John Bellamy Foster | La “dialettica della natura” di Engels nell’Antropocene
John Bellamy Foster, La Dialettica della Natura di Engels nell’antropocene, Monthly Review vol. 72, n.6 | monthlyreview.org | Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare | Per il 200° anniversario della nascita di Friedrich Engels (28/11/1820-05/08/1895)
Nel capitolo «Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia» del suo Dialettica della natura, Friedrich Engels affermava: «Ogni cosa influenza ed è influenzata da ogni altra cosa» [1]. Oggi, a duecento anni dalla sua nascita, Engels si può considerare uno dei fondatori del pensiero ecologico moderno. Se la teoria della frattura metabolica di Karl Marx è alla base dell’ecologia odierna ispirata al materialismo storico, resta pur vero che il contributo di Engels alla nostra comprensione del problema ecologico nel suo insieme rimane indispensabile – un contributo basato sulle sue approfondite ricerche sul metabolismo universale della natura, che rafforzarono e ampliarono l’analisi di Marx. Come afferma Paul Blackledge in un recente studio del pensiero di Engels, «La concezione di Engels di una dialettica della natura apre uno spazio attraverso il quale le crisi ecologiche» possono essere ricondotte alla «natura alienata delle relazioni sociali capitaliste» [2]. È proprio in virtù della completezza del suo approccio alla dialettica della natura e della società che l’opera di Engels può contribuire a chiarire le sfide epocali che l’umanità deve fronteggiare nell’antropocene, e la crisi ecologica planetaria che caratterizza l’epoca attuale.
In corsa verso la rovina
La rilevanza contemporanea della critica ecologica di Engels può essere colta a partire da un celebre commento del 1940 di Walter Benjamin, citato sovente dagli ecosocialisti, tratto dai «Paralipomeni» (o note a margine) delle sue «Tesi sul concetto di storia». Afferma Benjamin: «Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia del mondo. Forse le cose sono diverse. Forse le rivoluzioni sono un tentativo dei passeggeri del treno, cioè dell’umanità, di azionare il freno di emergenza». Secondo la nota interpretazione di Michael Löwy dell’affermazione di Benjamin, «L’immagine suggerisce implicitamente che se l’umanità permettesse al treno di proseguire il suo percorso – già segnato dalla struttura in acciaio dei binari – e nulla arrestasse questa corsa precipitosa, andremmo incontro a un disastro, a uno schianto o a una caduta nell’abisso» [3].
La drammatica immagine di Benjamin di una locomotiva in corsa, e la conseguente necessità di concepire la rivoluzione come l’attivazione di un freno di emergenza, richiamava un brano simile dell’Anti-Dühring di Engels, scritto nei tardi anni Settanta dell’Ottocento – un’opera con cui Benjamin, come tutti i socialisti del suo tempo, aveva familiarità. Qui Engels aveva affermato che la classe capitalista era «una classe sotto la cui guida la società corre verso la rovina, come una locomotiva il cui macchinista è troppo debole per aprire le valvole di sicurezza che si sono bloccate». Era proprio l’incapacità del capitale di controllare «le forze produttive [che] si sono sottratte al suo controllo», ivi compresi gli effetti distruttivi imposti all’ambiente naturale e sociale, ciò che stava conducendo «tutta la società borghese alla rovina o al rovesciamento». Perciò, sosteneva Engels, «a meno che tutta la società moderna debba andare in rovina, deve aver luogo un rivoluzionamento del modo di produzione e di distribuzione».[4]
La metafora di Engels presentava una lieve differenza rispetto a quella successiva di Benjamin: l’obiettivo era cioè aprire la valvola di sicurezza allo scopo di impedire l’esplosione della caldaia – una causa di disastri ferroviari piuttosto comune nella seconda metà dell’Ottocento. [5] Se il sistema è «in corsa verso la rovina», la rivoluzione qui, più che limitarsi ad arrestare l’avanzata, ha la funzione di esercitare un controllo sulle forze di produzione incontrollate. In effetti, l’argomentazione ecologica ed economica di Engels non si fondava, come avverrebbe oggi, sull’idea che la produzione fosse eccessiva rispetto alle capacità complessive del pianeta di sostenerla – un punto di vista praticamente inesistente nell’epoca in cui egli scriveva. La sua principale preoccupazione ecologica riguardava invece la distruzione indiscriminata provocata dal capitalismo sugli ambienti locali e regionali – sebbene su una base sempre più globale. Gli effetti visibili di questa distruzione erano evidenti nell’inquinamento industriale, nella deforestazione, nel degrado dei suoli e nel generale deterioramento delle condizioni ambientali (tra cui le periodiche epidemie) della classe operaia.
Engels citava anche la devastazione di interi ambienti (e dei loro climi), come nel caso della distruzione ecologica che aveva svolto un ruolo tanto importante nel crollo di alcune civiltà antiche, soprattutto a causa della desertificazione, e i danni ambientali provocati dal colonialismo alle culture e ai modi di produzione tradizionali. [6] Come Marx, Engels era profondamente angosciato dagli «olocausti vittoriani» del colonialismo britannico, tra cui la creazione della carestia in India attraverso la distruzione dell’ecologia e dell’infrastruttura idrologica del Paese, e la catastrofica espropriazione e lo sterminio inflitti all’ecologia e alla popolazione dell’Irlanda. [7]
Vero è che, nelle stesse pagine in cui viene sollevata la questione «rovina o rivoluzione», troviamo anche il brano più produttivista (e in questo senso all’apparenza prometeico) di tutte le opere di Marx ed Engels. [8] Così, nell’Anti-Dühring, Engels dichiarava che l’avvento del socialismo avrebbe reso possibile «lo sviluppo incessantemente accelerato delle forze produttive, e… un aumento praticamente illimitato della produzione stessa». [9] Tuttavia, nel contesto in cui scriveva Engels, questo non evidenzia particolari contraddizioni.
La visione secondo cui una società futura, liberata dall’irrazionalità della produzione capitalista, avrebbe reso possibile quello che per i parametri dell’Ottocento sarebbe parso uno sviluppo pressoché illimitato della produzione era, naturalmente, una visione praticamente universale tra i pensatori radicali di quel tempo. Si trattava di un riflesso naturale del livello di sviluppo materiale ancora basso che dominava la maggior parte del mondo all’epoca della Rivoluzione Industriale, rispetto alle dimensioni ancora incommensurabilmente vaste della terra stessa. La produzione manifatturiera mondiale era destinata ad aumentare di «circa 1730 volte» nei centocinquant’anni compresi tra il 1820, quando nacque Engels, all’epoca della Rivoluzione Industriale ottocentesca, e il 1970, quando nacque il moderno movimento ecologista, all’epoca della prima Giornata della Terra. [10] Per di più, nell’analisi di Engels (come in quella di Marx), la produzione non viene mai considerata come un fine in sé, bensì come un semplice mezzo per la creazione di una società più libera e più equa, impegnata in un processo di sviluppo umano sostenibile. [11]
Due secoli dopo la sua nascita, la profonda capacità di Engels di comprendere la natura sistematica della distruzione dell’ambiente naturale e sociale da parte del capitalismo, nonché di elaborare una prospettiva naturalistica dialettica, fa della sua opera, accanto a quella di Marx, un punto di partenza per una critica ecosocialista rivoluzionaria contemporanea. Come ha osservato l’antropologa marxista Eleanor Leacock, Engels, nella Dialettica della natura, cercò di sviluppare le basi concettuali per la comprensione della «completa interdipendenza delle relazioni sociali umane e delle relazioni dell’uomo con la natura». [12]
La vendetta della natura
I problemi ecologici sono il prodotto dell’interrelazione di sistema e scala. Nell’analisi di Engels è soprattutto il sistema a essere messo in evidenza. Nella sua grande opera La situazione della classe operaia in Inghilterra, scritta quando aveva poco più di vent’anni, si concentra sulle conseguenze distruttive di carattere ambientale ed epidemiologico della Rivoluzione Industriale nelle grandi città manifatturiere, in particolare Manchester. Sottolinea le orripilanti condizioni ecologiche imposte agli operai dal nuovo sistema industriale di fabbrica, rappresentate dall’inquinamento, dalla contaminazione tossica, del deterioramento fisico, dalle periodiche epidemie, dall’alimentazione insufficiente e dall’elevata mortalità della classe operaia – tutte condizioni associate a un estremo sfruttamento economico.
