Marco Riformetti | I giovani, la musica, il corpo
Tratto da Marco Riformetti, Tutti dentro con il biglietto del movimento. Gli “autoriduttori” nelle controculture giovanili degli anni ‘70, Tesi di laurea magistrale in “Sociologia e ricerca sociale”, maggio 2022
La musica non piace solo ai giovani, ovviamente. Ma il particolare rapporto che i giovani intrattengono con la musica è un rapporto del tutto diverso da quello che intrattengono gli adulti. Gli adulti, in genere, non si sparano in cuffia mega potenze sonore; gli adulti, in genere, non vanno ai concerti per ballare, muoversi, sudare, urlare… [22]
La questione del rapporto tra musica e corpo non nasce certo negli anni ‘70. Sin dagli albori del rock, alla metà degli anni ‘50, l’America puritana e benpensante si era scagliata violentemente contro il fenomeno rock’n’roll fino al punto di promuovere vere e proprie manifestazioni cittadine per impedire lo svolgimento dei concerti. Una delle componenti fondamentali e più dirompenti del primo rock era proprio la carica sessuale che si esprimeva nella performance degli artisti: tra tutti Elvis Presley, non a caso soprannominato “the pelvis” per i suoi movimenti del bacino durante le esibizioni. A noi oggi quei movimenti possono sembrare molto ingenui, ma ad una larga parte dell’America degli anni ‘50 sembravano l’espressione di una possessione demoniaca [23] soprattutto in quanto si supponeva (in certa misura non a torto) che Elvis li avesse acquisiti nelle sue frequentazioni dei juke joints di Memphis dove andava a seguire le esibizioni degli artisti neri di rhythm’n’blues).
«L’espressione «(to) rock and (to) roll» compare fin dal 1948 in un buon numero di canzoni americane associate a quello che viene in quel momento denominato «rhythm and blues»: questa etichetta di genere è in uso a partire dal 1949, quando viene introdotta nelle classifiche della rivista Billboard in sostituzione della ben più razzista «race records» (ovvero, i dischi rivolti a, e pensati per, il pubblico afroamericano). In questi contesti «(to) rock and (to) roll» allude tanto al ballare quanto all’atto sessuale, in perfetta coerenza con una tradizione ben radicata nelle pratiche musicali degli afroamericani.» (TOMATIS [2018])
A questi ed altri atteggiamenti gli amanti del rock attribuiscono un carattere “antagonista”: rompere i tabù della sessualità giovanile nell’America puritana degli anni ‘50 è già, di per sé stesso, un atto di rottura radicale, una breccia nella società perbenista e conformista, un presentarsi rivoluzionario dei giovani sulla scena sociale, del tutto indipendentemente dall’intenzione soggettiva degli artisti.
La musica pop viene definita dai movimenti underground una musica “nostra” che gli “sciacalli” – i padroni della musica – pretendono di rivenderci e a caro prezzo
«Il pop nasce in America e in Inghilterra come espressione di masse giovanili che vedono in questa musica un’originaria carica eversiva […] espressione degli oppressi, degli sfruttati, dei diseredati» (LIBRO BIANCO [1976], pag. 11)
Attribuire al pop un carattere antagonista già a partire dal piano puramente musicale (al di là dei contenuti dei testi) fa sì che anche le star vengano considerate “nostre” e “usate dai padroni per sfruttarci”.
L’idea che il rock sia nostro può essere usata strumentalmente per giustificare la richiesta di riprendercelo senza pagare, ma è anche una forma di proiezione sulla musica di emozioni e pensieri che la musica stessa è in grado di ispirare
«[Frank Zappa] era duro, confuso, sovvertiva, pur prendendo a prestito mille echi, il concetto di musica tradizionale? Era una delle voci più violente dell’altra America? Dunque era l’altra-America, la contro-America, il nuovo mondo. Dunque, per forza concludemmo, doveva essere politicamente con noi» (PINTOR [1975])
La potenza simbolica che la musica esercita su milioni di giovani è enorme e questo può condurre a voler cogliere nel discorso degli artisti propensioni che magari ci sono solo in minima parte. Nel suo libro autobiografico Andrea Valcarenghi ricorda questa frase
“Proletari minorenni di tutta Europa, ci stiamo unendo! Jimi Hendrix ci unisce, la cultura giovanile ci unisce” (VALCARENGHI [1973], pag. 123)
Si tratta del chiaro riconoscimento dell’influenza iconica che Jimi Hendrix esercita su moltissimi giovani della sua generazione. Mentre la musica di Jimi Hendrix, nel contesto del rock, è un’espressione culturale di avanguardia nella quale si coagulano diverse importanti forme di sperimentazione, le idee di Jimi Hendrix lo sono meno, come emerge da queste parole
«“Gli americani stanno combattendo in Vietnam per un mondo completamente libero. Non appena se ne andranno quella gente sarà alla mercé dei comunisti. Per questo motivo il pericolo giallo [la Cina] non deve essere sottovalutato. Ovviamente, la guerra è una cosa orribile, ma al momento è ancora l’unico modo sicuro per mantenere la pace”» (CROSS [2020])
Si tratta di parole che sembrano contraddire l’idea diffusa del Jimi Hendrix icona “no war” che a Woodstock suona l’inno americano trasformandolo in una specie di inno pacifista (sebbene lo stesso Jimi Hendrix si schernisca di fronte all’ipotesi che quel tipo di esecuzione possa essere considerata anche solo “eterodossa” [24]).
