Antiper | Gli USA, i dazi e il neoliberismo

In questi giorni il nuovo presidente amerikano, Donald Trump, ha fissato una serie di dazi sulle merci straniere. L’ondata neo-protezionistica promossa dalla nuova amministrazione potrebbe sembrare a prima vista una mossa suicida per un paese che ha costruito il proprio iniziale successo proprio sul commercio internazionale [1]. Ma da allora le cose sono molto cambiate. E’ già da lungo tempo che gli USA sono un paese prevalentemente importatore che impone al resto del mondo i propri “brand” in virtù di un dominio che è assai più politico, militare e culturale, che non economico e industriale. Quando nella seconda metà degli anni ’40, per fare un esempio, i film provenienti dagli Stati Uniti inondavano le sale italiane ed europee non era certo per le virtù artistiche di quelle americanate.
Non è la prima volta che gli USA adottano strategie “shock” per difendere la propria capacità commerciale in difficoltà. Nel 1971, ad esempio, Nixon cercò di contrastare la forza industriale e commerciale del Giappone e della Germania sganciando il dollaro dalla convertibilità con l’oro e dalla parità con le altre monete dell’impero per rilanciare le esportazioni statunitensi.
Oggi, come allora, gli USA si ri-orientano in base ad una valutazione pragmatica della situazione e dei propri interessi strategici e non certo, come ci hanno raccontato per decenni intellettuali anti-neo-liberisti confusi, in base a impostazioni “ideologiche”, preconcette, immodificabili. E’ questo “pragmatismo imperialista” che spiega l’attuale approccio degli USA alla questione ucraina per il quale sono del tutto inappropriate parole come “soluzione” o “pace”.
Quella del “libero mercato a tutti costi” è una favola che gli agenti strategici del capitale ci hanno propinato per ottenere ogni genere di privatizzazioni, ma alla quale loro si sono ben guardati di aderire. Ma sul ruolo dello stato nel cosiddetto neo-liberismo abbiamo già scritto un po’ [2] e non è il momento di tornarci.
La spiegazione della mossa protezionistica statunitense si può forse riassumere in due immagini.
La prima immagine mostra l’evoluzione nell’ultimo quarto di secolo delle posizioni nel commercio globale di USA e CINA

Come si può facilmente constatare il numero di paesi nei quali la Cina costituisce il primo partner commerciale è molto aumentato. Questo significa che la cosiddetta “globalizzazione”, che nella prima fase aveva dato un notevole vantaggio alle economie occidentali in quanto aveva permesso di contrastare le tendenze alla caduta del saggio di profitto spostando le produzioni nei paesi “in via di sviluppo” in modo da abbassare i costi di produzione, in una fase successiva si è rivelata un boomerang in quanto ha permesso l’emergere della forza industriale, commerciale e tecnologica della Cina e, in forma minore, di altri paesi.
La seconda immagine riguarda il cartello che Trump agitava durante il discorso del cosiddetto “Liberation Day” [3]

Il cartello contiene una serie di numeri che vorrebbero suggerire il fatto che gli Stati Uniti sono vittima dell’imposizione, da parte del resto del mondo, di tariffe e regole penalizzanti per il loro commercio internazionale e che le attuali misure non sono altro che una risposta difensiva.
In realtà la prima colonna – Tariffs charged to the USA – non mostra alcuna tariffa imposta alle merci statunitensi bensì il rapporto, paese per paese, tra deficit della bilancia commerciale ed importazioni degli USA [4] [5]
«la formula “pazza” prende il deficit Usa con ciascun Paese e lo divide per il valore delle importazioni. Il quoziente, moltiplicato per cento, viene poi diviso per due per calcolare i dazi che d’ora in avanti gli Usa applicheranno agli altri Paesi.» [6]
Non si tratta dunque della presentazione di dati scientifici (che peraltro neppure Trump capirebbe), ma solo di una ben calibrata strategia comunicativa. Il punto che il governo americano vuole affermare è il seguente: i paesi che oggi vengono colpiti dal rialzo delle tasse di importazione sono tutti paesi che in un modo o nell’altro sono riusciti a esportare negli USA più di quanto essi abbiano importato dagli USA e questo ha progressivamente aggravato il deficit della bilancia commerciale statunitense.
Fino a quando gli USA hanno mantenuto il potere di stampare dollari quasi a piacimento scaricando gli effetti inflazionistici della conseguente svalutazione sul resto del mondo la cosa non impensieriva troppo. Anzi, si potevano mantenere livelli di consumo relativamente alti e dunque, tra le altre cose, tenere a bada le tensioni sociali.
Ma è chiaro che il “resto del mondo” ha ormai imboccato con decisione la strada della progressiva de-dollarizzazione (persino i vassalli europei ci hanno provato con la nascita dell’euro) ed è quindi ragionevole ipotizzare che nel prossimo futuro gli USA non saranno più in grado di usare il dollaro come moneta universale di riserva, come hanno fatto fino ad oggi. Lo ha capito anche Larry Fink, CEO di BlackRock, che nella sua annuale lettera agli investitori scrive
«The U.S. has benefited from the dollar serving as the world’s reserve currency for decades. But that’s not guaranteed to last forever. […] If the U.S. doesn’t get its debt under control, if deficits keep ballooning, America risks losing that position to digital assets like Bitcoin.» [7]
In teoria, l’aumento dei dazi dovrebbe portare ad un aumento del consumo di merci statunitensi a discapito di quelle straniere e magari anche ad un aumento degli introiti sulle merci straniere che continueranno ad essere vendute negli USA. Se la strategia neo-protezionistica sia destinata a funzionare o meno lo vedremo e in particolare lo vedremo, nel caso non dovesse funzionare, dall’aumento esponenziale delle tensioni belliche visto che la guerra è il regolatore di ultima istanza delle contraddizioni internazionali.
Note
[1] Arnaldo Testi, Il secolo degli Stati Uniti, Il Mulino, 2014.
[2] Antiper, Neo-liberismo e anti-neo-liberismo tra Stato e mercato.
[3] Wikipedia, Donald Trump’s Liberation Day speech
[4] Si osservi peraltro che essendo le importazioni maggiori delle esportazioni per ognuno dei paesi in elenco se i consiglieri di Trump avessero scelto la formula (esportazioni – importazioni)/esportazioni invece di quella effettivamente scelta (esportazioni – importazioni)/importazioni avrebbero potuto mostrare percentuali anche maggiori di quelle presentate (ma forse questo avrebbe reso meno credibile la già poco credibile pagliacciata).
[5] Dazibao, Trump dichiara guerra al commercio mondiale: finito “l’ordine basato sulle regole”, che succede ora?
[6] ANSA, La ‘tabella pazza’ di Trump, così ha gonfiato i dazi. Krugman, dal tycoon ‘una follia’. Cottarelli: ‘numeri bufala’
[7] BlackRock, Larry Fink’s 2025 Annual Chairman’s Letter to Investors