La situazione della classe operaia in Inghilterra rimane insuperata nella sua veemente denuncia dell’«omicidio sociale» perpetrato dal capitalismo ai danni della popolazione all’epoca della Rivoluzione Industriale. [13] Marx, al quale il libro di Engels servì da punto di partenza per i suoi studi epidemiologici nel Capitale, avrebbe su queste basi indicato le «periodiche epidemie», così come la distruzione del suolo, tra le prove della frattura metabolica attuata dal capitalismo. In Germania, l’analisi dell’eziologia delle malattie condotta da Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra esercitò un’influenza ben al di là degli ambienti socialisti. Rudolf Virchow, il medico e patologo tedesco famoso come autore de La patologia cellulare, citò con approvazione il libro di Engels nelle sue pionieristiche opere dedicate all’epidemiologia sociale. [14] Questa concezione ambientale, oltre che economica, delle condizioni materiali della società di classe capitalista appare evidente nell’intera opera di Engels. Inoltre, nel suo incessante tentativo di fondere la prospettiva materialista e quella dialettica sulla natura e sulla società, Engels approdò infine alla tesi secondo cui la «natura», di cui gli esseri umani costituivano una parte emergente, era la «prova della dialettica» – un’affermazione che risulta oggigiorno più comprensibile se si afferma che l’ecologia è la prova della dialettica. [15]
Nella sua forma più compiuta – evidenziata dalle opere della sua maturità quali la Dialettica della natura e l’Anti-Dühring – laprospettiva evoluzionista-ecologica di Engels ravvisa la differenza tra gli esseri umani e gli animali non umani nel ruolo svolto dal lavoro nella trasformazione e nel dominio dell’ambiente, che permette all’«uomo» di divenire «il vero, consapevole signore della natura, poiché allora [in una società futura] egli diviene padrone della sua organizzazione sociale». [16] Nondimeno, accanto a questa tendenza verso un maggiore dominio della natura, sotto alcuni aspetti, già manifesta sotto il capitalismo, si celava una tendenza sistematica verso crisi ecologiche sempre più ampie, dal momento che ogni tentativo di conquistare la natura sfidando le leggi naturali dei limiti non poteva che condurre, in ultima analisi, a catastrofi ecologiche. Ciò si poteva riscontrare anzitutto, a metà Ottocento, nelle devastazioni ecologiche provocate dal colonialismo. Esclama Engels:
Prendiamo il caso dei piantatori spagnoli a Cuba, che bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per una generazione di piante di caffè altamente remunerative. Cosa importava loro che dopo di ciò le piogge tropicali portassero via l’ormai indifeso humus e lasciassero dietro di sé solo nude rocce? Nell’attuale modo di produzione viene preso prevalentemente in considerazione, sia di fronte alla natura che di fronte alla società, solo il primo, più palpabile risultato. E poi ci si meraviglia ancora che gli effetti più remoti delle attività rivolte a un dato scopo siano completamente diversi e per lo più portino allo scopo opposto. [17]
Per Engels, il punto di partenza per un approccio razionale all’ambiente andava cercato nella celebre massima di Francis Bacon secondo cui «non si vince la natura se non obbedendole» – cioè scoprendo le sue leggi e conformandosi a esse. [18] Ma nella visione di Marx ed Engels, il principio baconiano, nella misura in cui veniva applicato in una società borghese, veniva considerato anzitutto come un «inganno» mirante a conquistare la natura allo scopo di assoggettarla alle leggi capitaliste dell’accumulazione e della concorrenza. [19] La scienza veniva ridotta a semplice appendice dell’accumulazione del profitto, che concepiva i limiti della natura come meri ostacoli da superare. Al contrario, l’applicazione razionale della scienza nella società nel suo complesso era possibile soltanto in un sistema in cui i produttori associati regolassero il rapporto metabolico tra l’uomo e la natura, senza alienazione e in accordo con le autentiche esigenze e potenzialità umane e con le necessità della riproduzione a lungo termine. Ciò evidenziava la contraddizione che opponeva da un lato la dialettica della scienza stessa, sempre più consapevole del nostro essere «parte della natura» e della conseguente necessità di controllo sociale, e dall’altro la miope spinta del capitalismo verso l’accumulazione all’infinito, con la sua innata incontrollabilità e noncuranza verso le conseguenze ecologiche. [20]
È questa prospettiva profondamente critica e materialista a indurre Engels a sottolineare l’insensatezza della concezione dominante di conquista della natura – come se la natura fosse un territorio straniero da sottomettere a piacere, e come se l’esistenza dell’umanità non fosse inserita nel metabolismo del pianeta. Questi tentativi di conquistare la terra non potevano che condurre a quella che Engels definì metaforicamente la «vendetta» della natura, via via che venivano superate varie soglie critiche o punti di non ritorno:
Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, imprevisti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell’Asia Minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l’attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e i depositi dell’umidità. Gli italiani della regione alpina, nel consumare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord, non presentivano affatto che, così facendo, scavavano la fossa all’industria pastorizia sul loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell’anno quell’acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l’epoca delle piogge… Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato. [21]
Attraverso un’azione consapevole in accordo con la scienza razionale, gli esseri umani erano in grado di elevarsi in gran parte al disopra dell’«influenza di effetti imprevisti e forze incontrollate», cogliendo «gli effetti più remoti del nostro intervento nel corso abituale della natura». Tuttavia, anche in relazione ai «popoli più progrediti dell’epoca attuale», era possibile cogliere «una colossale sproporzione tra gli obiettivi prefissati e i risultati ottenuti», per cui «dominano gli effetti imprevisti e… le forze incontrollate sono più potenti di quelle messe in movimento secondo i piani». Le economie delle merci a base di classe raggiungevano «i risultati desiderati soltanto eccezionalmente», e nella maggior parte dei casi ottenevano «l’esatto opposto». Per questo, sotto il capitalismo era impossibile un approccio razionale, scientifico e sostenibile al rapporto dell’umanità con la natura e con la società. [22]
È significativo che la stessa prospettiva generale sul capitalismo e l’ecologia enunciata da Engels trovasse eco, pochi decenni dopo, in Ray Lankester – protégé di Charles Darwin e Thomas Huxley, amico intimo di Marx (nonché conoscente di Engels) e principale biologo britannico della generazione successiva a Darwin. Lankester era un socialista fabiano, che aveva letto Il capitale di Marx subendone l’influenza. Nel suo volume del 1911 The Kingdom of Man («Il regno dell’uomo», n.d.t.) – che riuniva la sua Romanes Lecture «Nature’s Insurgent Son» tenuta a Oxford nel 1905, il suo discorso del 1906 in veste di presidente della British Association for the Advancement of Science e il suo articolo «Nature’s Revenges» [«Le vendette della natura», n.d.t.] dedicato alla «malattia del sonno» africana – Lankester ribadì che il crescente dominio dell’uomo sulla terra stava accrescendo, contraddittoriamente, i rischi di catastrofi ecologiche su scala planetaria.
