamo il fatto che mentre la manifestazione di Napoli è stata repressa da un governo di centro-sinistra, quella di Genova è stata repressa da un governo di centro-destra a riprova che per i movimenti di lotta non esistono “amici” nelle istituzioni del potere capitalistico.
Anche dal punto di vista legislativo si stanno facendo passi verso una sempre maggiore repressione.
Già prima dell’11 settembre, nel maggio 2001, il governo di centro-sinistra unanimemente appoggiato da tutto il Parlamento, aveva varato una legge per l’estensione della custodia cautelare (arresto senza processo) da 18 a 24 mesi (con la scusa dell’uccisione di Marco Biagi).
Dopo l’11 settembre sono stati introdotti altri commi (270 ter e 270 quater) all’articolo 270 del codice penale.
L’articolo 270 venne introdotto nel 1930 dal fascismo con l’obbiettivo dichiarato di colpire anarchici e comunisti e fa parte di un codice (il “codice Rocco”, dal nome del “guardasigilli” fascista che lo aveva proposto) ancora pienamente vigente.
Neppure dopo la fine della seconda guerra mondiale e l’avvento della cosiddetta “democrazia” questo articolo è stato mai abolito ed è stato anzi usato molto spesso per colpire – anche in anni recenti – comunisti ed anarchici.
Questo a riprova del fatto che elementi di fascismo sono presenti nel sistema penale e politico italiano anche dopo che il fascismo è stato “formalmente” sconfitto e sostituito dalla cosiddetta “democrazia”.
In particolare l’articolo 270 ter definisce “terrorismo internazionale” qualsiasi tipo di sostegno politico ed economico nei confronti delle organizzazioni che vengono catalogate come “terroristiche” (ad esempio quelle che sono inserite nelle famigerate “liste nere” di USA e UE).
In questo modo si tenta di impedire la solidarietà internazione tra i movimenti di lotta e tra le organizzazioni rivoluzionarie.
Anche per questa ragione abbiamo sviluppato una battaglia politica contro le “liste nere” che mettono fuori legge le organizzazioni delle resistenza di molti paesi (come la Palestina, la Turchia, la Colombia…).
Recentemente è stata approvata (con l’appoggio praticamente di tutti i partiti) la norma che prevede la normalizzazione dell’articolo 41 bis che prevede il carcere duro (di fatto un isolamento continuo) per i mafiosi, ma anche per gli accusati di “terrorismo” politico e per gli accusati di “terrorismo internazionale”.
Iin Italia nel corso dell’ultimo anno e mezzo sono stati arrestati centinaia di immigrati accusati di far parte di Al Qaeda che sono stati poi rilasciati – seppure dopo mesi di detenzione per la totale insussistenza di qualsiasi prova – a conferma che quegli arresti erano fasulli e servivano solo come propaganda verso l’opinione pubblica.
Contro l’approvazione definitiva del 41 bis è in corso una campagna di controinformazione per sensibilizzare il movimento a cui noi cerchiamo di dare il nostro modestissimo contributo.
In questo senso abbiamo espresso la nostra solidarietà anche al compagno anarchico Marco Camenish all’interno di una battaglia contro l’isolamento e per la salvaguardia dei diritti dei prigionieri politici.
Noi consideriamo la solidarietà verso i prigionieri politici un elemento indissolubile dell’attività di chi si definisce comunista o antimperialista.
In un nostro scritto del settembre 2000, Seminare per raccogliere, che rappresenta la nostra base politica, scrivevamo:
“Da sempre i prigionieri rivoluzionari sono sottoposti a due tipi di trattamento: repressione per chi non collabora, lusinga ed agevolazioni per gli altri. La repressione viene utilizzata per rompere l’unità e la resistenza dei prigionieri, per separarli dalle masse, per creare terrore nelle fila di tutti gli altri rivoluzionari. Con la collaborazione si vogliono ottenere informazioni e mostrare chi, alla lunga, “la vince”.
