Antiper | L’utopia come luogo del non-ancora-esistente
Nel Manifesto del partito comunista Karl Marx e Friedrich Engels bollano alcuni movimenti socialisti della loro epoca come “utopistici” e criticano la loro pretesa di ingabbiare il pensiero del futuro strettamente entro i codici del presente (borghese e piccolo borghese)
“Quindi cercano conseguentemente di smussare di nuovo la lotta di classe, e di conciliare gli antagonismi. Continuano sempre a sognare la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, l’istituzione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, la creazione di una piccola Icaria, – edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme – e per la costruzione di tutti quei castelli in Ispagna debbono far appello alla filantropia dei cuori e delle borse borghesi” [1]
In buona sostanza, quello che Marx ed Engels criticano del socialismo utopistico non è la prefigurazione di ciò che non esiste – l’utopico, appunto -, ma l’illusione che esso possa realizzarsi come spazio interno al mondo capitalistico. Pur con le debite differenze si tratta dell’analoga illusione che caratterizza i vaniloqui tipici dei centri sociali, delle comunità “hippy”, delle “zone autonome”, delle aree “liberate”, dei circuiti del commercio equo e solidale…: far convivere con il capitale, stabilmente, spazi (auto) gestiti secondo principi etici e politici antitetici a quelli del capitale.
Su questo tipo di (sacrosanta) critica anti-utopistica Engels tornerà molti anni dopo scrivendo l’Anti-Dühring dal quale estrarrà successivamente tre capitoli da pubblicare in modo autonomo sotto il titolo L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza.
A causa della pressione culturale proveniente degli influenti e (apparentemente) opposti versanti del determinismo materialistico (anti-dialettico) e del determinismo hegeliano (il reale è razionale e il razionale prima o poi diventa reale anche senza sbattersi troppo) il concetto di “utopico”, anche in ambito marxista, ha acquistato una “accezione” sempre più negativa fino ad identificarsi tout court con il semplice formulare riflessioni sul futuro [2]. Anche solo pensare il futuro sarebbe di per sé esecrabile in quanto sottintenderebbe la pretesa che la realtà debba adeguarsi a idee formulate “a tavolino” che non possono non essere vincolate ad una ben precisa visione del mondo storicamente determinata.
Come può essere scientifico – anche solo in senso filosofico – pensare qualcosa che “per definizione” ci è inattingibile in quanto collocato in una dimensione temporale ancora da venire? E che senso ha pensare il futuro attraverso codici culturali transeunti che rischiano di risultare sempre sfasati all’indietro (come per quanto riguarda la liberalizzazione dei costumi sessuali) o in avanti (come quei racconti di fantascienza che prevedevano odissee nello spazio e auto volanti già per i primi anni 2000)?
Nel Capitale Marx sembra addirittura vantarsi di non voler preparare ricette positiviste per il futuro
“Così la Revue Positiviste di Parigi mi rimprovera, da una parte, di aver trattato metafisicamente l’economia, dall’altra parte – indovinate un po’! – di essermi limitato a una scomposizione puramente critica del dato, invece di prescrivere ricette (comtiane?) per l’osteria dell’avvenire” [3]
Questa frase è stata citata infinite volte per tentare di dimostrare che proprio per Marx, per il comunista Marx, non si devono fare riflessioni sul futuro ma, al più, analisi del presente; la storia però è stata beffarda ed ha inchiodato proprio il comunismo e il marxismo politico al muro delle utopie [4]. Ora, è certamente verso che il comunismo è una u-topia, qualcosa che non sta in nessun luogo ma semmai sta in un processo secondo la ben nota definizione del Manifesto
“Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.
Naturalmente la critica del presente è già, dialetticamente, una proposta di alternativa, una proposta per il futuro; così come la critica dell’economia politica è essa stessa una forma nuova di economa politica. Del resto, ad essere precisi, nella Postfazione al Capitale Marx non dice che non si debbano fare riflessioni sul futuro; dice che non si devono fare riflessioni sul futuro sulla base di una ricetta (ovvero qualcosa che deve essere fatto in un certo modo prestabilito), tanto più se questa ricetta è intrisa di una visione positivistica basata su una sorta di laissez-faire scientista che a sua volta ha, come presupposto, la presunta “naturale” tendenza verso il Bene dello sviluppo capitalistico e della società borghese.
E comunque il Manifesto stesso proclamava a gran voce quali misure sarebbe stato giusto e necessario prendere (nel futuro) qualora una rivoluzione sociale avesse rovesciato l’actuel régime.