Così, nel suo capitolo sulle «vendette della natura», l’autore definì il genere umano «perturbatore della natura» e perciò responsabile di periodiche malattie epidemiche che minacciavano tanto l’umanità quanto altre specie. «Appare legittimo ritenere», scrive Lankester, «che ogni malattia a cui gli animali [compreso il genere umano] (e probabilmente anche le piante) vanno soggetti, salvo casi episodici ed estremamente eccezionali, sia dovuta all’interferenza dell’uomo». [23] Per di più, questo poteva essere fatto risalire a un sistema dominato dai «mercati» e da «operatori finanziari cosmopoliti» che indebolivano qualunque approccio razionale e scientifico mirante a conciliare natura e produzione umana. [24] In seguito Lankester avrebbe sviluppato ulteriormente questa argomentazione, scrivendo sistematicamente a proposito della «cancellazione della natura a opera dell’uomo» (The Effacement of Nature by Man). [25]
Come Marx ed Engels nella loro maturità, Lankester riteneva che il «Regno dell’Uomo» fosse destinato a provocare una crisi ecologica permanente per l’umanità – una crisi generata dal capitalismo che, qualora le condizioni naturali fossero state calpestate da una rapace accumulazione capitalista, avrebbe condotto a un catastrofico declino dell’ambiente umano. Se non voleva distruggere le basi stesse della sua esistenza, dunque, l’umanità non aveva altra scelta che mettere sotto controllo la produzione, accantonando i miopi dettami dell’accumulazione capitalista e sostituendoli con quelli di una scienza razionale, in linea con uno sviluppo co-evolutivo.
La dialettica della natura e la storia
Le intuizioni ecologiche di Engels sono inseparaboli dalla sua indagine sulla dialettica della natura, da cui trassero origine. Eppure, il principio numero uno di quella che sarebbe divenuta nota come tradizione filosofica del marxismo occidentale era che non si poteva affermare che la dialettica si applicasse alla natura esterna – in altre parole, ciò che Engels definiva «la cosiddetta dialettica oggettiva» non esisteva al di là del contesto attivo del soggetto umano. [26] Le relazioni dialettiche, e perfino gli oggetti del ragionamento dialettico, furono così confinate alla sfera della storia umana, in cui si poteva affermare che soggetto e oggetto erano identici, giacché ogni realtà non riflessiva (trans-fattuale) esterna alla coscienza e all’azione umana veniva esclusa dall’analisi. [27]
Ma con questa totale esclusione della dialettica della natura operata all’interno della tradizione marxista occidentale, la straordinaria potenza delle indagini di Engels in questo campo e l’enorme influenza da esse esercitata sul pensiero evoluzionista ed ecologico nell’ambito delle scienze naturali e sul marxismo andarono perdute, salvo che per un numero relativamente ridotto di scienziati di sinistra e materialisti dialettici. Incapace di cogliere il legame tra la dialettica e la natura materiale, la tradizione filosofica del marxismo occidentale ebbe la tendenza a relegare tanto le scienze naturali quanto la natura esterna in quanto tale nell’ambito del meccaniscismo e del positivismo. La conseguenza fu il crearsi di un profondo fossato tra la concezione dominante della filosofia marxiana nel secondo dopoguerra in Occidente e le scienze naturali (e tra il marxismo occidentale e la concezione materialista della natura) – e paradossalmente proprio nel momento in cui il movimento ecologista stava emergendo come forza politica importante. [28]
Il recupero delle intuizioni del materialismo storico classico in questo campo richiede quindi il recupero, in un certo senso, della concezione di Engels della dialettica della natura. [29] Ciò, a sua volta, implica la necessità di rigettare la liquidazione – sommaria, superficiale e spesso fallace – dell’approccio di Engels alla dialettica della natura, che solitamente polemizza contro le tre «leggi» dialettiche generali che Engels ricavò da G. W. F. Hegel e alle quali diede un nuovo significato materialista: (1) la trasformazione della quantità in qualità e viceversa; (2) l’identità o unità degli opposti; e (3) la negazione della negazione. [30] Scrivendo a proposito della «filosofia della scienza di Engels», per esempio, Peter T. Manicas ha lamentato il carattere «pressoché vacuo» di queste leggi. [31] Tuttavia, nell’analisi di Engels, esse non vengono concepite come leggi riduttive e fisse nell’accezione positivista, bensì, per utilizzare una terminologia di oggi, come «principi ontologici» ampi e di natura dialettica, equivalenti a enunciati elementari quali il principio dell’uniformità della natura, il principio della perpetuità della sostanza e il principio di causalità. L’approccio di Engels alla dialettica sfida anzi sotto vari aspetti la concezione di questi stessi principi nella forma in cui venivano enunciati dalla scienza del suo tempo. [32]
La valutazione forse più succinta e penetrante del contributo di Engels alla dialettica della natura da parte di un naturalista si può ritrovare in un opuscolo del 1936 intitolato Engels and Science, opera del celebre scienziato marxista J. D. Bernal, docente di fisica e cristallografia ai raggi X presso il Birkbeck College dell’università di Londra. Bernal presenta Engels come filosofo e storico della scienza, che non si poteva certo «definire un dilettante» alla luce dell’ampiezza dei contatti scientifici da lui stabiliti a Manchester, e che aveva raggiunto livelli di analisi di gran lunga superiori a quelli dei filosofi della scienza di professione suoi contemporanei, quali Herbert Spencer e William Whewell in Gran Bretagna e Friedrich Lange in Germania. [33] Dietro la profonda comprensione di Engels dello sviluppo storico della scienza nella sua epoca, secondo Bernal, vi era una percezione dialettica in cui «la natura veniva sempre concepita come insieme e come processo». [34] Sotto questo aspetto, Engels aveva attinto criticamente a Hegel, cogliendo come dietro la presentazione idealista del cambiamento dialettico esposta da quest’ultimo nella sua Logica vi fossero processi che si potevano definire oggettivamente inerenti alla natura, così come veniva colta dalla cognizione umana.