Che Jimi Hendrix simpatizzasse con l’intervento statunitense in Vietnam (soprattutto in origine) è confermato da molti elementi
«nell’estate del 1967, l’esercito americano lo invita a partecipare a una trasmissione radiofonica per promuovere l’arruolamento di giovani in grado di fornire adeguato ricambio alle truppe impegnate in Indocina. In quel contesto, insieme alla Experience, Jimi suona Purple Haze e rilascia un’intervista a seguito della quale il conduttore del programma, il dj Harry Harrison, lancia un discutibile slogan: “Decidete voi il vostro futuro: scegliete l’Esercito!”» (GUAITAMACCHI [2015])
Il fatto è che nel giovane Hendrix, così come in tantissimi altri giovani, convivono sentimenti contraddittori, confusi: c’è l’avversione contro la guerra ma c’è, al tempo stesso, l’adesione ad una certa idea di guerra “necessaria” e l’omaggio ai giovani che lottano negli Stati Uniti si mescola all’omaggio ai giovani che combattono per gli Stati Uniti. Questa contraddizione tra il mito e l’uomo è tutt’altro che rara; anzi, per certi versi, è proprio una certa ambiguità che permette libere interpretazioni della poetica rock.
E d’altra parte, se è vero che il mito ha grande importanza nella produzione del discorso, è altrettanto vero che non è il discorso sulla realtà che genera la realtà; non è il mito-Hendrix icona “pacifista” che genera la lotta contro la guerra, ma è il movimento reale di lotta contro la guerra che genera il mito-Hendrix, che ha bisogno del mito-Hendrix (e di altri miti). Così come, in definitiva, è l’elemento reale della guerra che determina quello della lotta contro la guerra, a cominciare dalla resistenza vietnamita. Se l’uomo-Hendrix parteggia per le truppe USA impegnate in Vietnam, in un certo senso, il mito-Hendrix parteggia contro le truppe.
L’influenza che alcuni artisti hanno sui giovani è molto grande perché il linguaggio della musica è un linguaggio diretto che arriva emotivamente ancor prima di arrivare intellettualmente. Le classi dirigenti sono consapevoli di questa influenza e monitorano gli artisti più influenti per capire chi possa essere sensibile alla propaganda “sovversiva” (FRANZINELLI [2022]) (non si dimentichi che gli USA sono il paese della “caccia alle streghe” a Hollywood e soprattutto del fatto che, alla fine degli anni ’60, gli USA sono impegnati in una guerra “calda” in Vietnam nel contesto internazionale di una guerra “fredda” contro il campo socialista).
La guerra in Vietnam, assieme alla repressione in patria e agli omicidi di Stato (Malcolm X, Martin Luther King, i Kennedy, le Pantere Nere…) produce, alla fine degli anni ’60, la radicalizzazione dei movimenti giovanili nordamericani con il gruppo dirigente dell’SDS (Students for a Democratic Society, l’organizzazione che aveva animato le lotte studentesche del Sessantotto) che diventa “Weathermen” e poi “Weather Underground” (RUDD [2009]) e persino con la caduta della pregiudiziale non violenta nella stessa SNCC (lo Student Nonviolent Coordinating Committee); si tratta di una radicalizzazione che ha bisogno anche di artisti-simbolo che sappiano interpretare persino con il loro modo di vivere (e di morire) una chiara alterità all’America borghese, bigotta, chiusa, guerrafondaia. La Janis Joplin che pratica liberamente la propria sessualità può così essere un simbolo della liberazione sessuale delle donne; l’uso di droghe e di alcool, la vita tirata ai limiti dei rockers possono diventare il simbolo di un’altra America che non pensa solo a timbrare il cartellino in ufficio, ad annaffiare il giardino e a guardare la televisione.
Ma la forza dell’industria culturale sta anche nella sua capacità di inglobare ciò che non gli è strutturalmente alternativo ed è per questo che abuso di droghe e alcool, eccessi, violenza, libera sessualità… da comportamenti stigmatizzati finiscono per diventare requisiti necessari dell’immaginario rock). Ed è così che nel 2020 Netflix, la più importante piattaforma di contenuti mediatici in streaming, pilastro dell’attuale mainstream, offre agli abbonati un documentario sull’uso degli acidi imperniato sull’esperienza personale di una serie di artisti (da Sting a Ben Stiller) [25].
