Giulia Iacometti | Una nota sull’appropriazione del lavoro di cura
Tratto da Etica e politica nell’Antropocene (a partire dal contributo di Jason W. Moore), Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2018, PDF, 72 pagine.

Parlando dell’appropriazione del lavoro Moore a un certo punto scrive:
“[…] dovremmo assumere la fondamentale intuizione del marxismo femminista: il contributo del lavoro non retribuito non è un dato originario ma attivamente prodotto dai complessi rapporti di potere, (ri)produzione e accumulazione.” [1]
In sostanza, intende dire Moore, il “lavoro non retribuito” delle donne costituisce un contributo fondamentale e per nulla “naturale” alla riproduzione del sistema di potere (nel nostro caso, capitalistico).
A conferma che questa è l’interpretazione da dare alle parole di Jason Moore leggiamo questo passo
“Alle origini del capitalismo, le strategie utilizzate per recintare le popolazioni indigene nelle riserve furono usate anche per creare e gestire una categoria di esseri umani che avrebbe dovuto svolgere lavori di cura non retribuiti: le donne. I corpi umani furono costretti, a volte in termini medici, sempre in termini giuridici, in una delle due ineludibili categorie: uomo e donna. I risultanti dualismi società-natura, uomo-donna e lavoro pagato-lavoro non retribuito ci hanno consegnato un modo di pensare che ha condotto gli esseri umani nell’ecologia-mondo capitalistica verso spettacolari cantonate: continuiamo a pensare come ‘vero lavoro’ unicamente il lavoro salariato e si dimentica il lavoro di cura che rende tutto possibile.” [2]
Quella del riconoscimento (anche economico) del lavoro di cura svolto alle donne è effettivamente una classica rivendicazione femminista. D’altra parte che essa sia una rivendicazione del “femminismo marxista” è lecito dubitare.
Dal punto di vista politico, più che il riconoscimento economico dello statuto insuperabile di caregiver le femministe marxiste hanno auspicato e operato per il superamento della tradizionale struttura famigliare patriarcale e borghese che consegna alla donna il ruolo fisso di caregiver (senza tuttavia ritenere che il semplice arruolamento in fabbrica debba costituire, di per sé, chissà quale progresso).
Dal punto di vista teorico, Marx pensa il salario – ovvero la “retribuzione” – come valore (del costo di (ri)produzione) della merce forza-lavoro [3]; anche quando le mogli non lavorano fuori, anche quando la famiglia ha una struttura del tipo “male breadwinner” – “female caregiver” [4], il salario deve permettere la riproduzione di tutta la famiglia (della donna che sta a casa, ma anche dei vecchi che non lavorano più, dei bambini che non lavorano ancora, dei disabili che non possono lavorare…). Il salario non coincide mai con la sola busta paga [5] – i marxisti lo sanno benissimo – e in ogni caso esso non potrebbe mai limitarsi a coprire la riproduzione del solo maschio che lavora perché quella riproduzione è una riproduzione sociale.
Si tratta dello stesso genere di incomprensione che conduce a non ritenere “salariato” il lavoro dello schiavo laddove, al contrario, lo schiavo deve essere nutrito, curato, vestito, alloggiato… sia pure in condizioni di estrema povertà (ma sufficienti da permettergli di lavorare produttivamente nei campi o in altre dure attività). E, detto per inciso, mentre la morte dello schiavo era sempre una perdita secca di capitale – una sciagura per il padrone –, la morte di un lavoratore è al massimo una seccatura, quella di trovare un altro “liberto” disposto a farsi sfruttare volontariamente.
Note
[1] J. W. Moore, Antropocene o Capitalocene?, pag. 81.
[2] J. W. Moore, R. Patel, A History of the World in Seven Cheap Things, pag. 124: “At the origins of capitalism, strategies used to corral Indigenous Peoples into the pen of Nature were also used to create and manage a category of humans who would perform unpaid care work: women. Human bodies were forced, sometimes medically and always juridically, into one of two inescapable categories: man and woman. The resulting entangled binaries-of Society-Nature, ManWoman, and paid work-unpaid work-have left us with a way of thinking that has committed humans in capitalism’s world-ecology to making spectacular oversights: we continue to think of “real work” solely as wage work and forget the care work that makes it all possible.”
[3] Cfr. K. Marx, Salario, prezzo e profitto.
[4] Cfr. C. Ranci, E. Pavolini, Le politiche di welfare.
[5] Includendo anche il salario differito (la “pensione”) e quello indiretto (servizi sanitari, scolastici, infrastrutture). Cfr. G. Pala, Il salario sociale di classe.