Riferendosi alla prima delle tre «leggi» dialettiche o principi ontologici che Engels aveva ripreso da Hegel – come i cambiamenti quantitativi possano condurre a trasformazioni qualitative e viceversa – Bernal ne sottolinea il carattere essenziale per il pensiero scientifico sulla natura. «Con notevole intuito, Engels afferma: “Le cosiddette costanti della fisica non sono per la maggior parte che designazioni di punti nodali in cui l’incremento o la riduzione quantitativa del moto causano un cambiamento qualitativo nello stato del corpo in questione…”. Soltanto oggi iniziamo a renderci conto della sostanziale correttezza di queste osservazioni, e dell’importanza di questi punti nodali». A tale riguardo, Bernal sottolinea come Engels indichi la tavola periodica di Dmitri Mendeleev come modello esemplare di trasformazioni qualitative causate da continui cambiamenti quantitativi, nonché il rapporto tra i concetti base di Engels e le scoperte legate all’ascesa della teoria quantistica. [35] L’approccio di Engels, come osservava il matematico marxista britannico Hyman Levy, anticipava il concetto di «cambiamento di fase» utilizzato dalla fisica moderna. [36]
Oggi sappiamo che questo principio dialettico vale anche per la biologia. Per esempio, l’aumento della densità di popolazione di microrganismi (un aumento quantitativo) può provocare un cambiamento nella manifestazione genetica, conducendo alla formazione di qualcosa di nuovo (un cambiamento qualitativo). All’aumentare delle popolazioni batteriche, i segnali (chimici) emessi da ogni organismo si accumulano a un livello tale da attivare i geni, conducendo a una fase in cui viene prodotta una biopellicola mucillaginosa in cui gli organismi si incorporano. Le biopellicole possono essere composte da numerosi organismi e farli aderire a quasi qualsiasi superficie, dalle tubature idriche alle rocce nei corsi d’acqua, dai denti alle radici interrate. [37]
La seconda legge di Engels, quella della compenetrazione degli opposti, era più difficile da definire in senso operativo, ma aveva comunque un’importanza fondamentale per l’indagine scientifica. Nell’interpretazione di Bernal essa rimandava a due principi correlati: (1) «ogni cosa implica il proprio opposto», e (2) in natura non esistevano «linee nette e definite». Engels illustrò questo secondo punto citando la celebre scoperta di Lankester che il «granchio a ferro di cavallo» (Limulus) era un aracnide, appartenente alla stessa famiglia dei ragni e degli scorpioni – una rivelazione che aveva sconcertato il mondo scientifico, sconvolgendo le precedenti classificazioni biologiche. [38] Nell’applicare questo principio dialettico alla fisica e alla questione della materia e del movimento (o energia), affermava Bernal, «Engels giunse assai vicino alle idee moderne sulla relatività». [39] Il concetto di Engels di unità degli opposti viene sovente interpretato dalla dialettica marxista odierna in rapporto al ruolo delle relazioni interne, in cui almeno uno dei relata dipende dall’altro. [40] Come osservò lo stesso Engels, il riconoscimento del fatto che le relazioni matematiche, con «la loro immaginata rigidità e assoluta validità, sono state introdotte nella natura soltanto dalle nostre menti riflessive… è al centro della concezione dialettica della natura». [41]
La negazione della negazione, la terza legge dialettica informale di Engels – che, osservava Bernal, appare tanto paradossale in termini puramente verbali – intendeva enunciare che, nel corso del suo sviluppo storico o della sua evoluzione nel tempo, ogni cosa all’interno del mondo oggettivo è destinata a generare qualcosa di diverso, una nuova realtà emergente, che rappresenta nuove relazioni materiali e livelli emergenti, spesso attraverso l’azione di fattori recessivi o di elementi residuali, precedentemente superati ma ancora impliciti nel presente. L’esistenza materiale nel suo insieme si poteva considerare indirizzata verso una gerarchia di livelli organizzativi, e il cambiamento trasformativo significava spesso il passaggio da un livello organizzativo a un altro, come avviene nel passaggio dal seme alla pianta. [42]
Lo sviluppo delle cosiddette «proprietà emergenti» viene oggi annoverato tra i concetti biologici ed ecologici fondamentali. In un contesto ecologico, esso si verifica quando comunità di specie interagiscono in modi tali da produrre caratteristiche nuove, perlopiù impreviste, che traggono origine dal comportamento delle singole specie all’interno della comunità. [43] Un campo da quattro acri in cui è presente una miscela di quattro specie diverse (una policoltura) può fruttare un raccolto totale superiore a quello di quattro campi separati da un acro in ciascuno dei quali viene coltivata una sola delle specie. Ciò può essere dovuto a una varietà di ragioni – per esempio a un impiego migliore della luce solare e dell’acqua e a minori danni causati dagli insetti nel campo a policoltura.
Anche la co-evoluzione degli organismi produce nuove proprietà. Per esempio, nel corso dell’evoluzione, gli insetti che si nutrono delle foglie delle piante stimolano lo sviluppo di numerosi meccanismi di difesa nelle piante stesse. Tra essi vi sono la produzione di sostanze chimiche che inibiscono la nutrizione da parte degli insetti e l’emissione di sostanze che richiamano organismi (spesso piccole vespe) che depongono le uova nell’insetto, che viene quindi ucciso quando le uova si sviluppano. Ma lo scambio continua. In almeno un caso, quello del bruco della farfalla del pomodoro, la vespa deve iniettare anche un virus che disattiva il sistema immunitario del bruco, consentendo alle uova della vespa di svilupparsi. L’evoluzione crea costantemente qualcosa di diverso – talvolta con esiti drammatici – attraverso l’interazione tra gli organismi. In alcuni casi, ciò conduce a cambiamenti fondamentali in interi ecosistemi e all’ascesa di nuove specie dominanti in ambienti specifici. Come scrive Engels, l’«emergente», nel senso di «negazione della negazione, avviene realmente in entrambi i regni [vegetale e animale] della natura». [44]
Come storico della scienza, secondo Bernal, Engels fu notevole per le sue intuizioni riguardo alle tre grandi rivoluzioni scientifiche dell’Ottocento: (1) la termodinamica – le leggi della conservazione e dell’intercambiabilità delle forme di energia, e dell’entropia; (2) l’analisi della cellula organica e lo sviluppo della fisiologia; e (3) la teoria di Darwin dell’evoluzione basata sulla selezione naturale attraverso variazioni innate. [45] Come avrebbe osservato in seguito Ilya Prigogine, vincitore del premio Nobel per la chimica nel 1977, la grande intuizione di Engels fu quella di riconoscere che queste tre rivoluzioni della scienza fisica «rifiutavano la visione del mondo meccanicistica» e si avvicinavano «all’idea di uno sviluppo storico della natura». [46]
Nell’analisi di Bernal, uno degli interessi di Engels era la ricerca della «sintesi di tutti i processi che riguardano la vita, l’ecologia animale e la distribuzione [biologica]». [47] A rendere possibile tale sintesi era la sua concezione di movimento e mutamento dialettico, che sottolineava la complessità delle interazioni materiali e l’introduzione di nuove forze emergenti, nell’ambito di un processo di origine, sviluppo e declino. «L’idea centrale del materialismo dialettico», affermava Bernal, «è quella della trasformazione… Il compito essenziale del materialismo dialettico è spiegare ciò che è qualitativamente nuovo», scoprendo le condizioni che determinano l’emergere di una nuova «gerarchia organizzativa». [48]
A tale riguardo, il progresso pionieristico compiuto da Engels consistette nell’utilizzare la sua concezione dialettica della natura per fare luce su tutti e quattro i problemi materialistici dell’«origine» rimasti irrisolti dopo Darwin: (1) l’origine dell’universo (che, ribadiva Engels, andava ricercata nell’universo stesso, come postulato dall’ipotesi della nebulosa di Immanuel Kant e Pierre-Simon Laplace); (2) l’origine della vita (riguardo alla quale Engels confutava il concetto di eternità della vita di Justus von Liebig e Hermann Helmholtz, contrapponendovi un’origine chimica e concentrandosi sul complesso di sostanze chimiche alla base del protoplasma, in particolare delle proteine); (3) l’origine della società umana (riguardo alla quale Engels si spinse più avanti di ogni altro pensatore del suo tempo, spiegando l’evoluzione della mano e degli utensili attraverso il lavoro, e il conseguente sviluppo del cervello e del linguaggio, e anticipando così scoperte successive nel campo della paleoantropologia); e (4) l’origine della famiglia (riguardo alla quale spiegò l’originaria base matrilineare della famiglia e l’ascesa della famiglia patriarcale attraverso la proprietà privata). [49]