Insomma, nessuna rigida ipoteca, ma una sobria prefigurazione degli elementi generali del mondo che vorremmo, pensato necessariamente a partire dalle dinamiche del mondo che c’è ma per andare oltre a questo mondo, in maniera non molto dissimile da quanto immaginato dal tanto vituperato Ernst Bloch [5].
In una sua recente riflessione su Tommaso Moro [6], Angelo D’Orsi osserva che la parola utopia non deve essere intesa come sinonimo di impossibilità a realizzarsi; ciò che è utopico non esiste, ma questo non significa che non possa esistere. Si tratta di un punto essenziale perché è solo pensando un non-ancora-esistente che è possibile agire nell’esistente senza doversi riferire romanticamente al già-stato.
L’idea che tutto accada solo per effetto di una razionalità storica rende l’intero genere umano privo di agency, in attesa della “nottola di Minerva” per poi tentar di capire sempre quello che è successo e mai quello che potrebbe succedere.
Un ragionamento del tutto analogo a quello di Angelo D’Orsi lo si ritrova anche in queste righe
Ma utopia è anche il termine con il quale più spesso viene liquidato il pensiero marxista al quale si attribuisce proprio la pretesa di agire nel presente in nome di qualcosa di totalmente fantasioso collocato nel futuro.
Invece, il pensiero del non ancora esistente è una componente fondamentale della spinta verso la critica e la trasformazione rivoluzionaria dell’esistente
“L’utopia sta all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l’orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? A questo serve: a camminare” [7]
Forse allora varrebbe la pena di provare a ri-semantizzare questo termine per spuntare un’accusa che troppo facilmente può essere rivolta contro chi prova a “gettare il cuore oltre la siepe”
“Nell’Hexastichon del poeta Anemolius leggiamo che Utopia, così chiamata dagli antichi per il suo isolamento, dovrebbe invece essere chiamata ben a ragione Eutopia (ivi, pag. 20). Si può allora supporre che More abbia scelto il termine Utopia proprio a causa della sua ambiguità; ossia perché poteva prestarsi a significare tanto ou-topia quanto eu-topia. Utopia sarebbe quindi il «luogo felice» che «non c’è»” [8]
“La parola deriva dal greco ?? (“non”) e ????? (“luogo”) e significa “non-luogo”. Nella parola, coniata da Tommaso Moro, è presente in origine un gioco di parole con l’omofono inglese eutopia, derivato dal greco ?? (“buono” o “bene”) e ????? (“luogo”), che significa quindi “buon luogo”. Questo, dovuto all’identica pronuncia, in inglese, di “utopia” e “eutopia”; dà quindi origine ad un doppio significato: utopia (nessun luogo), eutopia (buon luogo). L’utopia sarebbe dunque un luogo buono/bello ma parimenti inesistente, o per lo meno irraggiungibile” [9] [10]
L’utopico non è dunque immaginazione astratta, ma immaginazione concreta, pensiero del non-ancora-esistente come “fascio” di possibilità a partire dall’esistente. Possibilità, non necessità.
“perché concludere che ciò che non esiste in nessun luogo del presente non possa, ipso facto, esistere? Basta provare a pensare la non esistenza come possibilità di esistenza ed ecco che il “non esistente” diventa un semplice “non ancora esistente”.
La rivoluzione, allora, come possibilità della rivoluzione; il comunismo, come possibilità del comunismo” [11]
Note
[1] Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista. III. Letteratura Socialista e Comunista, Il socialismo e comunismo critico-utopistico.
[2] Il filosofo idealista Costanzo Preve ad esempio considerava un limite la “pretesa” di Marx di formulare delle previsioni. Il pensatore, secondo Preve, deve essere come Hegel, spalle al futuro e lo sguardo ben fisso sul passato.
[3] Karl Marx, Poscritto alla seconda edizione de Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1980.
[4] Laboratorio Marxista, Bello e possibile. Riflessioni su comunismo e utopia, Autoproduzioni, 2006
[5] Cfr. Ernst Bloch, Spirito dell’utopia.
[6] Angelo D’Orsi, L’«Utopia» di Tommaso Moro, Youtube, giugno 2020.
[7] Cfr. Eduardo Galeano, Finestra sull’utopia.
[8] Cosimo Quarta, Tommaso Moro. Una reinterpretazione dell’Utopia, Edizioni Dedalo, Bari, 1991.
[9] Wikipedia, Utopia.
[10] Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, 2017
[11] Ibidem