Isolamento, denigrazione, tortura – fisica e psicologica – sono gli strumenti che la repressione utilizza per far cedere i rivoluzionari. Per questo ancora più merito va a coloro che, pur tra mille difficoltà, resistono e continuano a tenere alta la bandiera della rivoluzione proletaria.
In tutto il mondo, ogni giorno, decine di migliaia di rivoluzionari vengono tenuti in prigione, sottoposti a trattamenti disumani, costretti a forme di resistenza durissime, come scioperi della fame a volte fino alla morte.
Ma la storia ci insegna che la lotta delle masse popolari per il potere e quella dei prigionieri politici sono sempre indissolubilmente legate. Per questo, la difesa dei prigionieri rivoluzionari e la solidarietà nei loro confronti è uno dei compiti fondamentali di ogni comunista.
Esprimere solidarietà nei confronti dei prigionieri rivoluzionari non vuol dire, ovviamente, condividere ogni loro scelta. Ma non significa neppure solidarizzare moralisticamente con la loro condizione di detenuti, bensì solidarizzare in modo militante con la loro natura di rivoluzionari.
E poiché i prigionieri rivoluzionari restano in carcere per il fatto di essere, appunto, rivoluzionari, per il fatto di battersi contro l’imperialismo e per il comunismo, ogni iniziativa di solidarietà verso i prigionieri politici deve essere sostenuta ed amplificata dagli altri comunisti, così come deve essere sostenuta ogni iniziativa che faccia conoscere la storia e l’esperienza delle organizzazioni rivoluzionarie, i loro errori e le loro intuizioni.
Non dobbiamo lasciare che sia la borghesia a fare ricostruzioni di comodo della storia delle lotte di classe.
Questo vale anche per l’Italia, per la storia della Resistenza e per quella delle lotte degli anni ’60-’70-’80.
Non dobbiamo lasciare che sia la borghesia, attraverso i pentiti e i dissociati – di ieri e di oggi -, a ricostruire la nostra storia. Dobbiamo essere capaci di lanciare un grande processo di verità storica e di ricostruzione rivoluzionaria che sia di esempio, o di monito, a seconda dei casi, per la nostra attività presente e futura.
Solo chi è ancora comunista ha la legittimità politica per farlo e non certo chi ha abiurato alla lotta di classe e si fa megafono della borghesia nel descrivere un mondo pacificato e senza conflitti del tutto immaginario”.
Dopo avere partecipato per anni ad iniziative promosse da altre organizzazioni abbiamo deciso, quest’anno, di “celebrare” la giornata del 19 giugno (giorno in cui si ricordano i 300 prigionieri politici peruviani assassinati nel 1986 dal governo di Alan Garcia), Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero; a questo appuntamento, a cui magari non tutti fanno riferimento, rappresenta comunque una utile occasione per riflettere sulla questione della prigionia politica.
A quella iniziativa (articolata in 2 giorni) abbiamo invitato compagni argentini, turchi, palestinesi, spagnoli per discutere assieme sulla situazione nelle carceri italiane e nel resto del mondo.
Naturalmente, la questione dei prigionieri politici non può essere ricordata solo un giorno all’anno.
Come detto, la lotta dei prigionieri è parte della lotta contro l’imperialismo e la lotta contro l’imperialismo si fa tutti i giorni.
In questo periodo ci sono stati molti arresti relativi alle indagini su Genova 2001 (a Cosenza e a Genova).
A tutti i compagni delle varie aree colpite abbiamo espresso la nostra solidarietà, indipendentemente dalle diverse posizioni politiche.
Abbiamo espresso la nostra solidarietà anche a Francesco Caruso, uno dei leader dell’area dei “no global”, verso il quale non nutriamo alcuna simpatia politica, specialmente dopo le dichiarazioni assolutamente inaccettabili che lui e i suoi compari Casarini, Agnoletto, Bertinotti… hanno fatto sulle violenze di Genova e dopo le loro intollerabili dissociazioni (e in certi casi vere e proprie delazioni) compiute nei confronti di determinate aree del movimento.
Un saluto ai compagni turchi e a tutti i compagni presenti dai compagni e dalle compagne del Laboratorio Marxista.
Noordwik, dicembre 2002