In tal modo Engels, ribadiva Bernal, aveva anticipato o prefigurato molti sviluppi della scienza materialista. «Engels, che accettava il principio della trasformazione di una forma di energia in un’altra, avrebbe accettato anche quello della trasformazione della materia in energia. Il movimento come modalità di esistenza della materia [il grande postulato di Engels] avrebbe così acquisito la sua verità definitiva». [50] Come osserva Bernal in un’altra sede, Engels «colse più chiaramente dei fisici più illustri del suo tempo l’importanza dell’energia e la sua inseparabilità dalla materia. Nessun cambiamento nella materia, affermò, poteva avere luogo senza un cambiamento nell’energia, e viceversa… Dalla sostituzione della forza con il movimento, a favore della quale Engels si batte costantemente, Einstein stesso avrebbe preso le mosse per la sua critica della meccanica». [51]
Ma era la visione più ampia dell’ecologia ricavata dalla dialettica di Engels a costituire l’intuzione più fondamentale della Dialettica della natura, ed è per questa ragione che un recupero della modalità di ragionamento di Engels rimane tuttora così importante. Come afferma Bernal, uno dei contributi cruciali di Engels fu la sua critica del concetto di conquista assoluta della natura da parte dell’uomo. Engels aveva acutamente diagnosticato l’incapacità della società umana, e in particolare del modo di produzione capitalista, di prevedere le conseguenze ecologiche delle sue azioni, analizzando «le conseguenze fisiche indesiderate dell’interferenza umana con la natura, come la deforestazione e la desertificazione». [52]
Anche altri scienziati socialisti britannici di spicco degli anni Trenta e Quaranta rimasero colpiti dagli ammonimenti di Engels in ambito ecologico. Per il grande biochimico e storico della scienza Joseph Needham, si poteva affermare che Engels era un uomo a cui «nulla era sfuggito». Così Engels aveva affermato, osserva Needham, che «potrebbe venire il giorno in cui la lotta dell’umanità contro le condizioni avverse alla vita sul nostro pianeta diverrà così aspra da rendere impossibile un’ulteriore evoluzione sociale» – un riferimento all’estinzione definitiva della specie umana. [53] Secondo Needham, un punto di vista così critico, che rifiutava la rozza ipotesi del progresso lineare, metteva in luce anche gli straordinari sperperi e le distruzioni ecologiche che caratterizzavano la società capitalista – in cui si coltivava il caffè come combustibile per le locomotive. Ciò sollevava la questione di un’«interpretazione termodinamica della giustizia», dal momento che l’alienazione della natura (ivi compresa l’alienazione dell’energia), come aveva evidenziato Engels, stava «sperperando» reali possibilità umane presenti e future. [54]
Il biologo J. B. S. Haldane – insieme a R. A. Fisher, una delle due principali figure britanniche della sintesi neo-darwiniana che riconciliarono la biologia di Darwin con la rivoluzione della genetica – riconosceva Engels come «la fonte principale» della dialettica materialista. Mettendo a confronto Engels e Charles Dickens in rapporto alla Rivoluzione Industriale, Haldane sottolineò come la prospettiva di Engels fosse più approfondita e lungimirante. «Dickens aveva una conoscenza diretta di queste condizioni [di povertà e inquinamento]. Le descrisse con ardente indignazione e dovizia di particolari. Ma il suo atteggiamento era di pietà, più che di speranza. Anche Engels vedeva la miseria e il degrado degli operai, ma vedeva al di là di esse. Dickens non suggerì mai che gli operai, per salvarsi, avrebbero dovuto farlo da soli. Per Engels, invece, questo era non soltanto desiderabile, ma inevitabile». [55]
Il riconoscimento dell’importanza della dialettica della natura di Engels giunge fino ai nostri giorni. I biologi di Harvard Richard Levins e Richard Lewontin dedicarono a Engels la loro opera The Dialectical Biologist, oggi divenuta un classico, che attinge ampiamente – per quanto a tratti in modo parzialmente critico – alla sua analisi. [56] Un collega di Harvard di Levins e Lewontin, il paleontologo e teorico dell’evoluzione Stephen Jay Gould, affermò che Engels aveva offerto la migliore dimostrazione ottocentesca della coevoluzione gene-cultura – cioè la migliore spiegazione dell’evoluzione umana elaborata durante l’esistenza di Darwin, dal momento che la coevoluzione gene-cultura è la forma che devono assumere tutte le teorie coerenti dell’evoluzione umana. [57]
L’aspetto destinato a rivelarsi più rivoluzionario era l’elaborazione da parte di Engels di una dialettica dell’emergente. L’importanza di questa nuova prospettiva – sul piano ontologico, epistemologico e metodologico – fu colta da Needham nella pionieristica analisi dei «livelli integrativi» (o dell’emergente) da lui condotta in Time, the Refreshing River (un titolo che si ricollega alla metafora del fiume del grande materialista antico Eraclito):
Marx ed Engels ebbero il coraggio di affermare che [il processo dialettico] ha effettivamente luogo nella natura stessa in evoluzione, e che il fatto indiscutibile che esso abbia luogo nel nostro pensiero sulla natura è dovuto al fatto che noi e il nostro pensiero siamo parte della natura. Non possiamo che considerare la natura come una serie di livelli di organizzazione – una serie di sintesi dialettiche. Dalla minima particella all’atomo, dall’atomo alla molecola, dalla molecola all’aggregato colloidale, dall’aggregato alla cellula vivente, dalla cellula all’organo, dall’organo al corpo, dal corpo animale al raggruppamento sociale – la serie di livelli organizzativi è completa. La costruzione del nostro mondo non ha richiesto altro che energia (il termine con cui oggi designiamo la materia e il movimento) e livelli organizzativi (o sintesi dialettiche stabilizzate). [58]
Engels nell’antropocene
È un fatto ampiamente riconosciuto dalla scienza contemporanea (sebbene non ancora a livello ufficiale) che l’era geologica dell’olocene, iniziata quasi dodicimila anni fa, ha avuto fine a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, lasciando il posto all’era attuale – l’antropocene. L’avvento dell’antropocene è stato innescato da una «grande accelerazione» degli impatti antropogenici sull’ambiente, al punto che oggi le dimensioni dell’economia umana sono tali da rivaleggiare con i grandi cicli biogeochimici del pianeta stesso, il che è causa di fratture nei confini planetari che definiscono il Sistema Terra come residenza sicura per il genere umano. [59] L’antropocene equivale dunque a ciò che Lankester aveva definito il «Regno dell’Uomo», nell’accezione critica da lui attribuita a questa espresione – e cioè che il genere umano era sempre più il «perturbatore» dell’ambiente naturale su scala planetaria. Di conseguenza, la società non aveva altra scelta che perseguire l’applicazione razionale della scienza, e quindi il rovesciamento di un ordine sociale che aveva relegato la scienza a mero strumento per «procurare tesori e lusso ai capitalisti». [60] Ciò significava, per utilizzare la terminologia più incisiva di Engels (e di Marx), che la condizione per una regolazione razionale del metabolismo tra umanità e natura, e quindi per un’applicazione razionale della scienza, era la trasformazione del modo di produzione e di distribuzione. Qualunque altra via non poteva che condurre alla catastrofe. [61]
È proprio nell’antropocene che la dialettica dell’ecologia di Engels trova la sua conferma definitiva. È qui che l’enfasi da lui posta sull’interdipendenza di tutto ciò che esiste, sull’unità degli opposti, sulle relazioni interne, sui mutamenti discontinui, sull’evoluzione emergente, sulla realtà della distruzione degli ecosistemi e dei climi e sulla critica delle concezioni lineari del progresso appare fondamentale per l’avvenire stesso dell’umanità e della terra così come la conosciamo. Engels era acutamente consapevole del fatto che nelle concezioni scientifiche moderne «anche la natura nella sua interezza viene ora fusa con la storia, e la storia si differenzia dalla storia naturale soltanto in quanto processo evolutivo di organismi coscienti di sé». [62] Nella misura in cui l’umanità era alienata dal suo lavoro e dal processo di produzione, e quindi dal metabolismo che la legava alla natura, ciò non poteva che implicare la distruzione della natura, oltre che della società. La crescita quantitativa del capitale conduceva a una trasformazione qualitativa della relazione tra l’essere umano e la terra stessa – una trasformazione che soltanto una società di produttori associati poteva risolvere razionalmente. Ciò era dovuto al fatto che una specifica modalità qualitativa di produzione (come il capitalismo) era associata a una specifica matrice di esigenze quantitative, mentre un modo di produzione qualitativamente trasformato (come il socialismo) poteva condurre a una matrice quantitativa molto diversa.
