Antiper | Sionisti, colonialisti e nazisti all’origine dell’occupazione della Palestina
Nel suo libro La banalità del male Hannah Arendt descrive un fenomeno abbastanza sconosciuto al grande pubblico; si tratta della collaborazione tra l’Agenzia ebraica per la Palestina (ovvero l’agenzia sionista in Germania) con le autorità naziste per favorire l’esodo ebraico dalla Germania e l’immigrazione illegale nella Palestina che in quel momento si trovava sotto il controllo degli inglesi.
Questa collaborazione arrivò fino a permettere ai sionisti di entrare all’interno dei campi di concentramento per selezionare “materiale adatto” ovvero “giovani pionieri” ritenuti idonei al trasferimento in Palestina e al lavoro nei Kibbutz. Non si trattava dunque di una semplice convergenza oggettiva sull’idea di sgombrare la Germania dagli ebrei, ma di una vera e propria collaborazione per realizzare tale obbiettivo, una collaborazione alla quale partecipò anche lo stesso Adolf Eichmann.
Prima che iniziasse la cosiddetta “soluzione finale” ebrei sionisti e nazisti collaborarono per lo spostamento di migliaia di ebrei; le destinazioni ipotizzate furono diverse. In particolare, all’inizio degli anni ’40, venne studiato un “Piano Madagascar” che prevedeva l’emigrazione forzata dall’Europa di 4 milioni di ebrei che in precedenza erano stati forzati ad abbandonare l’Austria e a spostarsi versi i “territori ebraici” della Polonia. In quel periodo il Madagascar era sotto il controllo post-coloniale francese.
“prima, il governo polacco, che nel 1937 aveva preso in considerazione l’idea e si era dato un gran daffare, ma poi era giunto alla conclusione che era assolutamente impossibile trasportare quasi tre milioni di ebrei e farli arrivare vivi; e qualche tempo dopo era stato il ministro degli esteri francese Georges Bonnet, a pensare, più modestamente, di trasportare in quella colonia francese soltanto gli ebrei stranieri residenti in Francia, che erano circa duecentomila; a questo proposito Bonnet si era perfino consultato col ministro degli esteri tedesco, Joachim von Ribbentrop, nel 1938.” [1]
Come si vede non solo i tedeschi, ma molti altri desideravano l’esodo degli ebrei.
Per un certo periodo venne anche ipotizzata la creazione di una sorta di “territorio ebraico” semi-autonomo in Polonia. Il progetto, chiamato “Nisko” dal nome di una cittadina al confine con l’URSS, fallì anche per l’ostracismo del governatore nazista della Polonia, Hans Frank, detto il “macellaio”. Molti ebrei furono accolti dall’URSS che dopo il 1939 aveva preso il controllo di parte della Polonia per evitare che a prenderlo fosse la Germania nazista.
Alla fine, come destinazione per l’esodo degli ebrei europei, venne individuata la Palestina; il tutto con la complicità delle autorità post-coloniali inglesi a cui era stato affidato il Protettorato della Palestina dopo gli accordi di Versailles scaturiti dalla fine della Prima guerra mondiale.
Fu così che ebrei, liberal-colonialisti inglesi e nazisti si impegnarono nel promuovere l’immigrazione illegale in Palestina e nel furto della terra dei palestinesi. Ed è proprio questa collaborazione che sta all’origine del processo di espropriazione subìto dalla popolazione palestinese negli anni ‘40 e successivamente accelerato con la guerra del 1948 e con la “nabka” che ne derivò.
Del resto, fin dagli anni ’30 esisteva un accordo “tra le autorità naziste e l’Agenzia ebraica per la Palestina” – l’accordo Ha’avarah “per il trasferimento” – in base al quale
“chi emigrava in Palestina poteva trasferire laggiù il suo denaro in forma di beni tedeschi, beni che venivano convertiti in sterline all’arrivo” [2]
In questo modo un’enorme quantità di merci tedesche venne acquistata dagli ebrei – cui era sostanzialmente vietato esportare denaro – e portata in Palestina. Questo produsse l’effetto paradossale di aiutare l’economia nazista proprio nel momento in cui veniva realizzato il boicottaggio della Germania da parte della comunità ebraica internazionale.
In sostanza, i sionisti non esitarono a collaborare con i nazisti per favorire l’esodo degli ebrei. Questo non deve stupire perché furono proprio le politiche persecutorie del regime hitleriano a far lievitare il consenso del movimento sionista all’interno delle comunità ebraiche, un consenso che in precedenza era molto più debole di quello che avevano le posizioni “assimilazioniste” che puntavano a conservare una presenza nella società tedesca. Gli “assimilazionisti” erano convinti che in fondo tutti i “gentili” fossero uguali (posizione alquanto razzista rimarcata dalla stessa Arendt) e che in definitiva i nazisti non avrebbero fatto peggio di quanto non avessero già fatto i loro predecessori; sulla base di questa falsa illusione riuscirono a dare persino una interpretazione in certo qual modo positiva alle stesse Leggi di Norimberga del 1935 che molti ebrei pensavano di poter sopportare come tante altre volte era avvenuto nel vicino e nel lontano passato nei confronti di altre discriminazioni. E fu così che anche gli assimilazionisti svilupparono forme di collaborazione con il nazismo.
I sionisti videro l’ascesa di Hitler e la crescita delle persecuzioni positivamente. Infatti, man mano che la persecuzione degli ebrei crebbe le posizioni “integrazioniste” degli assimilazionisti si indebolirono, mentre quelle “segregazioniste” dei sionisti si rafforzarono. Pian piano prese corpo l’idea della impossibilità di restare in Germania e contestualmente cominciò la collaborazione all’esodo tra sionisti e nazisti. Questi ebrei tedeschi, divenuti collaboratori sionisti dopo essere stati collaboratori assimilazionisti, invece di lottare per il proprio diritto di restare in Germania decisero che era più facile andare a privare un altro popolo del diritto alla propria terra, rispolverando leggende millenarie e sciocchezze bibliche. Vittime di persecuzioni, gli ebrei si trasformarono in persecutori grazie all’appoggio militare, economico e ideologico dell’Occidente di cui essi divennero il cane da guardia in Medio Oriente.
Note
[1] Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Prima edizione nell’«Universale Economica», Saggi, marzo 2001, Milano, Feltrinelli, ed. digitale.
[2] Arendt, Ibidem.