Marco Riformetti | I giovani come segmento sociale autonomo
Tratto da Marco Riformetti, Tutti dentro con il biglietto del movimento. Gli “autoriduttori” nelle controculture giovanili degli anni ‘70, Tesi di laurea magistrale in “Sociologia e ricerca sociale”, maggio 2022
Quella che esista (o meno) un’identità “generazionale” che stratifica la composizione sociale ovvero il fatto che l’età anagrafica permetta o meno di identificare uno strato socio-culturalmente distinto – i Giovani – è una vecchia questione. Certamente esistono i giovani come persone identificabili su base generazionale, ma questi giovani possono abitare in una grande villa in collina oppure in un piccolo appartamento di un quartiere degradato, possono frequentare una scuola privata oppure una scuola serale: possono avere – ed in effetti hanno – esperienze di vita completamente disomogenee.
Ricorrendo alla dicotomia schematica ricco/povero possiamo provare a porre la questione in questo modo: ci sono i ricchi e ci sono i poveri; tra i ricchi ci sono i ricchi giovani e i ricchi non più giovani, così come tra i poveri ci sono i poveri giovani e i poveri non più giovani. Dal punto di vista dell’“identità sociale” c’è più vicinanza tra giovani ricchi e giovani poveri oppure tra ricchi giovani e ricchi non più giovani?
Si tratta di un punto importante e i movimenti che studiamo in questa ricerca mostrano di averlo compreso molto bene. Quelli, del resto, erano anni in cui l’analisi di classe andava di moda perché, in definitiva, andava di moda pensare che esistessero le classi.
La domanda che abbiamo di fronte è la seguente: esistono, oltre all’età anagrafica, altre caratteristiche che accomunano i giovani a prescindere dalla loro appartenenza sociale?
In astratto la risposta è affermativa: esiste uno “specifico giovanile”. Per esempio
“è noto che adolescenti e giovani nella società contemporanea consumano più musica degli adulti, anche quando il confronto avviene entro gli stessi strati sociali” (ROSITI [1978])
Il punto è se queste caratteristiche siano o meno sufficienti per delineare un vero e proprio strato sociale. Ovviamente, per alcuni lo sono e tra questi “alcuni” troviamo anche i movimenti che promuovono le lotte ai concerti, gli “autoriduttori”, che scelgono i giovani come specifico interlocutore del proprio discorso politico-culturale.
Negli anni ‘60 i giovani cessano definitivamente di essere semplici “figli di qualcuno” e conquistano una propria relativa autonomia; cresce la dimensione generazionale alla quale concorre anche l’estensione della scolarizzazione soprattutto negli istituti tecnici in risposta alla richiesta di maggiore specializzazione che viene dalle imprese (VENTO [1974]).
Particolarmente interessante è l’estensione della scolarità serale
«solo da pochi anni la scolarità serale è diventata di massa e interessa centinaia di migliaia di famiglie dei lavoratori» (AA.VV. [1969], pag.12)
Torino e Milano sono le città con il maggior numero di lavoratori-studenti (ROSSI [2021])
«A Milano vi è la più alta concentrazione di lavoratori-studenti d’Italia (circa 80 mila nel 1970). Per il carattere industriale della città, le agitazioni dei lavoratori-studenti creano un ponte naturale tra le lotte nella scuola e quelle in fabbrica» (BALESTRINI, MORONI [2015], pag. 392)
Qualcuno propone addirittura un’analogia tra scuole serali e fabbriche sulla base del fatto che le scuole producono “forza-lavoro con accresciuta capacità produttiva” (SOCCORSO ROSSO [1976]) e quindi si inseriscono perfettamente nel processo di riproduzione allargatadel capitale (cfr. MARX [1980]). Non a caso il filosofo francese Louis Althusser indica proprio nella scuola il principale “apparato ideologico di Stato” ovvero la principale istituzione deputata alla riproduzione ideologica del modo di produzione capitalistico (cfr. ALTHUSSER [1977]).
La scolarità serale è una componente particolarmente importante della scolarità generale perché costituisce un significativo anello di congiunzione tra il mondo del lavoro e il mondo della scuola
«nel lavoratore studente si intersecano due linee di potenziamento verso cui premono oggi le forze più avanzate: quella del lavoratore impegnato in uno sforzo sociale di controllo del mondo in cui opera e che lo circonda, e quella dello studente che rifiuta la dimensione settoriale e confronta la scuola con la società e insieme le condanna» (Vittorio Foa in AA.VV. [1969], pag. 10)
Nella misura in cui i giovani prolungano la loro esperienza scolastica si allunga anche il periodo di frequentazione dei loro pari e si consolida il loro riconoscersi reciprocamente come giovani (BANTI [2017]). Più i giovani stanno a scuola e più si confrontano tra giovani e si identificano come tali; più i giovani lavoratori “tornano a scuola” (serale), più costruiscono un ponte tra giovani studenti e giovani lavoratori.
Basta questo per dichiarare l’emersione di una soggettività “generazionale” che sopravanza quella “di classe”? Se è corretta l’opinione dell’autore di questa ricerca che la dimensione sociale debba essere considerata sempre primaria rispetto ad ogni altra pur importante dimensione (di età, di genere, di “razza” [21]…) la risposta è no.
E d’altra parte se ai cancelli dei Palasport, pronti a scontrarsi con la polizia per ottenere riduzioni o ingressi gratuiti ed assistere ai concerti pop/rock, si presentano migliaia di giovani, evidentemente, un motivo c’è.
Note
[21] Ovviamente qui usiamo la parola “razza” nel senso in cui la usano i movimenti antagonisti negli Stati Uniti quando affrontano e si battono contro i pregiudizi razziali diffusi in quel paese. Per esempio, cfr. DAVIS [2018].