Engels affermò che il capitalismo stava «sperperando» le risorse naturali del mondo, tra cui i combustibili fossili. [63] Evidenziò come l’inquinamento urbano, la desertificazione, la deforestazione, l’esaurimento dei suoli e i mutamenti climatici (regionali) fossero tutti conseguenze di forme di produzione non pianificate, incontrollate e distruttive, evidenti in particolare nell’economia capitalista delle merci. In linea con Marx e con Liebig, indicò nell’enorme problema fognario di Londra una manifestazione della frattura metabolica, che rimuoveva i nutrienti dal suolo facendoli accumulare nelle città sovrappopolate, dove essi divenivano causa di inquinamento. [64] Sottolineò le basi di classe della diffusione delle epidemie periodiche di vaiolo, colera, tifo, febbre tifoidea, tubercolosi, scarlattina, pertosse e altre malattie infettive che influivano negativamente sulle condizioni ambientali della classe operaia, insieme alla malnutrizione, al lavoro eccessivo, all’esposizione a sostanze tossiche sul lavoro e a ogni genere di infortunio sul lavoro. Evidenziò, sulla base della nuova scienza della termodinamica, come il cambiamento ecologico storico fosse irreversibile, e come la sopravvivenza stessa dell’umanità fosse messa a repentaglio. [65] In relazione ai rapporti di produzione esistenti e all’ambiente, parlò di una società a un bivio tra rovina e rivoluzione. Ravvisò nell’omicidio sociale degli operai negli ambienti urbani e nelle carestie nell’Irlanda e nell’India coloniali i segnali di un estremo sfruttamento, del degrado ecologico e perfino di uno sterminio indiscriminato di intere popolazioni, che si consumavano appena al disotto della superficie della società capitalista. [66]
Sulla base di tutto questo Engels, come Marx, affermò che il metabolismo che legava l’umanità alla natura dovesse essere regolato da produttori associati in conformità (o in co-evoluzione) con le leggi naturali concepite dalla scienza, soddisfacendo al tempo stesso i bisogni individuali e collettivi. Una simile applicazione razionale della scienza, tuttavia, era impossibile in un contesto capitalista. E nemmeno lo sviluppo stesso era controllabile in un contesto capitalista, poiché si basava sul profitto immediato e individuale. L’adozione di un approccio scientifico razionale e generalizzato in linea con i bisogni umani e con condizioni ambientali sostenibili richiedeva una società in cui fosse possibile porre in essere un sistema di pianificazione a lungo termine nell’interesse del susseguirsi delle generazioni umane. [67]
Implicito nell’analisi di Engels era, fin dall’inizio, il concetto di ciò che potremmo definire il proletariato ambientale. Così, mentre il capitalismo si preoccupava dell’«economia politica del capitale», la classe operaia – nelle fasi caratterizzate da maggiore oppressione nonché da maggiore radicalismo – si preoccupava dell’esistenza nella sua interezza, prendendo sempre le mosse da bisogni elementari. Definire gli obiettivi dei lavoratori un’«economia politica della classe operaia», come fece in un’occasione Marx, può non essere scorretto; ma sarebbe ancor più corretto affermare che, per usare una terminologia contemporanea, i lavoratori, nelle loro lotte più rivoluzionarie, aspirano in primo luogo a creare una nuova ecologia politica della classe operaia, correlata all’intero ambiente in cui vivono e alle condizioni di vita elementari – un’ecologia che può essere conseguita soltanto su base comunitaria. [68] È questo aspetto a essere colto così puntualmente da Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra, dove egli denuncia sistematicamente l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, le fognature contaminate, gli alimenti adulterati, la denutrizione, le sostanze tossiche nei luoghi di lavoro, i frequenti infortuni e l’elevata morbilità e mortalità della classe operaia – e indica nella lotta per il socialismo l’unica autentica via d’uscita.
Senza dubbio, La situazione della classe operaia in Inghilterra sollevò questioni che tornano alla ribalta oggi, nell’antropocene. L’opera giovanile di Engels era destinata a esercitare un’influenza duratura su Marx, che lo indusse ad annoverare le «epidemie periodiche» tra le manifestazioni della frattura metabolica, insieme alla distruzione del suolo. Molte pagine del Capitale non sono altro che un tentativo di aggiornare l’analisi epidemiologica di Engels a distanza di decenni. [69] Oggigiorno, nel contesto della pandemia da COVID-19, queste intuizioni acquistano rinnovata importanza come punto di partenza per l’avvio della lunga rivoluzione per un mondo ecosocialista. [70] Ma per sviluppare queste analisi è necessario esplorare una scienza (e un’arte) dialettica che affonda le sue radici nella complessa «unità» tra umanità e natura.
Tutto si vende
Engels ammirava la poesia di Percy Bysshe Shelley, da lui considerato un «genio». In gioventù scrisse della «tenerezza e originalità nel ritrarre la natura di cui soltanto Shelley è capace». [71] Nella strofa iniziale del Monte Bianco di Shelley si può cogliere una dialettica materialista della natura e della mente non dissimile da quella di Engels:
L’incessante universo delle cose
scorre attraverso la mente, e rotolando muove le sue rapide onde,
ora scure – ora luccicanti ora riflettenti l’oscurità –
ora splendori che si prestano, dove da sorgenti segrete
la fonte del pensiero umano porta il suo tributo
di acqua, – con un suono suo solo per metà [72]
Come Shelley, che in La regina Mab scrisse dell’alienazione della natura e dell’amore nella società borghese («Tutto si vende. / La stessa luce del cielo / è venale: / della Terra il libero dono / d’amore»), Engels colse l’acuta necessità di una riconciliazione dell’umanità con la natura, che soltanto una rivoluzione poteva realizzare. [73]
Note:
1) Karl Marx and Frederick Engels, Collected Works, vol. 25 (New York: International Publishers, 1975), 459.
2) Paul Blackledge, Friedrich Engels and Modern Social and Political Theory (Albany: State University of New York Press, 2019), 16.
3) Walter Benjamin, Selected Writings, vol. 4, 1938-1940 (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2003), 402; Michael Löwy, Fire Alarm: Reading Walter Benjamin’s “On the Concept of History” (London: Verso, 2001), 66-67.
4) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 145-46, 153, 270; Karl Marx and Frederick Engels, Ireland and the Irish Question (Moscow: Progress Publishers, 1971), 142.
