Antiper | Surfin’ politics. L’operaismo come metodo
Annus horribilis per l’operaismo italiano con la morte di Tronti, Negri, Piperno. Potrebbe essere l’occasione di un bilancio di questa corrente politica che ha avuto (ed in certa misura ancora ha) una sua influenza all’interno del cosiddetto “movimento”. Chi si prenderà la briga di fare questo bilancio forse la prima cosa che dovrebbe analizzare è quale sia stato davvero il rapporto che gli operaisti hanno avuto con gli operai.
Un punto è fermo: indipendentemente dalle narrazioni immaginarie e auto-consolatorie degli operaisti l’idea che personaggi come Tronti o Cacciari o Negri possano aver avuto una qualsiasi influenza sugli operai nel contesto degli anni ‘60 e ‘70 è semplicemente risibile. Più probabile è che il rapporto tra operaisti e operai fosse simile a quello rappresentato da Elio Petri in La classe operaia va in Paradiso: una sorta di “andata al popolo” fuori dai cancelli, dove studenti rivoluzionari con la piorrea urlano nel megafono (non a caso Toni Negri, durante le udienze del processo 7 aprile, pronunciò parole sprezzanti verso il film).
Sia ben chiaro: stare (piuttosto che andare) tra i lavoratori per costruire assieme livelli più avanzati di coscienza politica e di organizzazione è il compito di ogni forza comunista [1]; ma millantare influenze inesistenti sulla massa dei lavoratori è solo propaganda.
Gli operaisti hanno avuto nei confronti degli operai un rapporto di tipo puramente strumentale. Fintanto che gli operai hanno sviluppato alti livelli di conflittualità sociale e fintanto che settori della classe operaia hanno mostrato grande autonomia dalle organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio classico (come, per fare due esempi, a Piazza Statuto nel 1962 o nell’autunno caldo nel 1969) gli operaisti si sono dati molto da fare con la classe operaia. Quando i lavoratori sono stati sconfitti tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 gli operaisti hanno abbandonato gli operai si sono dati da fare per trovare nuovi “soggetti”.
All’inizio, per mantenere il brand, si inventò la teoria dell’operaio sociale ma poi si capì che l’operaismo si sarebbe potuto intendere non come rifermento sociale, bensì come metodo: il metodo di cercare di cavalcare qualsiasi onda sociale apparisse sulla scena.
L’ossessione delle “soggettività” emergenti è la semplice conseguenza di questo approccio. Alla fine degli anni ‘90 si cavalca il movimento “no global” e Negri va sulla copertina del Time, ma poi si capisce che la globalizzazione non si può fermare e allora, non potendo diventare “global” si diventa “new global” e “altermondialisti”, con un inversione di 180 gradi.
Prima si straparla di “impero” e di fine dell’imperialismo, ma un paio di libri dopo, quando si capisce che gli stati nazione nella globalizzazione non solo non scompaiono, ma si rafforzano, si fa marcia indietro.
Un continuo avanti e indietro, zig-zag, slalom, ecc… puro eclettismo senza principi. Sì a Marx ma “oltre”. Sì a Lenin, ma nella versione del tutto immaginaria e completamente trasfigurata dagli operaisti. Prima contro l’Europea del capitale e poi a favore. Non importa. Tutto può essere cavalcato. Da tutto ci si può avvantaggiare. Una logica che assomiglia come una goccia d’acqua al principio dell’accumulazione capitalistica.
Strizzare l’occhio alle lotte rivoluzionarie nelle metropoli e poi chiamare terrorista chi le pratica; straparlare di illegalità e poi cercare le riduzioni di pena elargite dal potere in cambio della dissociazione; esaltare movimenti autonomi inesistenti e coltivare il culto della personalità di senatori del PD votatori di Jobs Act (a proposito del tipo di rapporto con i lavoratori) la cui morte viene pianta come quella di Che Guevara. Essere iper-critici di ogni esperienza di resistenza all’imperialismo da parte di paesi socialisti o semi tali, e nello stesso tempo trovare del tutto normale infrattarsi nei sionisti radicali o nei Verdi alleati della sinistra di guerra o anche costruirsi belle carriere nelle università del capitale.
Cavalcare l’onda. Essere operaisti.
Note
[1] Se di comunisti si può parlare. Cfr. la critica di Carlo Formenti a Toni Negri in Un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulle punte dei piedi, Carmilla on line. Qui Formenti spiega perché non ritene Negri comunista.
[2] Maria Turchetto, Dall’operaio massa all’imprenditorialità comune: la sconcertante parabola dell’operaismo italiano, da Intermarx. L’articolo rappresenta una versione ampliata della voce “operaismo” destinata al Dictionnaire Marx contemporain, a cura di J. Bidet e E. Kouvélakis, PUF, Paris, 2001
[3] Francesco Piccioni, Due o tre cose che vanno dette su Toni Negri, Contropiano.