Mentre Valcarenghi propone Hendrix come simbolo della chiamata alla lotta dei giovani, «Stampa Alternativa» definisce il rock “musica degli oppressi” (e infatti, nel discorso degli autoriduttori, le lotte ai concerti vengono interpretate come lotta di oppressi – i giovani squattrinati amanti del rock – contro oppressori – i padroni della musica –)
«La musica pop è nata come espressione della rivolta degli strati oppressi e sfruttati dal capitalismo amerikano e inglese, dai neri al nuovo proletariato studentesco, e appartiene oggi di fatto e di diritto alla cultura di tutto il movimento che nel mondo lotta per la liberazione dell’uomo e della donna dallo sfruttamento» (STAMPA ALTERNATIVA [1974b], pag. 15)
A cavallo tra la fine anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 la musica rock anglo-americana esprime un discorso politico piuttosto leggero e questo potrebbe anche sorprendere pensando al fatto che parliamo di anni caratterizzati dalla rivolta dei popoli di mezzo mondo contro i retaggi del colonialismo e da imponenti mobilitazioni operaie, studentesche, femministe, per i diritti civili… all’interno degli stessi paesi occidentali. Se questo avviene è perché il rock, come ogni altra espressione della cultura di massa, non possiede autonomamente alcun discorso sovversivo. La sovversione, se vogliamo chiamarla così, è più di carattere simbolico che non di carattere politico anche se, come sappiamo, anche i simboli hanno una grande importanza, specialmente per i giovani.
Qualcuno propone una sorta di “racconto delle origini”: è esistita un’età aurea in cui il rock non era stato ancora fagocitato dall’industria culturale ed è proprio a questa purezza originaria che si deve tornare
«Il pop nasce in America e Inghilterra come espressione di masse giovanili che vedono in questa musica un’originaria carica eversiva: è un qualche modo (che è difficile analizzare con precisione) espressione degli oppressi, degli sfruttati, dei diseredati. Anche se i fenomeni, macroscopizzati al livello di “arte”, mostrano già la faccia perbene della cultura borghese, è ben possibile ipotizzare un’origine d’altro tipo. Un’origine spontanea e popolare, un modo di vita alternativo, una cultura diversa che riesce a sopravvivere e a condizionare la cultura dominante» (LIBRO BIANCO [1976], pag. 11 [26])
Si deve dunque «estrarre questo carattere popolare dal rock’n’roll, dal jazz e dal blues di oggi» (LIBRO BIANCO [1976]) per distillare quella carica “eversiva” che la musica popolare conteneva alle origini.
L’idea di considerare “buona” solo la musica che si fa veicolo di propaganda politica è ovviamente irricevibile; è però condivisibile l’idea di usare la musica come mezzo di comunicazione di idee, oltre che di emozioni, sentimenti, stati d’animo… e sono dunque da guardare con favore esperienze artistiche più impegnate, mentre è limitativo un approccio che si limita al solo piano “sesso, droghe e rock’n’roll”, specialmente in un paese come gli Stati Uniti, profondamente segnato da razzismo e sfruttamento, nel momento in cui vengono scatenate guerre per rafforzare il dominio internazionale (come in Indocina) o vengono rovesciati governi legittimi attraverso l’appoggio a golpe militari (come in Cile).
Dopodiché – e anche in questo elemento risiede la forza della musica (e dell’arte in genere) – si può ascoltare Wagner senza dover aderire alla sua retorica nazionalistica e reazionaria oppure ascoltare la Messa da Requiem di Mozart pur senza capire una parola di latino.
Note
[22] E anche quando non si dimenano e si pongono in uno stato di “ascolto calmo” i giovani spesso lo fanno ricorrendo contemporaneamente all’uso di sostanze psicotrope che li fanno entrare in uno stato di alterazione, anche parziale, della presenza. Un tipo di esperienza che in genere gli adulti non fanno (più).
[23] Questo è doppiamente sorprendente se si pensa che ben presto Elvis sarebbe stato convertito nell’icona inoffensiva di un’America fatta di bravi ragazzi dai buoni sentimenti, omologati, rassicuranti.
[24] Angie Martoccio, Jimi Hendrix: «L’inno americano? Lo suonavo sempre a scuola», in «Rolling Stone» online, 14 agosto 2019.
[25] Netlix, Un buon trip: avventure psichedeliche, 2020.
[26] Il “libro bianco” sul pop in Italia è una pubblicazione anonima, ma viene in genere ritenuta un’opera di “area Ombre Rosse”.