5) Le esplosioni delle caldaie delle locomotive causate da valvole di sicurezza difettose o regolate erroneamente erano comuni a metà Ottocento. Spesso i ferrovieri, in ritardo sui tempi, bloccavano le valvole di sicurezza dei treni, che in tal modo non scattavano o non potevano più essere aperte in tempo. Si veda Christian H. Hewison, Locomotive Boiler Explosions (Newton Abbot: David & Charles, 1983), 11, 18-19, 36, 49, 54-56, 82, 85, 110.
6) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 459; John Bellamy Foster, “Capitalism and the Accumulation of Catastrophe,” Monthly Review 63, no. 7 (dicembre 2011): 5-7; Karl Marx and Friedrich Engels, Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA) IV/31 (Amsterdam: Akadamie Verlag, 1999), 512-15.
7) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 167; Karl Marx and Friedrich Engels, Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA) IV/18 (Berlin: Walter de Gruyter, 2019), 670-74, 731 (estratti da Marx); Mike Davis, Late Victorian Holocausts: El Niño Famines and the Making of the Third World (London: Verso, 2001) [ed. italiana Olocausti tardovittoriani: El Niño, le carestie e la costruzione del Terzo Mondo, Feltrinelli 2002]; Marx and Engels, Ireland and the Irish Question.
8) Sul concetto di produttivismo estremo e, in questa accezione, di prometeismo, e sulla sua quasi totale assenza nel pensiero di Marx ed Engels, v. John Bellamy Foster, The Ecological Revolution (New York: Monthly Review Press, 2009), 226-29.
9) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 269. Si noti che, per Marx ed Engels, le forze produttive sono qualcosa di più della semplice tecnologia. Marx ribadiva che lo strumento o forza di produzione più importante erano gli esseri umani stessi. Perciò, espansione delle forze produttive significava espansione delle capacità e delle tecniche produttive umane. Si veda Marx and Engels, Collected Works, vol. 6, 211; Paul A. Baran, The Longer View (New York: Monthly Review Press, 1969), 59.
10) Walt Rostow, The World Economy (Austin: University of Texas Press, 1978), 47-48, 659-62.
11) Sullo sviluppo umano sostenibile come cornice del pensiero sia di Marx sia di Engels, v. Paul Burkett, “Marx’s Vision of Sustainable Human Development,” Monthly Review 57, no. 5 (ottobre 2005): 34-62.
12) Eleanor Leacock, introduzione a The Origin of the Family, Private Property and the State, by Frederick Engels (New York: International Publishers, 1972), 245.
13) Marx and Engels, Collected Works, vol. 4, 394, 407; Ian Angus, “Cesspools, Sewage, and Social Murder,” Monthly Review 70, no. 3 (luglio-agosto 2018): 38; John Bellamy Foster, The Return of Nature (New York: Monthly Review Press, 2020), 182-95.
14) Howard Waitzkin, The Second Sickness (New York: Free Press, 1983), 71-72.
15) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 23; Foster, The Return of Nature, 254.
16) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 270.
17) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 463-64.
18) Francis Bacon, Novum Organum (Chicago: Open Court, 1994), 29, 43.
19) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 461; Karl Marx,Grundrisse(London: Penguin, 1973), 409-10.
20) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 461.
21) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 460-61.
22) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 330-31, 461.
23) Ray Lankester, The Kingdom of Man (New York: Henry Holt and Co., 1911), 1-4, 26, 31-33; Foster, The Return of Nature, 61-64.
24) Lankester, The Kingdom of Man, 31; Joseph Lester, Ray Lankester and the Making of Modern British Biology (Oxford: British Society for the History of Science, 1995), 163-64.
25) Ray Lankester, Science from an Easy Chair (New York: Henry Holt and Co., 1913), 365-69.
26) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 492. La critica a Engels riguardo alla dialettica della natura trasse origine dalla nota 6 di Storia e coscienza di classe di György Lukács, sebbene Lukács, come spiegò in seguito, non avesse mai abbandonato del tutto il concetto di una «dialettica meramente oggettiva», e fosse destinato a promuovere una dialettica naturalistica di questo tipo – basata su Marx, più che su Engels – nelle sue riflessioni successive. Ciononostante, il rifiuto della dialettica della natura divenne assiomatico nel marxismo occidentale a partire dagli anni Venti, e prese piede in particolare nel secondo dopoguerra. Georg Lukács, History and Class Consciousness (Cambridge, MA: MIT Press, 1971), 24, 207. V. inoltre Russell Jacoby, “Western Marxism,” in A Dictionary of Marxist Thought, a cura di Tom Bottomore (Oxford: Blackwell, 1983), 523-26; Foster, The Return of Nature, 11-22. Sul conflitto generale intorno a Engels nell’ambito del marxismo contemporaneo, v. Blackledge, Frederick Engels and Modern Social and Political Theory, 1-20.
27) Come ha osservato Roy Bhaskar, la necessità di prendere in considerazione l’intransitivo o regno della transfattualità introduce la distinzione tra epistemologico e ontologico, contro la tendenza di gran parte della filosofia contemporanea (compresa la tradizione filosofica marxista occidentale) a fare propria la fallacia epistemologica, caratteristica dell’idealismo, secondo cui l’ontologia è sussunta dall’epistemologia. L’adesione alla fallacia epistemologica renderebbe impossibile qualsiasi materialismo o scienza naturale coerente. Roy Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom(London: Verso, 1993), 397, 399-400, 405.
28) Ciò si può ravvisare ne Il concetto di natura in Marx di Alfred Schmidt, pubblicato nel 1962, lo stesso anno in cui uscì Primavera silenziosa di Rachel Carson. L’opera di Schmidt, un prodotto della Scuola di Francoforte (e influenzato in particolare dai suoi mentori Marx Horkheimer e Theodor Adorno), negava per la maggior parte la dialettica della natura e qualunque riconciliazione dell’umanità con la natura, e questo proprio alla vigilia dello sviluppo del moderno movimento ambientalista. Alfred Schmidt,The Concept of Nature in Marx (London: Verso, 1970) [ed. italiana Il concetto di natura in Marx, Edizioni Punto Rosso 2018].
29) Questo paragrafo e i sei successivi sono tratti con adattamenti da Foster, The Return of Nature, 379-81.
30) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 356.
31) Peter T. Manicas, “Engels’s Philosophy of Science,” in Engels After Marx, a cura di Manfred B. Steger e Terrell Carver (University Park: Pennsylvania University Press, 1999), 77.
32) Craig Dilworth, “Principles, Laws, Theories, and the Metaphysics of Science,”Synthese 101, no. 2 (1994): 223-47. Il principio di uniformità (o uniformitarianismo), associato soprattutto a Charles Lyell, fu messo in discussione dal concetto di evoluzione di Darwin, sebbene il gradualismo di quest’ultimo attenuasse lo scontro. Negli anni Ottanta del Novecento, Stephen Jay Gould e il paleontologo Niles Eldredge avrebbero confutato l’uniformitarianismo in modo assai più radicale con la loro teoria degli equilibri punteggiati. V. Richard York e Brett Clark, The Science and Humanism of Stephen Jay Gould (New York: Monthly Review Press, 2011), 28, 40-42. La concezione tradizionale della perpetuazione della sostanza fu messa in discussione all’epoca di Engels dallo sviluppo del concetto di energia nella fisica. In rapporto a questi due principi ontologici e al principio di causalità (riguardo a cui Engels analizzò il complesso interscambio tra causa ed effetto), le «leggi» dialettiche o principi ontologici di Engels non soltanto raccolsero i cambiamenti rivoluzionari in corso nella scienza del suo tempo, ma sotto vari aspetti anticiparono scoperte successive. Sulle posizioni di Engels riguardo alla causalità, v. Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 510.
