Karl Marx | L’impiego del lavoro artistico nella società capitalistica
Brano tratto dalla raccolta Scritti sull’arte curata da Carlo Salinari, Laterza, Roma-Bari, 1976.
Quindi il processo di produzione capitalistico non consiste neppure nella produzione di merci soltanto. Esso è un processo che assorbe lavoro non pagato, [che] fa delle materie prime e dei mezzi di lavoro — dei mezzi di produzione — mezzi per l’assorbimento di lavoro non pagato.
Da ciò che si è detto fin qui, risulta che l’essere lavoro produttivo è una determinazione del lavoro che, anzitutto, non ha assolutamente niente a che fare col contenuto determinato del lavoro, con la sua utilità particolare o col valore d’uso specifico in cui esso si rappresenta.
La stessa specie di lavoro può essere produttiva o improduttiva.
Per esempio il Milton, che scrisse il Paradiso perduto per cinque sterline, fu un lavoratore improduttivo. Invece lo scrittore che fornisce lavori dozzinali al suo editore è un lavoratore produttivo. Il Milton produsse il Paradiso perduto per lo stesso motivo per cui un baco da seta produce seta. Era una manifestazione della sua natura. Egli vendette successivamente il prodotto per cinque sterline. Ma il proletario letterario di Lipsia, che fabbrica libri (per esempio compendi di economia politica) sotto la direzione del suo editore, è un lavoratore produttivo; poiché fin dal principio il suo prodotto è sussunto sotto il capitale, e viene alla luce soltanto per la valorizzazione di questo. Una cantante che vende il suo canto di propria iniziativa è una lavoratrice improduttiva. Ma la stessa cantante, ingaggiata da un imprenditore che la fa cantare per far denaro, è una lavoratrice produttiva; poiché essa produce capitale [27].
La produzione immateriale, anche quando viene effettuata soltanto per lo scambio, e quindi produce merci, può essere di due specie:
1) Il risultato di essa sono merci, valori d’uso, che possiedono una forma indipendente e separata dai produttori e dai consumatori, che quindi possono sussistere in un intervallo tra produzione e consumo, che in questo intervallo possono circolare come merci vendibili, come nel caso di libri, di quadri, in breve di tutti i prodotti artistici, i quali sono separati dalla prestazione artistica dell’artista che li eseguisce. In questo caso la produzione capitalistica non può trovare che un’applicazione molto limitata, in quanto, per esempio, uno scrittore sfrutta per un’opera collettiva — per esempio per un’enciclopedia — una moltitudine di altri scrittori come collaboratori. Qui, in genere, non ci si allontana dalle forme di transizione verso la produzione capitalistica; infatti i diversi produttori scientifici o artistici, artigiani o professionisti, lavorano per un capitale commerciale comune appartenente agli editori; questo è un rapporto che non ha niente a che fare col modo di produzione capitalistico vero e proprio, e che non è stato sussunto sotto di esso neppure formalmente. Il fatto che in queste forme di transizione lo sfruttamento del lavoro sia spinto proprio al massimo non cambia niente alla cosa.
2) La produzione non è separabile dall’atto del produrre, come nel caso di tutti gli artisti esecutori, degli oratori, degli attori, degli insegnanti, dei medici, dei preti ecc. Anche in questo caso, il modo di produzione capitalistico non trova che un’applicazione molto limitata, e non può essere applicato, data la natura di queste attività, altro che in alcune sfere. Negli istituti d’istruzione, per esempio, gli insegnanti possono essere, per l’imprenditore dell’istituto, dei semplici salariati, come accade in Inghilterra, dove simili fabbriche d’istruzione sono numerose. Benché essi non siano lavoratori produttivi rispetto agli alunni, sono tali rispetto al loro imprenditore. Egli scambia il suo capitale con la loro capacità lavorativa e si arricchisce mediante questo processo. Lo stesso si può dire per le imprese di teatri, di locali di divertimento ecc. Nei confronti del pubblico l’attore è un artista, ma nei confronti del suo impresario l’attore è lavoratore produttivo. Tutte queste manifestazioni della produzione capitalistica in questo campo sono così insignificanti, se le paragoniamo con l’insieme della produzione, che esse possono essere completamente trascurate [28].
In questo modo è anche stabilito in maniera assoluta che cosa è il lavoro improduttivo. È lavoro che non si scambia con capitale, ma che si scambia direttamente con reddito, quindi con salario o profitto (naturalmente anche con le diverse rubriche che partecipano al profitto del capitalista nella veste di consoci [copartners], come interesse e rendita). Là dove ogni lavoro in parte si paga ancora da sé (come per esempio il lavoro agricolo del servo della gleba), in parte si scambia direttamente col reddito (come il lavoro manifatturiero delle città asiatiche), non esiste né capitale né lavoro salariato nel senso dell’economia politica borghese. Queste definizioni non sono dunque ricavate dalle caratteristiche materiali del lavoro (né dalla natura del suo prodotto, né dalla determinatezza del lavoro in quanto lavoro concreto), ma dalla forma sociale determinata, dai rapporti sociali di produzione in cui questo si realizza. Un attore per esempio, perfino un pagliaccio (clown), in base a queste definizioni è un lavoratore produttivo se lavora al servizio di un capitalista (dell’imprenditore [entrepreneur]), al quale egli restituisce più lavoro di quanto ne riceve da lui sotto forma di salario, mentre un sartuccio che va in casa del capitalista a rammendargli i pantaloni gli procura un semplice valore d’uso, è un lavoratore improduttivo. Il lavoro del primo si scambia con capitale, quello del secondo con reddito. Il primo lavoro crea un plusvalore; nel secondo si consuma un reddito.
Il lavoro produttivo e improduttivo viene qui esaminato sempre dal punto di vista del possessore di denaro, del capitalista, non da quello del lavoratore, e da ciò [29] le assurdità del Ganilh e di altri, i quali comprendono tanto poco il problema, da sollevare la questione se il lavoro, o il servizio o la funzione della prostituta, [del] lacche ecc. frutti denaro. Uno scrittore è un lavoratore produttivo, non in quanto produce delle idee, ma in quanto arricchisce l’editore che pubblica i suoi scritti, o in quanto è il lavoratore salariato di un capitalista [30].
Note
[27] K. MARX, Theorien cit., pp. 376-7 [tr. it., cit., pp. 599-600].
[28] K. MARX, Theorien cit., pp. 385-6 [tr. it., cit., pp. 610-1].
[29] Vale a dire dal fatto di esaminarlo, invece, dal punto di vista del lavoratore.
[30] K. MARX, Theorien cit., pp. 127-8 [tr. it., cit., pp. 267-7].