33) D. Bernal, Engels and Science (London: Labour Monthly Pamphlets, 1936), 1-2.
34) Bernal, Engels and Science, 5.
35) Bernal, Engels and Science, 5-7; Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 359 (traduzione basata su Bernal).
36) Hyman Levy, A Philosophy for a Modern Man(New York: Alfred A. Knopf, 1938), 30-32, 117, 227-28.
37) Questo paragrafo è stato scritto da Fred Magdoff. V. inoltre Fred Magdoff e Chris Williams, Creating an Ecological Society (New York: Monthly Review Press, 2017), 215.
38) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 326, 507; E. Ray Lankester, “Limulus an Arachnid,” Quarterly Journal of Microscopical Science 2 (1881): 504-48, 609-49; Foster, The Return of Nature, 56, 249.
39) Bernal, Engels and Science, 7-8, J. D. Bernal, “Dialectical Materialism,” in Aspects of Dialectical Materialism, di Hyman Levy et al. (London: Watts and Co., 1934), 107-8.
40) Bernal, Engels and Science, 7; Foster, The Return of Nature, 242.
41) Bernal, Engels and Science, 7; Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 14.
42) Tutte e tre le leggi informali della dialettica di Engels – in particolare la prima e la terza – si possono considerare legate all’emergente. La terza legge informale di Engels, la negazione della negazione, come osserva Roy Bhaksar in Dialectics: Pulse of Freedom, «solleva la questione delle assenze assenti e della riaffermazione degli elementi perduti o negati della realtà. Bernal elaborò un’analisi della negazione della negazione in relazione al ruolo dei residui che riemergono e trasformano le relazioni attraverso processi evolutivi complessi». Roy Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom (London: Verso, 1993), 150-52, 377-78; Bernal, “Dialectical Materialism,” 103-4.
43) Questo paragrafo e quello successivo sono stati redatti pressoché interamente da Fred Magdoff.
44) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 126.
45) Bernal, Engels and Science, 8-10; Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach and the Outcome of Classical German Philosophy (New York: International Publishers, 1941) [titolo italiano Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca], 65-69.
46) Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, Order Out of Chaos (New York: Bantam, 1984), 252-53.
47) Bernal, Engels and Science, 4.
48) Bernal, “Dialectical Materialism,” 90, 102, 107, 112-17.
49) Bernal, Engels and Science, 10-12. A proposito di Engels sull’origine della vita, Richard Levins e Richard Lewontin scrivono che «il materialismo dialettico si è concentrato [necessariamente] soprattutto su alcuni aspetti specifici della realtà. Talvolta abbiamo sottolineato la materialità della vita rispetto al vitalismo – per esempio, quando Engels affermava che la vita era il movimento di «corpi albuminosi» (cioè proteine; oggi parleremmo di macro-molecole). Ciò sembra essere in contraddizione con il nostro rifiuto del riduzionismo molecolare, ma rispecchia semplicemente momenti diversi di un dibattito in corso, che si contrapponeva anzitutto all’enfasi vitalista sulla discontinuità tra regno inorganico e regno vivente, in seguito, e all’eliminazione riduzionista dei salti di livello». Richard Lewontin e Richard Levins, Biology Under the Influence (New York: Monthly Review Press, 2007), 103.
50) Bernal, Engels and Science, 13-14.
51) D. Bernal, The Freedom of Necessity (London: Routledge and Kegan Paul, 1949), 362.
52) Bernal, The Freedom of Necessity, 364-65.
53) Joseph Needham, Time, the Refreshing River (London: George Allen, and Unwin, 1943), 214-15; Engels, Ludwig Feuerbach, 12.
54) Needham, Time, the Refreshing River, 214-15; Marx and Engels, Collected Works, vol. 46, 411.
55) B. S. Haldane, The Marxist Philosophy and the Sciences (New York: Random House, 1939), 199-200; Foster, The Return of Nature, 391.
56) Richard Levins e Richard Lewontin, The Dialectical Biologist (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1985).
57) Stephen Jay Gould, An Urchin in the Storm (New York: W. W. Norton, 1987) [ed. italiana Un riccio nella tempesta, Feltrinelli 1991], 111-12.
58) Needham, Time, the Refreshing River, 14-15. Scrive Engels: “È precisamente l’alterazione della natura da parte degli uomini, e non soltanto la natura in quanto tale, a costituire la base essenziale e più immediata del pensiero umano”. Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 511.
59) Si vedano: John Bellamy Foster, Brett Clark e Richard York, The Ecological Rift (New York: Monthly Review Press, 2010), 13-18; Ian Angus, Facing the Anthropocene (New York: Monthly Review Press, 2016); Clive Hamilton,Defiant Earth (Cambridge: Polity, 2017).
60) Lester, Ray Lankester, 164.
61) John Bellamy Foster, “Capitalism and the Accumulation of Catastrophe,” 1-2, 15-16. Foster, The Return of Nature, 64, 286-87.
62) Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 516.
63) Marx and Engels, Collected Works, vol. 46, 411.
64) Frederick Engels, The Housing Question (Moscow: Progress Publishers. 1975), 92.
65) Sull’approccio di Engels alla termodinamica, v. John Bellamy Foster e Paul Burkett, Marx and the Earth(Chicago: Haymarket, 2016), 137-203.
66) Su Marx ed Engels in riferimento al degrado ecologico e allo sterminio nell’Irlanda coloniale, v. John Bellamy Foster e Brett Clark, The Robbery of Nature (New York: Monthly Review Press, 2020), 64-77.
67) Engels chiarì che la regolazione razionale del rapporto tra l’uomo e la natura, e quindi l’applicazione razionale della scienza, era possibile soltanto con «una completa rivoluzione nel modo di produzione finora esistente». Marx and Engels, Collected Works, vol. 25, 462. Sull’alienazione della scienza sotto il capitalismo, v. István Mészáros, Marx’s Theory of Alienation (London: Merlin, 1975), 101-2. Il ruolo della scienza in un contesto capitalista è ulteriormente illuminato dal concetto di Richard Levins di «duplice natura della scienza». Richard Levins, “Ten Propositions on Science and Antiscience,” Social Text 46-47 (1996): 103-4. L’incontrollabilità del capitale è teorizzata da István Mészáros, Beyond Capital (New York: Monthly Review Press, 1995), 713.
68) Karl Marx, On the First International, a cura di Saul Padover (New York: McGraw-Hill, 1973), 10.
69) Si veda Foster, The Return of Nature, 197-204.
70) John Bellamy Foster e Istvan Suwandi, “COVID-19 and Catastrophe Capitalism,” Monthly Review 72, no. 2 (giugno 2020): 3-4.
71) Marx and Engels, Collected Works, vol. 2, 95-101, 497; vol. 4, 528. L’ammirazione di Engels per Shelley lo indusse a tentare di tradurre in tedesco La regina Mab e La sensitiva. Si veda John Green, Engels: A Revolutionary Life (London: Artery, 2008) 28-29, 59. Un’affascinante analisi della natura rivoluzionaria della poesia e del pensiero politico di Shelley è offerta da Annette Rubinstein, The Great Tradition in English Literature (New York: Monthly Review Press, 1953), 516-64.
72) Percy Bysshe Shelley, The Complete Poetical Works (Oxford: Oxford University Press, 1914), 528.
73) Shelley, Complete Poetical Works, 773. Marx definì Shelley «essenzialmente un rivoluzionario», un’opinione condivisa da Engels. Edward Aveling ed Eleanor Marx Aveling, Shelley’s Socialism (London: The Journeyman, 1975), 4.